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Responsabilità esclusiva o concorrente del RSPP (Cassazione Penale, Sez. IV, Sentenza 1 febbraio 2018, n. 4941)

Cassazione Penale, Sez. IV, Sentenza 1 febbraio 2018, n. 4941

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Oggetto del provvedimento

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte torna sul tema del ruolo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e sulla responsabilità penale dello stesso.

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Contenuto del provvedimento

La vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità ha ad oggetto un infortunio sul lavoro avvenuto nel corso di opere di disboscamento: il lavoratore, la cui mansione era di addetto al taglio degli alberi, veniva colpito mortalmente al capo da un ramo che egli stesso aveva provveduto a tagliare.

Venivano, quindi, tratti a giudizio il datore di lavoro e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione; i profili di responsabilità delineati nel capo di imputazione erano, principalmente: a) di aver omesso di eliminare o ridurre al minimo i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori; b) di aver omesso di vigilare sull’esecuzione della attività di taglio degli alberi; c) di aver omesso di prescrivere alla vittima dell’infortunio l’osservanza di un’adeguata e prudenziale distanza dagli alberi in caduta.

Veniva, altresì, contestato l’inadempimento degli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37 D. Lgs. n. 81/2008.

La sentenza di condanna, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, parzialmente riformata – sotto il profilo sanzionatorio – in appello, veniva impugnata da entrambi gli imputati con ricorso per cassazione.

I giudici di legittimità, nel dichiarare inammissibile il ricorso, dopo aver ribadito il consolidato orientamento secondo cui “..le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli…”, non potendosi ritenere abnorme il comportamento della vittima sulla base delle motivazioni offerte in sentenza dalla Corte territoriale[1], si soffermano sul ruolo del RSPP.

È di indubbia condivisione l’argomento secondo cui la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione non esonera il datore di lavoro da responsabilità in materia antinfortunistica, non traducendosi la nomina del RSPP in una delega di funzioni[2].

Salva la possibilità, nei casi e con le limitazioni di cui all’art. 34 T.U. Sicurezza, di svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, la designazione del RSPP costituisce, come noto, un obbligo il cui inadempimento è penalmente sanzionato (art. 55, comma 2, lett. b, D. Lgs. 81/08)

Il datore di lavoro si avvale dell’ausilio del RSPP per la valutazione dei rischi aziendali (e redazione del relativo documento), incombente che permane in capo allo stesso.

Inoltre, ad eccezione degli obblighi non delegabili anzidetti (art. 17 T.U. Sicurezza), il datore di lavoro può individuare, nell’ambito della propria organizzazione aziendale, un altro soggetto a cui delegare, secondo i limiti e le condizioni di cui all’art. 16, le proprie funzioni in materia sicurezza sul luogo di lavoro, con l’effetto di trasferire in capo al delegato la propria posizione di garanzia rispetto alle funzioni delegate, salvo l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite, che permangono in capo al delegante.

I compiti del RSPP, tuttavia, non rientrano nelle funzioni delegabili ai sensi dell’art. 16: egli, infatti, ha l’obbligo di assolvere, nell’esercizio del proprio incarico professionale, ai compiti delineati dall’art. 33 D. Lgs. 81/08, tra i quali spiccano l’individuazione dei fattori di rischio e delle misure per la sicurezza degli ambienti di lavoro, l’elaborazione di procedure di sicurezza, nonché la proposizione dei programmi di informazione e formazione dei lavoratori.

Nella sentenza in commento, la Cassazione torna a ribadire il ruolo di “consulente” in materia antinfortunistica del RSPP, privo di effettivi poteri decisionali e, dunque, di posizione di garanzia propria in ipotesi di infortuni sul lavoro. Afferma infatti la sentenza “…va anche richiamata la normativa di settore (Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 31, commi 2 e 5), da cui emerge che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, essendo considerati dei semplici “ausiliari” del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato -salvo nei limiti di cui si dirà’ in seguito, ma sempre eventualmente in concorso con il datore di lavoro- proprio perché’ difettano di un effettivo potere decisionale. Essi sono soltanto dei “consulenti” e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda (ad esempio, in campo fiscale[3], tributario, giuslavoristico), vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario…”.

Ciò non esclude che possa tratteggiarsi, continuano gli Ermellini, una responsabilità penale del RSSP, per infortuni sul lavoro o tecnopatie, “sempre eventualmente in concorso con il datore di lavoro”, ai sensi dell’art. 113 c.p., allorquando l’evento infausto derivi da taluni suggerimenti errati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio.

Nell’argomentare in ordine alla responsabilità concorrente del RSPP, la Quarta Sezione ribadisce l’assunto – suffragato normativamente ex art. 31, comma 5, T.U. Sicurezza – secondo cui la designazione del RSPP da parte del datore di lavoro non solleva quest’ultimo dalla propria responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Sembra, tuttavia, il caso di chiedersi se non sia prospettabile una responsabilità anche esclusiva del RSPP ogni qual volta gli infortuni e/o le malattie professionali siano riconducibili a situazioni di pericolo che il RSPP avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare al datore di lavoro. Ciò, in particolare, se è vero “che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione”[4].

Non si vuole, certo, provare a sostenere che l’inadempimento colposo del proprio incarico professionale da parte del RSPP possa sgravare il datore di lavoro della funzione di garanzia che riveste e di cui è titolare.

Si vuole, piuttosto, riflettere sulle ricadute che possono avere taluni consigli o mancate segnalazioni di situazioni di pericolo da parte del RSPP, non solo sul decorso causale degli eventi (quale concausa dell’evento, come riconosciuto in sentenza), ma anche e soprattutto sulla responsabilità penale del datore di lavoro, in punto colpevolezza del medesimo.

Se è vero che il RSPP può rispondere a titolo di colpa professionale degli eventi dannosi derivanti dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni rischiose, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, “..che abbiano indotto il datore di lavoro ad omettere l’adozione di misure prevenzionali doverose”, ci si chiede come tale colpa professionale del RSPP possa non influire effettivamente sulla sfera rappresentativo-cognitiva del datore di lavoro.

Si pensi, per esempio, al caso di mancata individuazione, colposa, di una situazione di rischio da parte del RSPP, laddove il datore di lavoro sia privo delle competenze tecniche necessarie alla valutazione di un rischio sofisticato e/o altamente specialistico.

Pare non sia dubitabile che in casi del genere, in assenza di una doverosa segnalazione del fattore di rischio specifico da parte del RSPP designato, il datore di lavoro ignori – e non possa che ignorare- la presenza di una situazione pericolosa all’interno della propria organizzazione aziendale.

È pacifico che la sussistenza di capacità e requisiti professionali adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative sia prevista (e prescritta) per i responsabili e gli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni (art.32), e non anche per il datore di lavoro.

Altrettanto pacifica è la circostanza secondo cui il RSPP preliminarmente individui i fattori di rischio presenti in azienda e, sulla base di tale valutazione, il datore di lavoro valuti poi i rischi aziendali; parimenti, può affermarsi che il RSPP individui le misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro da adottare e il datore di lavoro sia messo nelle condizioni di scegliere se adottarle o meno.

Si ritiene, in altri termini, che, quantomeno nei casi in cui la situazione di rischio richieda, per essere individuata, particolari competenze altamente specialistiche, l’omessa o inadeguata valutazione di quel medesimo rischio, in ipotesi di una accertata mancata individuazione “a monte” del fattore di rischio ad opera del RSPP, possa essere ascritta al garante dell’organizzazione aziendale tout court, a scapito di una pur sempre doverosa riflessione sulla esigibilità del comportamento omesso.

È evidente che anche laddove il RSPP ometta, colposamente, di segnalare al datore di lavoro una situazione di rischio altamente tecnico (e magari mai verificatasi prima all’interno dell’organizzazione produttiva), la mancata segnalazione del fattore di quel rischio da parte del primo non influisce sulla posizione di garanzia rivestita dal secondo. Ma ciò non significa che non possano derivare effetti di alcun tipo sia sulla esigibilità della condotta, sia sulla colpevolezza del garante.

L’operato del RSPP delinea, ad esempio, nei casi di rischi altamente specialistici, l’orizzonte conoscitivo del datore di lavoro e indirizza il campo d’azione di quest’ultimo: il RSPP ritaglia, tratteggia la sfera di rappresentabilità del datore di lavoro, a meno che non venga accertato, caso per caso, sulla base del compendio probatorio acquisito, che il garante primario, a prescindere dalla responsabilità colposa del RSPP, non poteva non conoscere il rischio non segnalato e avrebbe, dunque, potuto agevolmente sopperire alle mancanze del RSPP, evitando l’evento.

Richiamando la sentenza annotata e le pronunce dalla stessa menzionate, “garante” è il soggetto che gestisce il rischio (dotato, come tale, di effettivi poteri decisionali, di intervento e di spesa): tuttavia, egli deve pur essere posto nelle condizioni di riconoscere il rischio, al fine di poter assolvere adeguatamente ai propri obblighi di legge.

La sentenza annotata non appare del tutto condivisibile, allorquando afferma che “la riconosciuta possibilità che il RSPP concorra nel reato con il datore di lavoro non ne ha tuttavia mutato la natura di mero consulente di quest’ultimo, la cui designazione non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

Ancora, ad avviso di chi scrive, la questione può porsi non tanto sotto il profilo della posizione di garanzia (che indiscutibilmente permane in capo al datore di lavoro) o degli ulteriori elementi oggettivi del reato (nesso di causalità, condotta violativa degli obblighi imposti dalla materia antinfortunistica/omessa valutazione del rischio), quanto, piuttosto, sotto l’aspetto dell’elemento soggettivo dell’autore del reato, che, nella sentenza in commento, non viene sufficientemente indagato e approfondito.

Nella pronuncia de qua, aleggia lo spettro di una responsabilità da posizione del datore di lavoro, affermata (forse troppo sbrigativamente) attraverso il principio, astrattamente condivisibile, secondo cui il datore di lavoro debba esser ritenuto responsabile “anche delle eventuali negligenze del RSPP”, ma senza alcuna valutazione concreta in ordine alla effettiva evitabilità da parte del datore di lavoro di tali negligenze.

Quid iuris nel caso in cui il datore di lavoro abbia nominato un RSPP altamente qualificato, di cui egli abbia sempre seguito le direttive ed attuato le proposte, il quale abbia poi omesso di segnalare una situazione di rischio particolarmente ed altamente sofisticata, che il datore di lavoro non poteva altrimenti riconoscere?

Il datore di lavoro, indubbiamente, è – e rimane – garante: un garante, però, che nel caso di specie, in ragione della condotta omissiva del RSPP, non è stato posto nelle condizioni di agire doverosamente.

Un garante incolpevole, dunque.

Ciò trova riscontro in alcune delle pronunce citate dalla sentenza in commento che sembrano aprire, sia pur timidamente, la strada ad una possibile responsabilità esclusiva del RSPP, laddove si accerti che la mancata adozione di una misura precauzionale da parte del datore di lavoro sia il frutto dell’omissione colposa di un compito professionale del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (Sez. IV, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; 15 luglio 2010, n. 32195, Scagliarini).

La sentenza in esame, tuttavia, non approfondisce il tema della colpevolezza del datore di lavoro, evidentemente ritenuta pienamente sussistente: non un accenno ad una designazione inaccurata della persona del RSPP; non un riferimento alle necessarie competenze tecniche richieste al fine di una adeguata valutazione del rischio (probabilmente, in ragione della natura oggettivamente non sofisticata del rischio specificamente interessato e delle misure prevenzionali adottabili, oltre che delle mancanze macroscopicamente colpose rimproverate ad entrambi gli imputati); ma ogni caso è a sé stante, e le affermazioni contenute in una pronuncia su un infortunio sul lavoro non possono essere generalizzate all’intera materia antinfortunistica.

I cardini del diritto penale rimangono invariati.

Tra tutti, il principio della personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), che,rinnegando forme di responsabilità oggettiva e di ruolo, non può permettere di far gravare sul datore di lavoro “..una responsabilità che esuli dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica..” (Sezioni Unite, n. 38343 del 24 aprile 2014, Espenhahn e altri).

Avv. Paolo Demattè

Avv. Teresa Gentilini

[1]Brevemente: l’abnormità del comportamento del lavoratore, per essere causa di esclusione di responsabilità del datore di lavoro, deve, come noto, rispondere alle seguenti caratteristiche:

1. configurare causa unica e sufficiente del danno sofferto dal lavoratore;

2. essere tale da interrompere il nesso causale tra la responsabilità del datore di lavoro e l’evento lesivo verificatosi (Cass. civ. sez. lav., sent. 12046 dd. 29.05.2014);

3. presentare un livello di stranezza e imprevedibilità tale da porsi al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti (Cass. pen. sez. IV, sent. 22247 dd 14.03.2014). In questo senso, l’abnormità non consiste tanto nell’eccezionalità del comportamento, quanto piuttosto nella natura eccentrica dello stesso rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Cass. pen. sez. IV, sent. 17404/2018)

4. essere posto in essere autonomamente e come tale svoltosi in ambito estraneo alle mansioni affidate al lavoratore o, laddove dovesse rientrare in tali mansioni, deve consistere in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Cass. pen. sent. 40164/2004); non può essere considerato abnorme il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque pienamente rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Cass. pen. sez. IV, sent. 23292/2011);

5. l’eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per uno dei soggetti indicati dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 ( datore di lavoro, dirigente e preposto: si vedano ora per le definizioni del ruolo l’ articolo 2 comma 1 lett. b) d) e) e per gli obblighi relativi gli articolo 18 e 19 del D. lg.vo 81/2008), che si sia reso comunque responsabile di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata (v, tra le tante, Sezione 4^, 22 gennaio 2007, Pedone ed altri)

Il rischio elettivo: si identifica con la situazione nella quale vi sia un “comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito”. Laddove, di contro,“la condotta del lavoratore, pur volontaria, non necessitata ed anche imprudente sia tuttavia riconducibile all’attività lavorativa”,non vi sarà l’esclusione della responsabilità datoriale, in virtù della capacità e della possibilità dello stesso di prevedere e prevenire anche eventuali imprudenze, negligenze , imperizie nella condotta del lavoratore (Cass. civ. Sez. lav. 18 maggio 2009, n. 11417 e 2 ottobre 2009, n. 21113; Cass. Sez. Lavoro 18.06.2018 nr 16047).

In pratica, secondo l’orientamento della Corte, per configurare il rischio elettivo si devono integrare i seguenti presupposti:

a) che il lavoratore ponga in essere un atto non solo volontario, ma anche abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive;

b) che il comportamento del lavoratore sia motivato da impulsi meramente personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive;

c) che l’evento conseguente all’azione del lavoratore non abbia alcun nesso di derivazione con l’attività lavorativa.

Il rischio elettivo rappresenta dunque una deviazione puramente arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione e perciò esclude l’indennizzabilità del lavoratore coinvolto. Tuttavia quando l’evento è motivato da finalità produttive, non vale ad interrompere il nesso fra l’infortunio e l’attività lavorativa e non ne esclude, pertanto, l’indennizzabilità.

[2]Si veda in punto, tra le molte: Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2018, n. 4621; Cass. Pen. Sez. 4, n. 50605 del 05/04/2013 ud., dep. 16/12/2013, rv. 258125, secondo cui in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti; Cass. Pen. Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017 ud., dep. 19/05/2017, rv. 270286, la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

[3]Si veda, tra le altre, Cassazione penale, sez. IV, 13/04/2016 (ud. 13/04/2016, dep.05/05/2016), n. 18845, secondo cui va confermata la misura del sequestro preventivo nei confronti di un soggetto indagato per il reato di omessa presentazione della dichiarazione, di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000: “ … In tema di reati tributari, l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere.Tuttavia l’elemento soggettivo del reato non può consistere nella “culpa in vigilando” sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma nella dolosa preordinazione (da dimostrare attraverso elementi fattuali) dell’omissione della dichiarazione finalizzata a un’evasione d’imposta superiore alle soglie di rilevanza penale…”.

[4]Secondo alcune pronunce della Suprema Corte è“..necessario valutare prioritariamente se l’infortunio occorso sia riconducibile ad una situazione pericolosa che il RSPP avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione stessa avrebbe fatto seguito l’adozione da parte del DDL delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione oppure se per colpa l’RSPP abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo così il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, atteso che, come noto, al RSPP è ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere esclusivo laddove dotato di efficacia causale rispetto all’omissione del DDL, così impedito nell’attivarsi e nello sfruttare le possibilità di intervento, oltre che nel rappresentarsi tutti i presenti fattori di rischio…” (per la responsabilità dell’evento in capo al RSPP che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche, v. ex multiis Cass. pen., sez. IV, 23.11.2012, dep. il 21.12.2012, n. 49821, par. 10 in Foro it. 2013, 6, II, 350 (nota di: FIANDACA); conforme Cassazione Sezione IV, 15 luglio 2010, Scagliarini; Cassazione Penale, Sez. 4, 20 giugno 2008, n. 25288). Citando testualmente “…d’altra parte, il ruolo svolto dai componenti del servizio prevenzione e protezione è parte inscindibile dello procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. La loro attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito. Si pensi al caso del RSPP che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche. In situazioni del genere pare ragionevole pensare di attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge e in particolare di una condotta colposa, la responsabilità dell’evento al soggetto di cui parliamo. Una diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico scientifica…”.