Corte d’Appello di Bologna, Sezione II Penale, Sent. 25 ottobre 2017, n. 4753
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Oggetto del provvedimento:
La sentenza in commento affronta il tema della necessaria sussistenza del requisito della c.d. doppia ingiustizia ai fini della configurabilità del delitto di abuso d’ufficio, con specifico riferimento ad un caso di sviamento di pazienti dalla struttura pubblica verso quella privata posto in essere da un dirigente medico ospedaliero, nell’ambito dello svolgimento di attività sanitaria intra moenia.
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Il contenuto del provvedimento:
Con la pronuncia in commento la Corte d’Appello di Bologna, pur confermando la condanna a carico di un dirigente medico ospedaliero per i plurimi delitti di truffa aggravata da violazione dei doveri inerenti il pubblico servizio svolto e dal danno cagionato all’Ente Pubblico, riforma parzialmente la sentenza di primo grado mandando assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 323 c.p. ritenendo di non poter ravvisare nel caso di specie il requisito della c.d. doppia ingiustizia tipizzante tale fattispecie delittuosa.
Quanto ai contestati delitti di truffa, il giudice di prime cure riteneva di poter giungere ad una pronuncia di colpevolezza poiché all’esito dell’istruttoria era risultato come i singoli pazienti avessero prenotato una visita per il tramite del CUP presso la struttura pubblica, che in realtà non veniva effettuata in quanto l’imputato, sulla base del raggiro consistito nell’informarli che la normativa era cambiata e che la prestazione non era più a carico del SSN, provvedeva a visitarli in regime di attività libero professionale intramuraria, riscuotendo direttamente egli stesso i pagamenti della prestazione.
Quanto al delitto di abuso d’ufficio, l’accusa si fondava sull’omessa astensione dell’imputato, in presenza di un interesse privato per i rapporti che intratteneva con un centro medico privato, dallo sviare presso quest’ultimo i pazienti con cui veniva in contatto nell’ambito delle prestazioni erogate presso le strutture pubbliche.
In particolare, il giudice di primo grado riteneva che l’istruttoria avesse dimostrato come l’imputato avesse “sviato” cinque pazienti dalla struttura pubblica presso la quale svolgeva la propria attività verso una struttura privata ove lo stesso rivestiva il ruolo di direttore scientifico non solo sulla base dei documenti sequestrati presso il centro medico privato, ma anche e soprattutto delle deposizioni testimoniali.
Investita da specifico motivo di gravame in punto di sussistenza del requisito dell’ingiustizia della condotta, la Corte bolognese ritiene dapprima di dover confermare la sentenza di primo grado in quanto integrato l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 323 c.p. costituito dall’obbligo di astensione e dell’interesse proprio in capo all’imputato nell’indirizzare i pazienti verso la struttura privata. Ciò in ragione del fatto che, pur essendo vero che l’imputato figurasse quale semplice “direttore scientifico” del centro privato, e pur risultando documentalmente che tale incarico non prevedesse a suo carico alcuna attività diagnostica o terapeutica diretta verso i pazienti, né tantomeno alcuna forma di retribuzione, risultava comunque che tale attività non fosse stata previamente comunicata all’azienda pubblica come invece imposto dal Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Nonostante ciò, la Corte giunge comunque ad una pronuncia assolutoria in ragione della mancanza del secondo requisito costituente l’elemento della doppia ingiustizia tipizzante il reato in esame, ovvero l’esistenza di un vantaggio patrimoniale qualificabile come contra ius e non iure.
Nel caso in esame, infatti, dalle dichiarazioni testimoniali era risultato che l’imputato non aveva eseguito nei confronti dei pazienti alcuna prestazioni medica e/o diagnosi valutativa presso il centro medico privato, né, tantomeno, ricevette compensi diretti o altre utilità per le prestazioni erogate da tale struttura. A ciò aggiungasi che la difesa aveva dimostrato che le prestazioni sanitarie che l’imputato aveva prescritto di svolgere presso la struttura privata non potevano essere erogate da quella pubblica in quanto sprovvista di attrezzature specifiche per le patologie dalle quali erano affetti i pazienti.
Allineandosi alla prevalente giurisprudenza di legittimità sul punto, la Corte d’Appello ricorda infatti come “ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio, anche nel caso di violazione dell’obbligo di astensione, è necessario che a tale omissione si aggiunga l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale deliberato, con conseguente duplice distinta valutazione da parte del giudice, che non può far discendere l’ingiustizia del vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato”.
Tanto premesso, non potendosi ritenere raggiunta nel caso in esame la prova di alcun vantaggio patrimoniale a favore dell’imputato dallo sviamento dei pazienti, né di alcun vantaggio a favore del centro medico privato, che in effetti vide remunerate delle prestazioni sanitarie effettivamente erogate, né, tantomeno, alcun pregiudizio per i pazienti, che in effetti usufruirono di prestazioni diagnostiche e terapeutiche non disponibili presso la struttura pubblica, la Corte non può che concludere per l’assoluzione dal delitto di abuso d’ufficio per insussistenza del fatto contestato.
La pronuncia in esame si pone in perfetta sintonia con quella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, secondo cui in punto di accertamento della c.d. doppia ingiustizia il giudicante deve necessariamente accertare non solo la sussistenza di una condotta costituente violazione di legge, ma anche che l’evento di danno o di vantaggio sia ingiusto in sé e per sé, e non soltanto come riflesso della violazione di norme da parte de pubblico ufficiale, con la conseguente irrilevanza penale di comportamenti abusivi che, come nel caso di specie, non determinino alcun danno o vantaggio contrari al diritto.
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Collegamenti con altre pronunce:
Con riferimento ad un caso in parte analogo cfr. Cass Pen., Sez. VI, 27 giugno 2006, n. 35831
In senso conforme, tra le più recenti, Cass. Pen., Sez. III, 23 marzo 2016, n. 3874; Cass. Pen., Sez. VI, 18 marzo 2016, n. 17676; Cass. Pen., Sez. VI, 17 febbraio 2015, n. 10133.
In senso parzialmente difforme Cass. Pen., Sez. VI, 4 novembre 2015, n. 48913, nonché Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 11934 secondo cui dall’accertamento della violazione di legge o di regolamenti potrebbe farsi derivare l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale.
Avv. Francesco Gaspardini