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Brevi osservazioni su una recente sentenza del Tribunale di Bologna in tema bancarotta impropria per distrazione da reato societario (Tribunale di Bologna, sent. n. 1757 del 15 maggio 2019)

Tribunale di Bologna in composizione collegiale, sent. n. 1757/19 

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Oggetto del provvedimento

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Bologna ha condannato l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata per il reato di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, avendo liquidato a proprio favore compensi non deliberati dall’assemblea, e per il reato di bancarotta impropria da reato societario, avendo iscritto a bilancio poste inesistenti, alterando così la reale situazione economica della società e aggravandone il dissesto.

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Contenuto del provvedimento

L’ipotesi accusatoria formulata dalla Pubblica Accusa nei confronti dell’amministratore unico della società è articolata in due capi d’imputazione per reati consumati nel 2013, anno della sentenza dichiarativa di fallimento.

Con il capo A) si contesta il reato di bancarotta fraudolenta impropria per distrazione con riguardo, da un lato, ad una serie di prelievi dalle casse societarie effettuati per il pagamento di compensi non deliberati dall’assemblea dei soci e, dall’altro, alla indebita percezione di una somma di danaro giustificata come “fondo spese socio”, pur non avendo mai l’imputato rivestito tale qualità.

Il capo B) concerne invece il reato di bancarotta impropria da reato societario, in particolare in relazione al reato di false comunicazioni sociali: l’imputato avrebbe iscritto a bilancio poste non rispondenti al vero relative a immobilizzazioni materiali inesistenti.

Con riferimento al primo reato contestato, il Collegio rileva come i prelievi delle somme di denaro da parte dell’amministratore per il pagamento dei propri compensi, in assenza di una previa deliberazione assembleare, configurino la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. I giudici giungono a tale conclusione sposando il noto orientamento della Suprema Corte secondo il quale integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, e non l’ipotesi di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore che stabilisca la misura dei suoi compensi e prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto (Cass. pen., sez. V, 23 febbraio 2017, n. 17792), in ragione del fatto che tale credito deve essere considerato illiquido, siccome, pur essendo certo nell’an, difetta la determinazione del quantum, operazione riservata all’assemblea (Cass. pen., sez. V, 5 giugno 2018, n. 30105).

In ragione della giurisprudenza richiamata, il Tribunale felsineo ritiene non condivisibile la tesi difensiva, secondo la quale la sussistenza del reato sarebbe esclusa dal fatto che i prelievi effettuati a titolo di compensi sarebbero stati successivamente ratificati dai soci mediante l’approvazione dei rispettivi bilanci. Tale argomentazione riecheggia un risalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale «L’approvazione del bilancio, nel quale sono iscritti compensi che gli amministratori si sono attribuiti in via autonoma senza deliberazione dell’assemblea, equivale a ratifica della determinazione in oggetto, escludendo così qualsiasi ipotesi di indebito prelevamento o di indeterminatezza dell’attribuzione del compenso» (Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2005, n. 28243). Sul punto tuttavia sussisteva un contrasto con altre pronunce che invece negavano il riconoscimento di un simile effetto “sanante” alla deliberazione assembleare intervenuta dopo il prelievo. Il contrasto è stato composto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21933 del 29 agosto 2008. Valorizzando la natura imperativa e inderogabile della disciplina dettata dall’art. 2389 c.c., nonché la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364, nn. 1 e 3 c.c.), i giudici della Suprema Corte hanno escluso che l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori possa sostituire la specifica delibera prevista dall’art. 2389 c.c.. La Corte di cassazione ha tuttavia specificato che tale sostituzione può realizzarsi nel limitato caso in cui un’assemblea, convocata per la sola approvazione del bilancio, essendo totalitaria, abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori. Una simile eventualità è tuttavia esclusa nel caso qui in esame. Il Collegio evidenzia infatti la circostanza che la società fallita redigeva bilanci in forma semplificata, nei quali non compariva una voce espressamente dedicata al compenso dell’amministratore, ne consegue pertanto l’impossibilità di ipotizzare un’espressa approvazione di tale posta nelle scritture contabili.

In merito al reato di cui al capo B), parte delle condotte contestate si innestano nella vicenda che aveva visto l’acquisizione da parte della società fallita dell’azienda di un’altra società, impegnata nel medesimo settore produttivo, prima tramite un contratto di affitto e poi d’acquisto. All’esito dell’istruttoria dibattimentale, è emerso che nelle scritture contabili della società erano state registrate tra le immobilizzazioni materiali, alla voce “attrezzatura”, somme corrispondenti a voci che nel bilancio dell’esercizio precedente erano state iscritte come costi di esercizio per l’acquisto del magazzino della società acquisita, nonché somme corrispondenti al valore del magazzino all’atto di cessione d’azienda. Tutte queste voci sono risultate relative a beni di cui non vi era traccia nel libro dei beni ammortizzabili e che non erano riferibili a nessun’altra posta attiva. Senza l’iscrizione di tali voci all’attivo il patrimonio netto della società sarebbe risultato negativo.

Il Tribunale non condivide la tesi difensiva secondo la quale l’iscrizione delle voci richiamate sarebbero giustificate da una riclassificazione dei beni derivanti dall’acquisizione dell’altra società: trattandosi infatti di soggetti che svolgevano la medesima attività, il magazzino di quest’ultima non può essere qualificato come “immobilizzazioni” della prima, compiendosi altrimenti una indebita capitalizzazione degli oneri sostenuti (come rilevato nella relazione del curatore fallimentare).

Anche l’ulteriore parte di condotte afferenti al capo B) riguardano una indebita capitalizzazione di costi che dovevano essere iscritti nel conto economico. All’esito dell’istruttoria è emerso che erano state registrate a bilancio immobilizzazioni materiali inesistenti riguardanti “costi personale”, “fiere e mostre” e “consulenze tecniche”. Il Collegio ricorda infatti che la capitalizzazione dei costi può avvenire solo in casi eccezionali, ossia «un costo può essere capitalizzato in bilancio, in virtù delle indicazioni contabili risultanti dall’OIC 24, ove sia collegato ad “operazioni non ricorrenti”, quali quelle strumentali a nuove attività oppure al lancio di nuovi prodotti, da cui derivi “la ragionevole aspettativa di importanti e duraturi ritorni economici» (Cass. civ., sez. V, 14 dicembre 2016, n. 25690). Di tali elementi i giudici non trovano riscontro in quanto emerso in sede istruttoria, concludendo per l’inammissibilità di tali iscrizioni.

L’insieme delle condotte di registrazione di attività inesistenti nei bilanci di tre diversi esercizi ha comportato l’alterazione del risultato economico e del patrimonio netto in una misura che il Tribunale giudica nettamente superiore alle soglie previste dalla previgente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c.. Tale condotta ha consentito di occultare lo stato di insolvenza della società, che tuttavia era insorto in un tempo antecedente alla realizzazione dei fatti contestati. Si pone pertanto la controversa questione della possibilità di far rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 223, comma 2 n. 1 L. Fall., oltre alle condotte che abbiano determinato il dissesto, anche quelle che abbiano semplicemente aggravato un precedente stato di decozione dell’impresa. A favore della soluzione negativa della questione, sostenuta da parte della dottrina e da qualche sparuta pronuncia della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. pen., sez. V, 23 marzo 2015, n. 37555), si valorizza il criterio letterale nell’interpretazione della norma, nel cui testo non si ritrova alcun riferimento all’aggravamento del dissesto, considerando tra l’altro che laddove la legge ha inteso punire anche tale condotta lo ha fatto in modo esplicito (come è avvenuto ad esempio con l’art. 224 n. 2 L. Fall.). Il Tribunale formula invece una risposta positiva, facendo applicazione del consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo il quale «Integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell’amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto» (Cass. pen., sez. V, 18 giugno 2014, n. 42811).

Infine il Collegio, avendo preliminarmente già appurato l’effettivo e diretto coinvolgimento dell’imputato nelle attività di contabilità e bilancio all’interno della società, valuta positivamente la sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie, nella sua complessa natura composita: dolo generico, avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio, dolo specifico, in merito al perseguimento di un ingiusto profitto, e infine dolo intenzionale (come previsto dalla previgente formulazione legislativa) riferito all’inganno dei destinatari della comunicazione.

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Collegamenti con altre pronunce

Sulla qualificazione della condotta di pagamento di compensi non deliberati dall’assemblea: Cass. pen., sez. V, 23 febbraio 2017, n. 17792, in www.ilpenalista.it, con nota di A. Nocera, 13 luglio 2017.

Sull’esclusione di delibere implicite sul compenso degli amministratori: Cass. civ., sez. un., 29 agosto 2008, n. 21933, in Giur. Comm., 2010, 3, II, pp. 361-368, con nota di G. Gobbo.

In merito alla configurabilità della bancarotta impropria da reato societario in caso di aggravamento del dissesto: Cass. pen., sez. V, 5 dicembre 2014, n. 15613/15, in CED Cass. pen., 2015; Cass. pen., sez. V, 09 maggio 2017, n. 29885, in CED Cass. pen. ,2017.

Dottrina

A. Alessandri, Diritto penale commerciale, vol. IV, I reati fallimentari, Giappichelli, Torino, 2019; A. D’Avirro-E. De Martino, La bancarotta fraudolenta, Giuffrè, Milano, 2018; R. Bricchetti-L. Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Giuffrè, Milano, 2017; N. Mazzacuva- E. Amati, Diritto penale dell’economia, Padova, Cedam, 2018; S. Callegari, In tema di fallimento, società di capitali, assenza di delibera assembleare, compensi all’amministratore, reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, 2018, 1-2, pp. 388-389; P. Silvestri, Aggravamento del dissesto e configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta societaria, in Cass. pen., 2006, 6S, pp. 133-137.

Dott. Gianluca Taiani

Dottorando di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Udine