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Tribunale di Forlì- Ufficio del giudice per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare – Sent. del 11 settembre 2019, n. 383 (dep. 18.9.2019).

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Oggetto del provvedimento.

La vicenda giudiziaria in esame trae origine da una indagine effettuata in un contesto territoriale e di materia diverso, nello specifico nella materia dei reati contro la PA, trasmessa poi per competenza territoriale, nell’ambito della quale emergeva che il pagamento di due fatture effettuato negli anni 2014 e 2015 (importo quest’ultimo poi in realtà mai corrisposto) da una società cooperativa sottoposta a procedura di concordato preventivo in favore di altra società per esecuzione di lavori oggetto di gara d’appalto, rappresentasse in realtà la prima tranche della provvista per il pagamento di una tangente.

In particolare, dall’indagine in questione emergeva che i lavori oggetto dell’accordo non furono mai eseguiti così che le fatture e i progetti inerenti il sopra richiamato appalto sono da ritenersi parte integrante di una documentazione fittizia creata allo scopo di far transitare denaro per scopi illeciti.

Per quanto qui più interessa, dall’indagine in parola emergeva altresì che le due fatture venivano annotate dalla Soc. cooperativa in questione in contabilità e utilizzate dalla medesima nella dichiarazione presentata ai fini IVA per il periodo di imposta 2014 e 2015.

La pubblica accusa contesta all’imputato, unitamente a due membri del CdA la cui posizione è stata definita separatamente con sentenza ex artt. 444 e ss. c.p.p., di avere concorso nella distrazione della somma di denaro oggetto del pagamento della prima fattura emessa nel 2014, idonea a sostenere l’imputazione di bancarotta ex art. 236, co. 2, n. 1, in relazione agli artt. 216, co. 1, n. 1 e 223, co. 1, l. fall., cui si aggiunge la contestazione del delitto di cui all’art. 2, d.lgs. 74/2000 per avere la società indicato nelle dichiarazioni annuali IVA per i periodi di imposta 2014 e 2015 elementi fittizi. Ciò in particolare in quanto, l’imputato, nella sua qualità di Direttore commerciale-marketing della cooperativa, avrebbe sottoscritto il fittizio accordo preliminare avente ad oggetto l’esecuzione di lavori mai effettuati e concorso ad autorizzare (unitamente ai due membri del CdA) il pagamento della fattura a questo conseguente, apponendo la sua sigla sul documento.

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Contenuto del provvedimento.

Con la sentenza in commento, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Forlì, facendo piena applicazione del principio di personalità della responsabilità penale e di colpevolezza, pronuncia sentenza assolutoria ex art. 530, co. 2°, C.p.p. ritenendo che dagli atti non sia emersa la responsabilità dell’imputato in ordine ad alcuno dei reati contestati.

1. La carica ricoperta dall’imputato all’interno della società e la contestazione di concorso dell’extraneus nei reati propri commessi da imprenditori, soci, amministratori o contribuenti.

Aspetto dirimente nella vicenda oggetto del presente procedimento, e tenuto in debita considerazione dal giudice di merito, è il ruolo ricoperto dall’imputato all’interno della società e la rilevanza giuridica di tale carica in termini di attribuibilità della responsabilità penale all’imputato che assume differenti declinazioni rispetto a tutti e tre i capi di imputazione.

E’ emerso dall’istruttoria dibattimentale, infatti, che l’imputato negli anni in contestazione ha ricoperto esclusivamente l’incarico di Direttore Commerciale-Marketing nella predetta società, mentre non è mai stato socio della medesima né membro del Consiglio di Amministrazione. In particolare, come posto in evidenza anche in sentenza, le responsabilità correlate all’esercizio del suo ruolo comprendevano principalmente l’ottenimento di incarichi per la cooperativa, mediante partecipazione a gare d’appalto (e cura di tutti gli aspetti ad esse inerenti) e/o la stipulazione di contratti, compresa l’acquisizione di servizi quali progettazioni. Nessun riferimento, invece, alla materia amministrativa e/o contabile-bilancistica di competenza di altri soggetti qualificati.

Sotto un profilo generale, dunque, anche alla luce delle contestazioni mosse dall’accusa, nel caso in esame si è ipotizzata la sussistenza di un concorso dell’extraneus nei reati propri fallimentari e tributari posti in essere dal Presidente del CdA e da altro consigliere di amministrazione descritti nell’imputazione.

A tale specifico riguardo, occorre anzitutto precisare che la fattispecie contestata non trova la sua disciplina, come a volte si ritiene, nell’art. 117 c.p., bensì nella norma generale che punisce il concorso di persone nel reato, ovvero l’art. 110 c.p..

Difatti, in virtù dei principi generali che sottendono la disciplina di tale disposizione, si ritiene che anche un soggetto non qualificato possa concorrere in un reato proprio, sempre che il c.d. extraneus possieda la consapevolezza della qualifica soggettiva dell’intraneus, che rientra nell’oggetto del dolo, ed abbia contribuito causalmente alla realizzazione del fatto (tra le altre, Cassazione penale sez. VI, 20 dicembre 2018, n.15837; Cassazione penale sez. VI, 24 gennaio 2018, n.17503).

Pertanto, anche in accordo con la giurisprudenza prevalente in materia, ai fini dell’attribuibilità della responsabilità penale oltre ogni ragionevole dubbio in casi similari a quello in commento, sarà dirimente in primis  il fatto che l’extraneus abbia offerto un contributo causale determinante (ad es. per la conoscenza delle vicende societarie) al fatto delittuoso, dovendosi accertare se la condotta tenuta dal concorrente abbia effettivamente influito o meno sulla condotta dell’intraneus, condizionando il comportamento di quest’ultimo.

Per quanto attiene invece al profilo soggettivo sarà necessaria la consapevolezza dell‘extraneus di partecipare ad un reato, non essendo sufficiente la constatazione che si è prestato comunque ad un disegno dell’intraneus, consentendogli di percepire dei proventi del reato.

Ne consegue che nel caso oggetto della sentenza in commento, il fatto che il perimetro di azione e competenze del Direttore Commerciale-Marketing non comprendesse (né potesse comprendere) la conoscenza della situazione economico-finanziaria della Società, né la conoscenza della situazione contabile e/o la gestione della relativa documentazione ai fini di bilancio, meritava di essere valutata in via principale per correttamente accertare la sussistenza della responsabilità concorsuale dell’extraneus, sia sotto il profilo dell’influenza causale del comportamento sul verificarsi dell’evento, sia in relazione al contenuto dell’elemento psicologico.

Questo, infatti, è l’elemento che più di tutti può (come ha fatto) rilevare l’effettiva contezza che l’imputato potesse avere della situazione economica della società all’epoca dei fatti contestati.

Ciò, ancor di più, tenuto conto di altri indici rilevanti emersi in fase di indagine e agli atti, quali: la mancanza di competenze amministrative e contabili; assenza di cariche sociali; il budget complessivo investito che era superiore a quello nella disponibilità dell’imputato per gli anni in questione; trattative condotte esclusivamente dall’amministratore, come provato anche tramite intercettazioni, e conseguente acquiescenza in virtù del rapporto fiduciario intercorrente col medesimo e del vantaggio economico connesso; mancato riscontro circa la veridicità della sottoscrizione apposta in fattura; la circostanza per cui, dal punto di vista amministrativo, il coimputato, nella sua qualità di socio e membro del CdA, era in ogni caso gerarchicamente superiore al Direttore Commerciale-Marketing..

2. La condotta distrattiva e l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione con specifico riferimento al ruolo dell’extraneus.

Quanto al delitto contestato al capo A), per meglio comprendere le ragioni dell’assoluzione pronunciata dal Gup del Tribunale di Forlì, può essere utile un breve inquadramento del reato contestato ex art. 236, co. 2, n. 1, in relazione agli artt. 216, co. 1, n. 1 e 223, co. 1, l. fall..

Come noto, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è un reato di pericolo concreto, nel quale i fatti di distrazione, una volta che interviene la dichiarazione di fallimento o la sottoposizione ad altra procedura concorsuale, assumono rilevanza penale in qualunque tempo siano stati commessi, e quindi anche se la condotta sia stata posta in essere quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.

Più nel dettaglio, con riferimento all’elemento oggettivo, il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori) può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela. Ne consegue che, anche l’esercizio di facoltà astrattamente legittime, in quanto ricomprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento, può costituire uno strumento in frode ai creditori (come, ad esempio, nei casi di cessione di beni senza adeguata contropartita), in quanto la liceità di ogni operazione che incide sul patrimonio dell’imprenditore dichiarato fallito è un valore che va accertato in concreto. In ogni caso, l’atto distrattivo è tale purché, per la consistenza della distrazione e il contesto in cui avviene, sia idoneo a recare effettivo pregiudizio alle ragioni creditorie, mettendone in pericolo la soddisfazione (Cassazione penale, Sez. V, 11 dicembre 2018, n. 13191).

Quanto all’elemento soggettivo, invece, questo va colto nella consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori. Di qui la definizione di dolo generico in termini di consapevolezza e volontà di determinare, con il proprio comportamento dissipativo o distrattivo, un pericolo di danno per i creditori, non essendo sufficiente la sola consapevolezza e volontà del fatto distrattivo. E’ dirimente in altri termini la consapevolezza che la condotta distrattiva metta a rischio la garanzia patrimoniale apprestata a favore dei creditori (Cassazione penale, Sez. V , 06 ottobre 2017, n. 4400; Cassazione penale, Sez. V, 17 maggio 2017, n.54291 ).

Ancor più nello specifico,  in materia di concorso esterno nel reato di bancarotta distrattiva, affinché il terzo possa essere chiamato a rispondere penalmente, sarebbe necessaria e sufficiente, da un lato, una condotta che determini un apporto all’azione dell’intraneus e, dall’altro, sotto il profilo soggettivo, la volontarietà della condotta di partecipazione, cui si aggiunga la consapevolezza che essa produce un depauperamento del patrimonio sociale (Cassazione penale, Sez. V, 17 maggio 2017, n.54291; sulla necessità di non porre in dubbio la conoscenza dello stato di decozione dell’impresa da cui il denaro proviene, Cassazione Penale, Sez. V, 24 marzo 2017, n. 17819).

Ebbene di tale elemento non si è raggiunta prova nel caso sottoposto all’esame del Gup del Tribunale di Forlì il quale, attentamente, evidenzia come la sottoscrizione dell’accordo e/o la presenza della firma del Direttore Commerciale-Marketing sulla fattura non è elemento da solo sufficiente a ritener provata la responsabilità penale del medesimo per il delitto di cui al capo A).

In assenza di qualsiasi altro elemento utile, o meglio, addirittura in presenza di elementi di segno contrario sopra descritti, infatti, non può giustificarsi alcun automatismo teso a riconoscere un coinvolgimento dell’imputato nelle trattative e/o negli atti in contestazione.

Del resto, se la configurazione dell’elemento psicologico è maggiormente agevole quando riferita alla posizione dell’imprenditore poiché per costui dovrebbe essere del tutto logico supporre la conoscenza della consistenza del proprio patrimonio, dei meccanismi produttivi di profitto e dei possibili benefici che l’impiego di denaro può procurare alle sorti dell’impresa, così non può dirsi per chi, non disponendo di una completa valutazione di questo compendio informativo, non necessariamente ricava dalla mera uscita del denaro dalle casse aziendali un giudizio di serio e concreto pericolo per gli interessi dei creditori, tanto più se il versamento del denaro è finalizzato ad un perseguito incremento della produttività e del profitto dell’impresa come nel caso di specie.

3. Il concorso nei reati tributari, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 2, d,lgs. 74/2000 e il superamento del retaggio della responsabilità penale da posizione.

Quanto alle contestazioni di cui ai capi B) e C), invece, giova evidenziare che esse muovono dalla asserita falsità dell’accordo intercorso tra le due società per giungere a qualificare l’operazione alla base quale oggettivamente inesistente e ipotizzare la configurazione del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. 74/2000 con riferimento alle due fatture annotate in contabilità e utilizzate nelle dichiarazioni ai fini IVA dalla cooperativa.

Innanzitutto, anche in tale ipotesi, sebbene la fattispecie individui in “chiunque” il destinatario del precetto penale, il delitto in questione ha natura di reato proprio. Soggetto attivo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, infatti, è esclusivamente il contribuente o coloro che nell’interesse di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1, co. 1 lett. e), hanno l’obbligo di presentare le dichiarazioni sui redditi, ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto (compresi quindi amministratori, enti o persone fisiche, liquidatori, etc.).

Pertanto, anche in relazione a queste due contestazioni specifiche deve farsi buon uso delle regole in materia di concorso dell’extraneus nel reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2, d.lgs. 74/2000.

Invero, anche in relazione ai delitti contestati ai capi B) e C), il Gup del Tribunale di Forlì esclude che le condotte contestate all’imputato possano essere connotate da quella offensività minima tale da supportare una condanna a titolo di concorso nei reati tributari; ciò, anche alla luce del fatto che la giurisprudenza ormai consolidata in materia richiede un onere probatorio rafforzato sia in ordine al contributo causale che soggettivo, tenendo particolarmente conto di quale deve essere il contenuto dell’elemento psicologico necessario ai fini della responsabilità del singolo concorrente quando la fattispecie monosoggettiva richiede il dolo specifico (Cassazione penale, Sez. III, 15 marzo 2019, n. 19213).

Per quanto concerne il primo profilo, è sufficiente ricordare come la giurisprudenza abbia puntualizzato, pure di recente (Cass. Pen. Sez. IV, 16 novembre 2017, n. 1236), che il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l’obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti

Per quanto concerne, invece, prettamente il coefficiente psicologico va osservato che, secondo quanto osservato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione a diverse figure di illecito penale, il dolo del concorrente esterno in una fattispecie a dolo specifico può essere generico, purché connotato dalla consapevolezza dell’altrui fine, conforme a quello tipizzato dalla disposizione incriminatrice (cfr. Cass. Pen. SS.UU., 27 settembre 1995, n. 30, Rvv. 202904-01).

Ciò ha fatto apparire ragionevole in giurisprudenza ritenere che il principio de quo sia applicabile anche in materia di delitti tributari, quando vi è un soggetto che agisce con dolo specifico, nei confronti di chi concorre nella condotta illecita con la consapevolezza della finalità perseguita dal correo: in tali casi, il concorrente con dolo generico risponde del reato – il quale, anche per la condotta di altri è perfettamente integrato in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi – a norma dell’art. 110 c.p., ossia in forza di una disposizione la quale non richiede il dolo specifico in capo a tutti i concorrenti.

Se ciò è vero da un punto di vista generale, però così non può essere nell’ipotesi in cui non vi siano elementi tali da far ritenere sufficientemente provato un coinvolgimento dell’imputato nel fatto e in particolare la conoscenza del carattere fittizio della operazione e del contesto illecito in cui la stessa si inseriva, eccezion fatta per l’elemento del ruolo ricoperto nell’organigramma aziendale (Cass. Penale. Sez. III, 23 giugno 2015, n. 30492).

In conclusione, facendo piena applicazione del principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, co. 1°, Cost., sia nel suo significato minimo di divieto responsabilità per fatto altrui sia nel suo significato evolutivo di divieto di ingresso nel diritto penale di forme di responsabilità oggettiva o da posizione, il G.u.p. del Tribunale di Forlì, con la sentenza in commento, correttamente rifugge dall’affermazione di una responsabilità penale da posizione o meramente formale in assenza di riscontri circa la sussistenza in capo al Direttore Commerciale-Marketing del necessario coefficiente psicologico dei reati contestati in qualità di concorrente esterno nelle condotte proprie commesse dagli amministratori.

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Collegamenti con altre pronunce.

Sul concorso dell’extraneus nei delitti di bancarotta: Cass.Pen., Sez. II, 21.01.2019, n. 8452; Cass. Pen., sez. V, 5.07.2018, n.49499; Cass. Pen. sez. V, 21.11.2017, n.2298; Cass. Pen. sez. V,  15.05.2014, n. 24051.

Sul concorso dell’extraneus nei reati tributariCass. pen. sez. III, 15.03.2019, n. 19213;  Cass. Penale. Sez. III, 23.6.2015, n. 30492; Cass. Pen. sez. III, 29.10.2014, n.5921.

Avv. Francesca Pontis


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