Trib. di Rimini n. 320/18.
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Oggetto provvedimento
Nel caso oggetto di commento, gli imputati venivano accusati del delitto di cui all’articolo 416 del c.p., perché, costituendo un’organizzazione delinquenziale operante negli organi direttivi di Banca X, si associavano fra loro, allo scopo di commettere un indefinito numero di reati societari ed in particolare quello di cui all’art. 2622 (ora sanzionato dall’art. 2621, come novellato dalla L. 69/2015).
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Contenuto del provvedimento
Le attività d’indagine, all’esito delle quali la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rimini ha ritenuto di formulare nei confronti degli imputati le ipotesi accusatorie, hanno preso l’avvio da una serie di rilievi mossi dall’Autorità di vigilanza bancaria a seguito di un’ispezione condotta presso la Banca X nella primavera dell’anno 2010. Banca d’Italia aveva, in particolare, evidenziato che nel bilancio al 31.12.2009 erano state omesse svalutazioni di crediti che, se recepite, avrebbero tramutato l’utile di oltre 18 milioni di euro ivi risultante in una chiusura in perdita dell’esercizio.
Ciò nondimeno, l’attività compiuta dalla Guardia di Finanza si limitava, da un lato ad analizzare i fascicoli interni alla Banca delle “principali posizioni creditorie” che l’Autorità di vigilanza aveva indicato come deteriorate; dall’altro – appurato che per la maggior parte delle ipotesi si aveva a che fare con valutazioni estimative apparentemente scorrette – a decidere di sottoporre i dati all’analisi di un consulente tecnico.
Ciò premesso, analizziamo più nel dettaglio i fatti.
Nel processo, gli imputati hanno dovuto difendersi rispetto a due principali impostazioni relative all’interpretazione della soglia di punibilità del 10% (avente ad oggetto le valutazioni illecite riferite a singole voci di bilancio): quella confluita nel capo d’imputazione e sostenuta dal Consulente del Pubblico Ministero, che assume ad oggetto della valutazione il “fondo svalutazione crediti”; e quella consacrata nel provvedimento del GUP del 12 luglio 2016, che invece si focalizza sui “singoli crediti”. Inoltre, nel corso delle operazioni peritali, i Consulenti di alcune Parti Civili, hanno suggerito di parametrare il calcolo della soglia di punibilità alla voce ‘130 lettera a)’ del conto economico, ossia alla voce “rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di crediti”.
Tali prospettazioni, ad avviso del Tribunale, risentono tuttavia di un comune vizio metodologico di fondo, dovuto al recepimento sic et simpliciterdelle stime contenute nel rapporto ispettivo dell’Autorità di vigilanza quando, a ben vedere, le “ispezioni di vigilanza non sono ragguagliabili a una revisione contabilee non hanno alcun valore a tale effetto”. Esse costituiscono, infatti, una ricostruzione volta non già a certificare i valori di bilancio, bensì a determinare, secondo criteri prudenziali, la sussistenza di determinati requisiti patrimoniali, in assenza dei quali procedere all’adozione di contromisure eccedenti l’ordinaria amministrazione.
A. Più nel dettaglio, secondo il Tribunale, appare doveroso rigettare l’impostazione del Consulente della Pubblica Accusa, per due principali ordini di ragioni, fra loro collegate.
In primo luogo, osserva che il principio di tipicità della fattispecie penale, applicato alle comunicazioni sociali previste per legge, porta a considerare che il legislatore ha previsto soltanto una tipologia di soglie di punibilità focalizzate sulle conseguenze delle false iscrizioni contabili, da identificarsi con le “alterazioni sensibili del patrimonio netto e del risultato economico di esercizio”. Mentre, laddove ha tipizzato il gradiente (range) di errore tollerabilenelle valutazioni estimative, esso ha inteso fare riferimento allestime originarie delle poste di bilancio, sicché ogni voce derivata, e specificamente dovuta alla conseguenza di una valutazione estimativa autonoma e originaria, deve giocoforza ritenersi fuori dal perimetro di operatività del precetto penale dell’art. 2622 cod. civ. Ciò appare una conclusione obbligata, dopotutto, giusta la stessa formulazione letterale del comma della norma, nella misura in cui si contrappongono, appunto, le valutazioni estimative alle loro conseguenze.
Sulla base di quando premesso, il Tribunale giunge alla conclusione di escludere che il “fondo svalutazione crediti” possa costituire la base su cui calcolare il margine di errore relativo alle valutazioni estimative singolarmente considerate. Esso, infatti, lungi dal rappresentare una valutazione singola, cioè autonoma, non è altro che l’effetto derivato di un’altra valutazione, quella avente ad oggetto, originariamente, i crediti. In altri termini, il “fondo svalutazione crediti” è la conseguenza di una (s)valutazione estimativa.
Tale conclusione, va affiancata poi al secondo ordine di ragioni per cui appare doveroso rigettare l’impostazione del Consulente della Pubblica Accusa, che a sua volta risiede nella non appartenenza del “fondo svalutazione crediti” alle voci legali obbligatorie in cui si articola il bilancio, come comunicazione sociale.
B. Neppure l’idea d’incentrare il calcolo della soglia di punibilità di cui al 8° comma dell’art. 2622 cod. civ. sulle “singole linee di credito” attivate dall’Istituto bancario viene accolta dal Tribunale.
In primo luogo, si osserva che i singoli rapporti di creditonon sono oggetto di alcuna informazione contabile obbligatoria, non comparendo come tali fra gli elementi costituitivi degli schemi legali dello stato patrimoniale e del conto economico dettati dagli articoli 2424 e 2425 del codice civile. Il necessario raccordo del principio di tassatività penalecon le previsioni extrapenali che disciplinano la struttura legale tipica del bilancio bancario impone, infatti, di considerare comepossibile oggetto delle singole valutazioni estimative, cui fa riferimento la norma incriminatrice,“soltanto le singole voci dello stato patrimonialee del conto economicodi cui è composto il documento contabile: non aggregati spuri di esse, ma nemmeno loro sotto articolazioni o parcellizzazioni”.
Nondimeno, afferma il Tribunale, “l’idea di identificare la base di calcolo del limite di tollerabilità delle erronee valutazioni con i singoli rapporti di credito intrattenuti dalla Banca appare anche in contrasto con alcune fondamentali coordinate dell’attività di gestione bancaria”. Con ciò intende fare riferimento al fatto che, ad esempio, in presenza di valutazioni forfettarie, nell’ambito di una stessa valutazione aggregata non discostantesi per più del 10% da quella corretta, potrebbero nascondersi errori di valutazione ultra-soglia di singole posizioni creditorie, tuttavia compensate da altre valutazioni di segno opposto ad esse indistinguibilmente sovrapposte. D’altronde, nel bilancio non confluiscono i valori dei singoli crediti, semplicemente perché il bilancio è una comunicazione finale e riassuntiva, che ha la funzione di informare i soci, e il pubblico, circa i valori di sintesi di quanto in esso appostato.
3. Un’ipotesi ricostruttiva delle modalità operative del requisito di punibilità posto dall’8° comma della norma incriminatrice è stata poi avanzata nell’interesse delle parti civili. I consulenti hanno in particolare proposto di considerare, quale denominatore di calcolo, la voce “130 lett. a)” del conto economico, rubricata “rettifiche/riprese di valore nette per deterioramento di crediti“. Pur tuttavia, anche le rettifiche o accantonamenti lungi dal rappresentare un’autonoma valutazione di un elemento dell’attivo, ne derivano come mera conseguenza algebrica; non sono pertanto stimabili singolarmente, ma solo subordinatamente alla previa valutazione/svalutazione della voce “crediti”.
4. Da tutto quanto premesso, il Tribunale di Rimini fa discendere quale unica interpretazione plausibile quella di parametrare il calcolo della soglia di punibilità del 10% su una singola voce dello stato patrimoniale; e in particolare, “vertendo gli addebiti su di un’asserita erronea valutazione, da parte di Banca X, della propria esposizione creditoria verso alcuni clienti, sulla voce n. 70, rubricata crediti verso la clientela”.
La categoria “crediti verso la clientela” è oggetto di un autonomo dovere informativo che la Banca deve assolvere, conformemente al dettato del codice civile (art. 2424: schema dello stato patrimoniale – attivo – attivo circolante – crediti – crediti verso clienti), così come integrato e specificato dai principi contabili internazionali e dalla circolare n. 262 del 2005 della Banca d’Italia. Più in particolare, la stessa rappresenta un aggregante contabile omogeneo e coeso, definito direttamente dal legislatore e non certo ritagliato arbitrariamente dal redattore del bilancio, o da un qualsivoglia interprete di quello stesso documento. Nondimeno, la modalità di calcolo incentrata sull’ammontare della voce “crediti verso la clientela” si appalesa l’unica rispettosa della tipicità legale: invero, tale stima per un verso costituisce una valutazione di sintesi, oggetto quindi di un dovere comunicativo cui viceversa non soggiacciono le singole poste creditorie, mentre, per altro verso, e al tempo stesso, rappresenta un giudizio estimativo a sé stante, cioè originario e non aliundededotto o derivato.
5. Ciò posto, poiché nel presente caso (con riferimento alla suddetta voce “crediti verso la clientela”) i Periti nominati dal Tribunale hanno concluso per il mancato superamento della soglia di punibilità del 10% sia con riferimento al bilancio al 31.12.2009, sia con riferimento alla situazione semestrale al 30.6.2010, il Tribunale ha ritenuto di assolvere gli imputati “perché il fatto non sussiste”.
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Collegamenti con altre sentenze e dottrina: Corte cost. sent. n. 161 del 2004; Sez. Unite, Sent. n. 37954 del 2011; Cass., Sez. V pen., Sent. n. 26343 del 2006; Sez. Unite, Sent. n. 1963 del 2011. V. inoltre, ex multis, Mazzacuva-Amati,Diritto penale dell’economia, Padova, Cedam, 2018.
Dott.ssa Maria Federica Carriero,
dottore e assegnista di ricerca
presso l’Università di Modena e Reggio Emilia