Trib. Bologna, I sezione penale, 19 settembre 2017, dep. 25 settembre 2017, n. 3846
*** *** ***
Oggetto del provvedimento
Con la pronuncia in oggetto il tribunale di Bologna giunge alla condanna dell’imputato per concorso, in qualità di extraneus, nei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e autoriciclaggio commessi dall’intraneus. L’imputato avrebbe infatti assistito il fallito nelle fasi precedenti il fallimento, fornendo assistenza, consulenza e i contatti necessari alla perpetrazione delle distrazioni e delle successive articolate operazioni di reimpiego, risultate concretamente idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei fondi distratti.
*** *** ***
Contenuto del provvedimento
La pronuncia prende le mosse da una complessa operazione societaria realizzata materialmente dagli amministratori e legali rappresentati della società fallita ma ordita dall’imputato, il quale avrebbe pertanto assunto il ruolo di consulente e intermediario tra i vari protagonisti della vicenda.
In prossimità del fallimento della società Alfa Srl, gli amministratori e l’imputato mettevano in piedi un’articolata manovra al fine di distrarre dalle casse sociali una cospicua somma di denaro, da impiegare poi nella nuova attività di impresa, svolta dalla neocostituita Beta Srl. Quest’ultima, amministrata dai medesimi soggetti, proseguiva l’attività della fallita senza sostanziali cambiamenti, avendone ricevuto gli asset.
Per fare ciò, dietro consiglio dell’odierno imputato, la società Alfa acquistava, prima del fallimento, ricambi in ghisa per circa € 135.000 dalla compiacente società Gamma Srl; si trattava invero di materiale del tutto estraneo alle esigenze produttive di Alfa nonchè del tutto privo di valore commerciale. Gamma, trattenuto il prezzo di costo e l’IVA, versava la residua somma di denaro (circa il 70%) alla società estera Delta Lda, di cui l’imputato era collaboratore, a titolo di provvigione. Tale somma veniva invero fatta riconfluire nelle mani degli ex amministratori della fallita (ora amministratori di Beta) grazie allo schermo giuridico di una società portoghese, costituita dagli stessi nel porto franco di Madeira, su specifica e puntuale indicazione dell’imputato. Beta veniva dunque, al termine di questa operazione, ricapitalizzata dalla società di diritto portoghese che aveva nel frattempo ricevuto il denaro da Delta per operazioni in realtà mai compiute; tale aumento di capitale attribuiva così maggiore affidabilità nei confronti dei terzi a Beta e – contestualmente – permetteva il perfezionamento della distrazione in danno dei creditori della fallita Alfa.
Il Tribunale ha affermato come provato ogni ragionevole dubbio riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato alla luce della specifica conoscenza sia del dissesto sia dell’inservibilità dei pezzi acquistati. Pacifico risulterebbe infine, secondo la ricostruzione dei Giudici di primo grado, l’apporto causale del partecipe, avendo egli contribuito sia sotto il profilo morale che sotto quello materiale alla commissione del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, che ha rappresentato «la prima tappa dell’operazione fraudolenta di cui è stato il principale artefice».
L’imputato veniva, altresì, condannato per concorso esterno in autoriciclaggio per le somme versate dalla società Gamma (la società che aveva ricevuto dalla fallita il denaro per la compravendita dei ricambi in ghisa) alla società estera Delta, dopo il fallimento di Alfa, poi fatti rientrare nella disponibilità degli amministratori e da questi reimpiegati nella nuova attività d’impresa. Il Collegio giudicante nota come la contestazione della Pubblica Accusa, limitata alle solo somme trasferite successivamente alla data del fallimento, si adeguerebbe a quella tesi giurisprudenziale che reputa integrante i reati di riciclaggio e reimpiego (e dunque, aggiunge il Collegio, anche di autoriciclaggio) soltanto in presenza di condotte poste in essere dopo la dichiarazione giudiziale di fallimento, non essendo ammissibile ipotizzare la consumazione di tali delitti prima del perfezionamento del reato presupposto. Viene invero notato in un obiter dictum come tale orientamento debba intendersi superato alla luce delle più recenti pronunce di legittimità che reputano punibili a titolo di riciclaggio (e, pertanto, anche a titolo di autoriciclaggio) i fatti commessi prima del fallimento in tutti i casi in cui le condotte distrattive fossero ab origine qualificabili come appropriazioni indebite, per effetto del rapporto di progressione criminosa esistente tra le fattispecie e il conseguente assorbimento di tale ultimo delitto nella bancarotta fraudolenta (laddove il soggetto attivo venga dichiarato fallito).
A giudizio del Tribunale deve reputarsi correttamente contestato all’imputato il concorso esterno in autoriciclaggio – e non la più grave ipotesi di riciclaggio – avendo questi concorso alla commissione del reato presupposto. L’intera operazione sarebbe stata pertanto finalizzata a far rientrare nella disponibilità degli ex amministratori della fallita i fondi trasferiti all’estero a seguito della fittizia vendita dei ricambi in ghisa. Tali fondi sarebbero stati infatti in parte distratti e dirottati verso la società portoghese affinché sottoscrivesse l’aumento di capitale della newco e in parte corrisposti agli amministratori stessi affinché li impiegassero direttamente nella “nuova” attività d’impresa. La condotta risulterebbe pertanto concretamente idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei fondi distratti e reimpiegati nella nuova attività imprenditoriale.
*** *** ***
Collegamenti con altre pronunce
La sentenza conferma e integra (inserendo il riferimento anche all’autoriciclaggio) la posizione assunta dalla Corte di cassazione in merito alla configurabilità dei delitti di ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta, reputandoli configurabili anche nell’ipotesi di distrazioni commesse prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni siano ab origine qualificabili come appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 c.p. (in questo senso Cass. pen., sez. II, 3 luglio 2015, n. 2295 (dep. 20 gennaio 2016) Rv. 266018; Cass. pen., sez. II, 19 aprile 2016 n. 33725 (dep. 2 agosto 2016) Rv. 267497; contra Cass. pen., sez. II, 23 aprile 2015, n. 23052 (dep. 29 maggio 2015) Rv. 264040).
Lavinia Messori – Dottoranda di ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia