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Tribunale di Macerata, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, 23 novembre 2015 – Decreto di archiviazione

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Oggetto del provvedimento

Omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. n. 74/2000).

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Contenuto del provvedimento

All’esito di una verifica fiscale effettuata dalla Direzione Regionale delle Marche nei confronti di una s.r.l., tra gli altri elementi emergeva che: 1) fino al giugno 2010, tale società risultava essere di diritto portoghese; 2) il capitale sociale della società era interamente detenuto da altra società; 3) l’attività decisionale e amministrativa della società veniva svolta quasi esclusivamente via e-mail. I soggetti accertatori giungevano quindi alla conclusione che la società esaminata fosse “esterovestita” nel senso che, allo scopo di sottrarsi agli adempimenti tributari italiani in materia di imposta sulle società, la società medesima registrava la propria sede legale in Madeira, pur avendo la sede di amministrazione effettiva in Italia: di qui la contestazione del reato di cui all’art. 5, d.lgs. 74/2000.

Il Pubblico Ministero – valorizzando una pluralità di elementi fattuali che depongono nel senso dell’insussistenza del delitto contestato alla società – avanzava tuttavia richiesta di archiviazione, la quale veniva poi accolta dal G.i.p. di Macerata, con decreto del 23 novembre 2016.

Il provvedimento in esame assume particolare interesse in quanto concerne la tematica della c.d. esterovestizione societaria – espressione compendiante la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società in un Paese con trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale –, sulla cui concreta delimitazione concettuale ha avuto modo di pronunciarsi recentemente la Suprema Corte (Cass., sez. III, 30 ottobre 2015, n. 43809). E infatti la richiesta di archiviazione poggia su di un sostrato argomentativo che richiama sinteticamente i principi di diritto fissati dagli Ermellini nella sentenza che ha chiuso la vicenda Dolce&Gabbana.

In tal senso si ricorda dapprima che, ai fini dell’individuazione del c.d. place of effective management, è sufficiente dimostrare l’esistenza anche solo di un ufficio nello Stato estero considerato, purché tale ufficio non si riveli essere una costruzione meramente artefatta, un contenitore formale – in altre parole – al quale non corrisponde alcun sostrato economico effettivo: al contrario, è necessario verificare che a tale ufficio corrisponda una sottostante realtà economica.

Il tema dell’individuazione del place of effective management richiede un approfondimento ulteriore allorché riguardi l’ipotesi in cui la società con sede legale estera risulti essere una controllata – ex art. 2359, co. 1, c.c. – all’interno di un gruppo societario: circostanza che effettivamente ricorreva nel caso sottoposto al G.i.p. di Macerata.

In via generale, la problematica origina essenzialmente da un’erronea operazione di sovrapposizione concettuale tra le locuzioni di «direzione effettiva» e di «direzione e coordinamento»: l’attività di direzione e coordinamento è esercitata dalla società capogruppo, la quale assume le decisioni strategiche e definisce l’assetto organizzativo dell’intero gruppo, mentre l’attività di direzione effettiva coincide con l’adozione di quell’insieme di scelte gestionali e amministrative che concorrono a determinare la direzione quotidiana della singola società considerata, all’interno del gruppo di cui è parte.

Nel caso in cui – quindi – la società con sede legale estera risulti essere una controllata ai sensi dell’art. 2359, co. 1, c.c., «non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva, l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative ove esso si identifichi con la sede controllante italiana». Al contrario, risulta necessario procedere con una verifica ulteriore, volta ad accertare che la società estera non sia una «costruzione di puro artificio, ovvero una casella postale o schermo» ma corrisponda a un’entità reale.

Ciò premesso in via astratta, il Pubblico Ministero ha provveduto a calare tali principi nel caso concreto, osservando che «due dei tre amministratori [della società], odierni indagati risiedono in Portogallo; presso la sede della società venivano convocate e svolte le assemblee; le decisioni in seno al consiglio prevedevano per l’attuazione la firma congiunta di due amministratori; la società aveva incaricato diverse società italiane ed estere in materia di proprietà industriale». La valutazione congiunta di tali elementi fattuali porta l’inquirente – in ciò confortato dalle stesse determinazioni della Commissione Tributaria, secondo cui «la sede di effettiva direzione della società era in Portogallo» – a ritenere che «non sembra potersi definire la società portoghese una mera “casella postale o schermo”», dovendosi per converso riconoscere la genuinità della medesima.

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Collegamenti con altre pronunce

Cass., sez. III, 24 ottobre 2014-30 ottobre 2015, n. 43809, secondo cui «per accertare la natura artificiosa o meno della società estera si può fare utile riferimento ai criteri indicati dall’art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986, per definire la “stabile organizzazione” o a quelli elaborati dalla giurisprudenza comunitaria per identificare le società cd. “casella postale” o “schermo”; si tratta in ogni caso di accertamenti che appartengono alla ricostruzione del fatto-reato e che, in quanto tali, devono essere condotti dal giudice in modo autonomo, secondo le regole di giudizio proprie del processo penale che non tollerano inammissibili inversioni dell’onere della prova frutto del ricorso alle presunzioni fiscali». Ed ancora: «in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359 comma 1 c.c., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative ove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana. In tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio, ma corrisponda ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto»

Dott. Luca Baron,
dottorando di ricerca in diritto pubblico e sistema penale nell’Università di Udine.


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