Tribunale di Milano, ordinanza 27 marzo 2017
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Oggetto del provvedimento
L’ordinanza in commento affronta un tema rimasto, sino ad ora, pressoché inesplorato dalla Giurisprudenza: l’applicabilità dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ambito dei procedimenti per responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del d. lgs. 231/2001.
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Contenuto del provvedimento
Nel caso di cui ci si occupa, il Tribunale di Milano era chiamato a decidere sull’istanza di ammissione alla sospensione del procedimento con messa alla prova avanzata dalla Società D.I., imputata dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25septies, c. 3, d.lgs. 231 del 2001, avente quale reato presupposto la fattispecie di lesioni personali colpose gravi commesse con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all’art. 590, c. 3, c.p.
Il giudice muove da una doverosa premessa, affermando che non vi è traccia nel diritto positivo di una norma che ammetta l’applicabilità dell’istituto alle persone giuridiche, né nelle norme del codice penale e di procedura penale che regolano l’istituto (artt. 168bis ss. c.p. – artt. 464bis ss. c.p.p.), né nelle disposizioni di cui alla sezione VI del titolo III del d.lgs. 231/2001, che regola l’applicazione dei procedimenti speciali alla disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
Coerentemente a quanto disposto dagli artt. 34 e 35 del D. Lgs. 231/2001 – che ammettono l’applicabilità alle persone giuridiche delle norme del codice di procedura penale e delle disposizioni processuali relative all’imputato-persona fisica in quanto compatibili – la questione viene, quindi, risolta in via interpretativa.
Il Giudice si interroga sulla natura dell’istituto ed, in primo luogo, afferma che la sospensione del procedimento con messa alla prova si manifesta attraverso lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, pacificamente ricompreso nella categoria delle sanzioni penali.
Inoltre, richiama una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., 31 marzo 2016, n. 36272, Sorcinelli) che sancisce la natura ibrida dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, avente natura certamente processuale, in quanto collocato nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (Corte Cost., sent. n. 240/2015) ma anche – e soprattutto – natura sostanziale, in quanto “istituto che persegue scopi social preventivi in una fase anticipata, in cui viene ‘infranta’ la sequenza cognizione-esecuzione della pena in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto.”.
La riconosciuta natura ibrida della messa alla prova viene, quindi, posta in relazione al principio di legalità di cui all’art. 25, c. 2 della Costituzione ed, in particolare, al suo corollario del principio di riserva di legge.
In altre parole, il Giudice si interroga se un’eventuale applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova alle persone giuridiche per via analogica costituirebbe una violazione del principio di riserva di legge, che attribuisce in via esclusiva al Parlamento, in quanto organo di rappresentanza della sovranità popolare, il potere di normazione in materia penale, di particolare pregnanza in quanto incidente sulla libertà personale.
Ebbene, riprendendo l’assunto in premessa per cui la messa alla prova avrebbe natura sanzionatoria, il Tribunale di Milano nega l’ammissibilità di tale applicazione, affermando che, per pacifica giurisprudenza, mentre il principio della riserva di legge può, a certe precise e limitate condizioni, essere considerato relativo con riguardo alla descrizione del precetto, esso deve considerarsi assoluto (e, quindi, inderogabile) con riguardo alla individuazione della pena.
A supporto della propria tesi il Giudicante richiama una ulteriore pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 5655 del 26.05.1984), con la quale viene chiarito che il metodo di interpretazione analogica non può essere adottato con riferimento all’applicazione di sanzioni poiché, in tal modo, si conferirebbe illegittimamente all’interprete il potere di incidere sulla libertà personale.
Si legge nell’ordinanza: “In caso contrario, l’interprete della legge si trasformerebbe in legislatore con marcata incidenza negativa sia sul principio di certezza sia sulla stessa efficacia determinante delle disposizioni penali coinvolte in siffatta operazione interpretativa, diretta a correlare, con l’intervento del giudice il comportamento del soggetto attivo del reato ad una pena non costituente oggetto di specifica comminatoria legislativa”
Va, peraltro, rilevato – nonostante non venga menzionato nell’ordinanza in commento – che il principio di legalità è espressamente sancito nello stesso decreto legislativo 231/2001, precisamente all’art. 2 ( che in questa sede giova riportare per evidenziarne l’esplicito riferimento alle sanzioni): “L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.”[1]
In conclusione, non potendo rinvenirsi nel nostro ordinamento alcuna norma che consenta l’applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova nel procedimento di responsabilità amministrativa a carico degli enti, e non essendo, tale vuoto, colmabile in via interpretativa in ossequio al principio di riserva di legge di cui all’art. 25 della Costituzione, il Tribunale conclude con il rigetto dell’istanza.
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Collegamenti con altre pronunce
Non si rinvengono precedenti giurisprudenziali sull’argomento.
Sulla natura ibrida della messa alla prova, cfr. Cass., Sez. VI, n. 4855 del 29.09.2016.
Avv. Arianna Bassi
[1] Con riferimento al principio di legalità di cui all’art. 2, si legge nella Relazione Ministeriale al D. Lgs. 231/2001: “Un sistema siffatto non poteva dunque che replicare da entrambi i modelli, quello penale e quello amministrativo, il fondamentale principio di legalità (nelle sue accezioni di riserva di legge, tassatività e irretroattività), ovviamente plasmandone la formulazione sulla peculiarità della materia (art. 2). E’ appena il caso di richiamare l’attenzione sulla circostanza che la legalità qui investe un duplice profilo: l’affermazione della responsabilità amministrativa dell’ente e – a monte – l’assetto penale di disciplina in conseguenza del quale tale responsabilità è prevista. Quanto al primo aspetto, si noti inoltre come la norma curi espressamente l’estensione del principio, oltre che all’affermazione della responsabilità, altresì alle sanzioni che ne discendono. Si anticipa sin d’ora che la scelta trova una fedele rispondenza nelle restanti norme dell’articolato laddove reca una disciplina puntuale dei presupposti applicativi di ciascun tipo di sanzione, sia nella parte generale in tema di scelta e di commisurazione delle stesse, sia nelle disposizioni dedicate alla previsione della responsabilità amministrativa in conseguenza della commissione dei singoli reati.”