Corte di Assise di Alessandria, sent. 14 dicembre 2015, n. 1 (dep. 6 giugno 2016)
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Oggetto del provvedimento
A) natura e struttura del delitto di avvelenamento delle acque; criteri di accertamento dell’avvelenamento;
B) contravvenzione di omessa bonifica; necessità progetto approvato per la configurazione del reato
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Contenuto del provvedimento
Il caso che si annota rientra in un recente filone giurisprudenziale volto a contestare l’avvelenamento doloso in relazione a fenomeni di gravi contaminazioni delle acque causati da attività industriali ( o da discariche) protratte nel tempo.
Si pensi ai casi della discarica di Bussi, al processo Tamoil di Cremona, a quello in esame e, in relazione alla distinta sottofattispecie dell’avvelenamento di sostanze alimentari, al Caso Ilva di Taranto.
Nel caso di specie l’accusa contestava ai vertici delle due aziende succedutesi nella gestione dello stabilimento chimico di avere causato l’inquinamento del complessivo bacino idrico sottostante lo stabilimento industriale, in un area potenzialmente destinata ad essere captata dall’acquedotto comunale della città di Alessandria.
Secondo l’accusa gli imputati avrebbero commesso altresì la contravvenzione di omessa bonifica, avendo fornito alle autorità competenti dati falsi, inesatti e reticenti, in sostanza rappresentando una situazione di inquinamento ben meno grave di quella poi accertata e già loro nota, così ritardando e condizionando la procedura di bonifica.
La Corte di Assise di Alessandria ridimensiona notevolmente l’accusa, riqualificando il fatto di avvelenamento doloso in disastro colposo, accertato in relazione solo ad alcuni degli imputati.
In particolare, la Corte dà per provata la grave contaminazione della falda unitariamente intesa, ma considera che non sia provato il concreto pericolo di pericolo per la salute pubblica, posto che, in concreto, l’acqua captata dai singoli pozzi che fornivano acqua allo stabilimento o ai singoli cittadini non era destinata all’alimentazione o non era contaminata.
La Corte respinge la tesi dell’accusa, fondata su talune vecchie pronunce, secondo la quale sarebbe sufficiente la potenziale destinabilità potenziale delle acque all’alimentazione (presente nel caso di specie), anziché l’attuale destinazione (assente) (per più ampi riferimenti cfr. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, III ed., Torino, 2016,101 s.).
La sentenza si segnala per altre importanti e non scontate interpretazioni:
- il delitto di avvelenamento come reato di pericolo concreto.
A tale risultato la Corte arriva tramite la valorizzazione della pregnanza semantica del termine “avvelenamento”, e dalla severità della pena minacciata (da quindici a ventiquattro anni), che suggerirebbe di esigere un livello di offesa più significativo;
- la distinzione tra avvelenamento e corrompimento di acque colta nella quantità e qualità del veleno immesso, e non nel grado di pericolo causato.
I fatti di grave contaminazione vengono riqualificati sia sul pian oggettivo che soggettivo: da avvelenamento doloso a disastro colposo.
In particolare la Corte aderisce alla tesi (minoritaria) che vede il dolo del disastro (anche avvenuto, come nel caso di specie) come dolo intenzionale, non bastando il dolo eventuale.
Sul piano processuale, la riqualificazione in melius, secondo la Corte, non integrerebbe una violazione del principio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza, avendo la difesa potuto difendersi (ed essendosi concretamente difesa) anche rispetto ai fatti di disastro, e in parte rispetto alla diversa qualificazione giuridica (artt. 434 e 449 c.p., a seconda degli imputati) poi decisa in sentenza.
La Corte, infine, assolve dalla contravvenzione di omessa bonifica, ritenendo insussistente il fatto, in mancanza di un progetto approvato.
La Corte aderisce così alla tesi, nettamente prevalente, secondo la quale tra i requisiti costitutivi della omessa bonifica vi è il previo progetto di bonifica approvato dalle autorità competenti (sul tema, anche per un commento all’unica pronuncia contraria, v. Ruga Riva, L’omessa bonifica nella giurisprudenza della Corte di Cassazione: un caso di analogia in malampartem? In Riv. it. dir. e proc. pen., 2012, 405 ss.).
Carlo Ruga Riva