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Cass. Pen., Sez. III, 18.09.2018, n. 51603.

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Oggetto del provvedimento.

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte di Cassazione si pronuncia per la prima volta sul tema di indubbio interesse concernente l’applicabilità della normativa di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 anche al sequestro preventivo funzionale alla confisca ex art. 12 bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in forza del rinvio operato dall’art. 104 bis disp. att. cod. proc. pen. al codice antimafia.

Più nel dettaglio, il punctum dolens al centro della pronuncia in esame concerne il quesito relativo al se il sequestro preventivo di una partecipazione sociale totalitaria comporti, di diritto, l’estensione del vincolo anche all’intero complesso aziendale, alla luce del combinato disposto degli artt. 104 bis disp. att. cod. proc. pen., 20 e 41, co 1°, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

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Contenuto del provvedimento.

1. La vicenda giudiziaria alla base.

La vicenda giudiziaria in commento trae origine da un sequestro preventivo avente ad oggetto, tra gli altri, il 100% delle quote di una società a responsabilità limitata i cui amministratori, di fatto e di diritto, risultavano indagati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Macerata per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 poichè, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, avvalendosi nella relativa dichiarazione per l’anno 2016, di fatture, emesse da più società, per operazioni soggettivamente inesistenti, indicavano elementi passivi fittizi per complessivi 796.633,00 euro.  Nella specie, il decreto di sequestro preventivo alla base era a struttura cd. mista (Cass. Pen. Sez. III, 1 dicembre 2017, n. 29862) finalizzato alla confisca diretta del profitto, ove rinvenuto, nei confronti della società e per equivalente di beni mobili, immobili e somme di denaro nella disponibilità dell’amministratrice di diritto che, secondo l’ipotesi accusatoria, in concorso con l’amministratore di fatto, avrebbe posto in essere una c.d. “frode carosello”.

Il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Macerata, inoltre, “al fine di evitare il depauperamento delle attività economiche gestite dalle società da sottoporre a sequestro”, aveva provveduto alla nomina di due amministratori giudiziari, in applicazione dell’art. 104 bis, co 1°, disp. att. cod. proc. pen. che come è noto, dopo la novella ex l. 17 ottobre 2017, n. 161, consente espressamente di applicare l’art. 35 del d.lgs. 159/2011, relativo alla nomina di amministratori giudiziari inseriti in apposito Albo, ai casi in cui sia necessario assicurare l’amministrazione di aziende, società, ovvero beni.

Di peculiare interesse soprattutto il provvedimento immediatamente successivo emesso dallo stesso Giudice il quale, su istanza degli amministratori così nominati, chiariva che il sequestro preventivo della partecipazione sociale totalitaria comporta, di diritto, l’estensione del sequestro anche al complesso aziendale,  in forza del combinato disposto degli  artt. 104bis disp. att. cod. proc. pen., 20 e 41, co 1°, del codice antimafia. In altre parole, ad avviso del Giudice per le indagini preliminari il rinvio operato dall’art. 104bis disp. att. cod. proc. pen. al codice antimafia implicherebbe ex se l’applicazione della medesima disciplina prevista dall’art. 20 per l’esecuzione del sequestro di prevenzione anche al caso in cui un sequestro cautelare abbia ad oggetto partecipazioni sociali totalitarie. Ciò in particolare in relazione a quanto disposto dal co. 1° il quale stabilisce che: “[] In ogni caso il sequestro avente ad oggetto partecipazioni totalitarie si estende di diritto a tutti i beni costituiti in azienda ai sensi degli artt. 2555 e ss. Codice civile. […]”.

Tempestiva l’impugnazione degli indagati le cui argomentazioni venivano accolte dal Tribunale di Macerata in funzione di giudice dell’appello ex art. 322 bis c.p.p., che, con ordinanza motivata, revocava il provvedimento sopra indicato e disponeva il dissequestro dell’azienda.

Senza entrare nel merito delle motivazioni fatte proprie dal giudice cautelare, non può ad ogni modo negarsi l’importanza di due argomenti posti alla base del provvedimento di revoca legati a filo doppio con l’iter logico argomentativo seguito dagli Ermellini nella sentenza commento. Da un lato, il Collegio cautelare ha osservato come non sia consentito estendere la disciplina dettata in materia di sequestro di prevenzione al sequestro disposto quale misura cautelare reale per quanto riguarda l’individuazione del compendio di beni sottoponibili al vincolo, poiché è innegabile la disparità di presupposti e di “ratio” delle rispettive misure. Dall’altro lato, lo stesso Tribunale ha aggiunto che il rinvio espresso dell’art. 104bis disp. att. cod. proc. pen. al codice antimafia deve ritenersi limitato al solo Libro I, Titolo III che disciplina l’amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e non anche all’art. 20 che fa parte del Titolo II non espressamente richiamato dalla norma.

2. Il ricorso del pubblico ministero.

Ciò nondimeno, avverso suddetta ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata deducendo la violazione ex art. 606 lett. b) per inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 41 e 20 d.lgs. 159/2001, asseritamente richiamati dall’art. 104 bis disp. att. cod. proc. Pen..

In via di estrema sintesi, ad avviso del Procuratore, le norme in tema di amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati (e confiscati) di cui al codice antimafia sarebbero divenute il modello di riferimento per tutte le tipologie di sequestro penale, oltre che di prevenzione, per evitare la perdita di produttività dei beni sottoposti a vincolo e salvaguardare gli interessi economici e sociali coinvolti.

Sotto il profilo più propriamente normativo, inoltre, il ricorrente ritiene che l’art. 41 del d.lgs. 159/2011, norma ricompresa nel Titolo III e quindi direttamente applicabile al sequestro ex art. 321 co. 2bis c.p.p. per il richiamo contenuto nell’art. 104bis disp. att. cod. proc. pen., costituisca “il pendant della disciplina dettata dall’art. 20” che, come visto, con riguardo all’oggetto del sequestro, stabilisce l’estensione di diritto del vincolo avente ad oggetto partecipazioni totalitarie a tutti i beni costituiti in azienda. In altre parole, ad avviso del pubblico ministero ricorrente, se le modalità di amministrazione e gestione della partecipazione sociale totalitaria devono essere le stesse nel caso di sequestro di prevenzione e del sequestro di cui al codice di rito non può che ritenersi implicitamente riconosciuta l’automatica estensione del vincolo con finalità ablatorie all’intero complesso aziendale.

Invero, tale iter logico argomentativo pare ad una prima analisi carente e viziato per una molteplicità di ragioni che, da un lato, paiono risentire della ancora onnipresente incertezza interpretativa circa la molteplicità di forme di confisca (e sequestri) esistenti nel nostro ordinamento e la loro natura giuridica, dall’altro, pare disattendere i più importanti principi alla base del diritto penale quale il principio di legalità e i suoi corollari, superficialmente trascurando le peculiarità del sequestro finalizzato alla confisca tributaria ex art. 12bis d.lgs. 74/2000 anche alla luce delle specificità delle fattispecie di reato che ne sono alla base.

3. L’intervento del giudice di legittimità e la tutela del principio di legalità in materia cautelare e ablatoria.

Il ricorso del Pubblico ministero è stato considerato inammissibile dalla sentenza in commento con una motivazione che si ritiene condivisibile tramite la quale la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato (e ribadito) alcuni principi di diritto di peculiare interesse e degni di menzione.

In primo luogo, il Collegio ha ritenuto doveroso affermare per la prima volta il principio in forza del quale “l’art. 20 del codice antimafia non è una norma di carattere generale che trova applicazione in ogni caso di sequestro totalitario di partecipazioni societarie ed in particolare nel sequestro preventivo nei reati tributari”.

Di peculiare interesse la ratio sottesa all’affermazione di tale principio.

Gli Ermellini, infatti, a supporto della propria conclusione, hanno ritenuto doveroso pronunciarsi ancora una volta sulla diversità di ratio e natura giuridica che contraddistingue le tre forme di confisca astrattamente in rilievo nella vicenda giudiziaria in esame: confisca di prevenzione, confisca del profitto e confisca per equivalente.

A tal riguardo, sinteticamente la Corte ricorda che la confisca di prevenzione di cui al codice antimafia (artt. 24 e 25), connessa all’art. 20 qui in discussione, è riconducibile alle misure ante o praeter delictum in quanto del tutto indipendenti dalla realizzazione di un fatto di reato e dal suo accertamento in sede penale. Per noto orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. SS.UU. 26 giugno 2014, n. 4880), infatti, la cd. confisca antimafia persegue l’intento di neutralizzare la componente di pericolosità insita nel permanere della ricchezza illecitamente acquisita nelle mani di soggetti che non possano dimostrarne la legittima provenienza e possano continuare ad usarle per produrre altra ricchezza. La confisca diretta del profitto (o prezzo) ex art. 12 bis d.lgs. 74/2000, invece, è una misura di sicurezza che soggiace alle regole di cui all’art. 200 e ss. c.p., quale forma speciale di quella di cui all’art. 240 c.p., e può essere disposta per beni che hanno un rapporto di pertinenzialità col reato. In  assenza di questi, in via sussidiaria e ove consentito, si può fare ricorso infine alla confisca per equivalente (art. 322 ter c.p.) che ha natura sanzionatoria e che richiede l’accertamento giudiziale della commissione di un reato con sentenza di condanna (per un confronto sul tema in materia di confisca diretta Cass. SS. UU. 26 giugno 2015, n. 31617).

La ricostruzione così effettuata dai giudici di legittimità del resto non può ritenersi meramente didascalica o ricostruttiva degli orientamenti giurisprudenziali più recenti in materia ma, al contrario, fondamentale in un caso come quello in discussione in cui il decreto genetico del sequestro preventivo era finalizzato alla confisca del profitto del reato tributario, anche per equivalente e, quindi, legittimato ex art. 321, co. 2°, c.p.p., e non ex d.lgs. 159/2011 in funzione di una confisca antimafia.

Sulla base della evidente diversità ontologica e teleologica dei sequestri (e conseguenti confische) in questione, infatti, la Suprema Corte di Cassazione coglie l’occasione per precisare che la lettura del pubblico ministero dell’art. 20 del codice antimafia quale norma di carattere generale sarebbe errata anche alla luce di una interpretazione letterale e sistematica della disposizione: l’estensione del sequestro delle partecipazioni totalitarie previsto da tale norma, infatti, è sempre strumentale alla confisca dei patrimoni illecitamente accumulati prevista dall’art. 24 dello stesso codice. Ne consegue che lo stesso art. 41 del codice antimafia è stato dettato con specifico riferimento alla disciplina degli artt. 21 e 24 e, quindi, nell’ambito del sequestri e della confisca di prevenzione anche perchè nessuna delle più recenti novelle che hanno interessato l’istituto della confisca (d.lgs. n. 292/2016; d.lgs. n. 21/2018; d.lgs. 158/2015) ha esplicitamente previsto l’estensione del sequestro delle partecipazioni societarie totalitarie all’azienda in casi diversi da quello di cui al d.lgs. 159/2011.

Del resto, seppure non espressamente affermato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, ragionare diversamente implicherebbe una evidente violazione del principio di legalità alla base del diritto penale e costituzionalmente e convenzionalmente protetto ex artt. 25, co. 2°, Cost. e 7 Cedu, quanto meno per un’innegabile violazione del divieto di analogia in malam partem.

Vi è però anche un altro passaggio della sentenza in commento che si ritiene degno di rilievo.

Gli Ermellini, infatti, tengono attentamente a sottolineare come l’accoglimento della tesi del pubblico ministero ricorrente porterebbe anche ad “effetti asistematici” proprio con riferimento ai reati tributari e, in particolare, all’art. 2 d.lgs. 74/2000 contestato agli indagati nel caso in esame.

Più nel dettaglio, a supporto delle argomentazioni sostenute, la Suprema Corte di Cassazione richiama l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale il profitto oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca ex art. 12bis d.lgs. 74/20000 è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale in quanto il profitto del reato dichiarativo di frode fiscale è costituito esclusivamente dal valore di tali importi.

A tal riguardo, infatti, è noto l’orientamento delle Sezioni Unite secondo cui in tema di reati tributari [] il profitto [] è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo (Cass. SS. UU., 31 gennaio 2013, n. 18374), da non confondere invece con il più ampio concetto di debito tributario inclusivo di imposta, sanzioni ed interessi (Cass. Pen. Sez. III, 20 gennaio 2017, n. 28047).

Ne consegue che l’azienda, non costituendo l’importo dell’imposta evasa, non potrà mai costituire il profitto del reato al quale, al contrario, preesiste, rappresentando “lo strumento mediante il quale la società a responsabilità limitata ha svolto l’attività economica”, pena ancora una volta la violazione del principio di legalità.

Non solo. Sempre a conferma dell’illegittimità dell’estensione del vincolo ex art. 321, co. 2, c.p.p. anche al compendio aziendale in forza di un asserito rinvio ex art. 104bis disp. att. cod. proc. pen. la III Sezione tiene a sottolineare che l’azienda non può mai neanche essere sottoposta di per sé alla confisca per equivalente, perché è nella  disponibilità di soggetto giuridico autonomo (la società a responsabilità limitata nel cui interesse è stato commesso il reato) così ribadendo un altro principio granitico in giurisprudenza secondo cui non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica [], salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio (Cass. SS. UU. 30 gennaio 2014, n. 10561). Ancora una volta, quindi, giunge in soccorso il principio di legalità valido anche in materia di responsabilità amministrativa degli enti oltre che in relazione al carattere sanzionatorio della confisca per equivalente.

Infine, sempre sottendendo il rispetto del principio di cui all’art 25, co. 2°, Cost. e la diversità ontologica e teleologica delle misure in questione, la Terza Sezione conclude mettendo in evidenza come l’art. 20 d.lgs. 159/2011 qualificato quale norma di carattere generale dal ricorrente non avrebbe comunque potuto trovare applicazione poiché è stato introdotto con L. 17 ottobre 2017, n. 161 ed entrato in vigore il 19 novembre dello stesso anno, mentre, secondo l’ipotesi accusatoria, il reato sarebbe stato commesso il 3 febbraio dello stesso anno e, quindi, in epoca antecedente, pena in caso contrario la violazione del principio di legalità e del suo corollario dell’irretroattività della legge penale in quanto la confisca per equivalente ex art. 12bis d.lgs. 74/00 ha natura sanzionatoria.

In conclusione, la pronuncia in commento pare rappresentare un primo importante arresto interpretativo che, sulla scia dei principi cardine del diritto penale, pone in luce i rischi sottesi alla illegittima sovrapposizione tra la disciplina relativa alla mera nomina di amministratori giudiziari e il piano dell’esecuzione del provvedimento cautelare, soprattutto con riferimento al suo contenuto. Non può disconoscersi infatti che, nel nostro ordinamento, anche l’esercizio del potere cautelare è dominato dal principio di stretta legalità per cui la esplicita previsione di presupposti specifici che legittimano l’adozione della misura cautelare esclude che il giudice possa adottare determinate clausole o disporre nuovi sequestri che alterino strutture, conseguenze e finalità, legislativamente determinate come proprie della misura. Ne consegue che l’art. 104 bis disp. att. Cod. proc. pen. si limita a richiamare l’art. 35 del codice antimafia, al solo fine di individuare, nell’ambito dell’albo degli amministratori giudiziari, previsto da tale norma, il soggetto a cui l’Autorità Giudiziaria può affidare l’amministrazione dei beni sequestri. In caso contrario, peraltro, non avrebbe avuto senso alcuno che il legislatore abbia previsto che in ogni caso l’amministrazione può anche essere demandata a soggetti diversi.

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Collegamenti con altre pronunce

Non si sono rinvenuti precedenti specifici con riferimento all’estensione per via dell’art. 104 disp. att. c.p.p. dell’intero codice antimafia ad un sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12bis d.lgs. 74/2000.

Sulla confisca ex art. 12 bis d.lgs. 74/2000 e suoi presupposti, oltre alle pronunce indicate nel testo: Cass. Pen., sez. III, 02.03.2018, n. 24042; Cass. Pen., sez. VI, 30.01.2018, n. 10598.

Sulla nozione di profitto confiscabile ex art. 12 bis d.lgs. 74/2000, oltre alle pronunce indicate nel testo, ex multisCass. Pen., sez. IV, 9.10.2018, n. 51345; Cassazione penale sez. III, 02.03.2018, n. 24042; Cass. Pen., sez. III, 16.12.2015, n. 4567.

Sulla confisca tributaria nei confronti delle persone giuridiche per reati commessi dal rappresentante legale: Cass. Pen. sez. III, 17.05.2018, n. 38723; Cass. Pen. sez. IV, 24.01.2018, n. 10418.

Avv. Francesca Pontis


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