Corte di Cassazione, Sez.III, 8 luglio, n. 28354
*** *** ***
Oggetto del provvedimento
Con la recente sentenza dell’8 luglio 2016 n. 28354, la Terza Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata su una vicenda concernente il sequestro preventivo di bottiglie di vino recanti indicazioni di provenienza ingannevoli per consumatori.
Il giudice di legittimità ha così avuto modo di esprimersi innovativamente sulla qualificazione del delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, di cui all’art. 517 quater del codice penale.
*** *** ***
Contenuto del provvedimento
La questione da cui trae origine la vicenda in esame attiene all’ordinanza del 10 settembre 2015, con cui il Tribunale di Verona respingeva la richiesta di riesame proposta da C.D. avverso un decreto di sequestro preventivo, emesso nei suoi confronti dal Gip del Tribunale di Verona in data 7 agosto 2015, per violazione dell’art. 517 quater c.p.
Nello specifico, l’oggetto del provvedimento di sequestro consisteva in bottiglie di vino sul cui retro erano state apposte indicazioni di uve impiegate per la produzione difformi rispetto all’effettiva composizione intrinseco-qualitativa del vino e alla sua reale provenienza geografica.
Avverso l’ordinanza di rigetto del Tribunale di Verona proponeva ricorso l’indagato denunciando in primo luogo violazione di legge penale per l’errata configurazione del reato di cui all’art. 517 quater c.p., in relazione alla detenzione per la messa in commercio di bottiglie di vino recanti etichette ingannevoli.
La norma incriminatrice in esame, introdotta dalla L. n. 99/2009, sanziona le condotte di contraffazione o alterazione di denominazioni d’origine o indicazioni geografiche, a condizione che siano osservate le norme dei Regolamenti Comunitari, sicché il presupposto del reato, e la limitazione che lo stesso contiene, rende la fattispecie uno strumento ben preciso per la tutela dei prodotti agroalimentari a denominazione o indicazione protetta.
Al contrario, nel caso di specie, le bottiglie di vino sequestrate risultavano “pacificamente” prive una certificazione DOP o IGP, posto che il nome del vino non era tutelato da alcuna privativa, e che l’indicazione contraria al vero della presenza dei vitigni croatina e corvina non consentiva di ravvisare la contraffazione o alterazione, non essendo tali vitigni l’oggetto della protezione, bensì i vini ottenuti dal loro utilizzo.
Sennonché la Corte rigettava ugualmente la censura proposta, avallando la possibile configurabilità – già invocata dal Tribunale di Verona quale ipotesi delittuosa alternativa rispetto all’art. 517 quater – del tentativo di frode nell’esercizio del commercio di cui all’articolo 515 c.p., che punisce il fatto tipico della consegna “aliud pro alio”, ossia la consegna di una cosa diversa rispetto a quella pattuita.
A ben vedere, il fulcro concettuale attorno al quale ruota la sentenza in commento risulta essere la qualificazione della fattispecie prevista dall’art. 517 quater c.p.,che, nell’interpretazione data in questa sede dai giudici di legittimità, “non richiede l’idoneità delle indicazioni fallaci ad ingannare il pubblico dei consumatori”.
Nel corso della motivazione, gli Ermellini si soffermano poi sull’individuazione del bene giuridico tutelato ex art. 517 quater, ricostruita attorno agli interessi economici dei produttori ad utilizzare le indicazioni geografiche o le denominazioni d’origine.
La pronuncia in esame si rivela pertanto essere particolarmente innovativa e in controtendenza in relazione alla tutela degli interessi degli imprenditori-produttori locali, che, a un esame delle pronunce giurisdizionali in materia di frodi agroalimentari e degli orientamenti della dottrina giuridica italiana, verrebbe invece tendenzialmente concepita come “solo eventuale e indiretta”.
Il ragionamento elaborato dalla Corte suscita poi ulteriori perplessità, poiché volto a escludere in partenza qualsivoglia necessità di accertare se vi sia stato o meno un pericolo di inganno a carico del compratore dell’alimento, eventualmente deceptus.
La tesi si spinge fino a scalzare la sopra menzionata impronta pubblicistica, privilegiando piuttosto una tipologia di illecito caratterizzato da un pericolo solo potenziale, in forza di una vocazione individuale-privatistica di tutela esclusiva degli interessi patrimoniali del titolare della privativa industriale.
Sarebbe così integrata l’offesa tipica, penalmente rilevante, a fronte di ogni condotta rispondente a un uso non confusorio e meramente usurpativo del contrassegno protetto – quale valore di tipo patrimoniale – indipendentemente dall’inidoneità offensiva della condotta a trarre effettivamente in inganno gli acquirenti dell’alimento certificato.
Sennonché, una simile ricostruzione prospetta inevitabili obiezioni di carattere strutturale e sistematico relativamente alla mancata previsione in capo all’attuale formulazione dell’art. 517 quater c.p. della disponibilità dell’azione penale per il titolare della privativa violata – cosa che, se presente, denoterebbe la vocazione privatistico-patrimoniale dell’illecito.
Dr. ssa Francesca Castellini
Università di Modena e Reggio Emilia