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Tribunale di Ancona, Sez. dei Giudici per le Indagini Preliminari e per l’Udienza Preliminare; ordinanza di archiviazione – 13 giugno 2017

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Oggetto del provvedimento

L’ordinanza in commento si conforma alla ormai costante giurisprudenza che ritiene inammissibile l’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal privato eventualmente danneggiato dal reato, ma non anche persona offesa “in senso tecnico-giuridico”. In particolare, con specifico riguardo al delitto di cui all’art. 353 c.p. “Turbata libertà degli incanti” e all’art. 323 c.p. “Abuso d’ufficio” (finalizzato a procurare un ingiusto vantaggio) la persona offesa dal reato va individuata nella sola Pubblica Amministrazione. Nello stesso senso – in tema di bancarotta fraudolenta – è inammissibile l’opposizione del singolo creditore, poichénon titolare dell’interesse protetto dall’art. 216 L. Fall.

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Contenuto del provvedimento

A seguito della richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero in ordine ai reati di cui agli artt. 323, 353 c.p. e 216 L. Fall. e dell’opposizione avanzata dal difensore dei denuncianti, il Giudice per le indagini preliminari dichiara quest’ultima inammissibile, sulla base dell’ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte che afferma come il privato cittadino querelante non possa considerarsi persona offesa dai reati in esame, ma – al più – semplice danneggiato e, dunque, non titolare dei diritti processuali di cui agli artt. 408, 409 e 410 c.p.p..

Ad avviso del GIP anconetano, infatti, nel reato di turbata libertà degli incanti previsto dall’art. 353c.p. il privato non è persona offesa ma, ricorrendone le condizioni, eventualmente solo danneggiato, poiché l’unico soggetto passivo titolare dell’interesse protetto è la P.A.

In proposito, va ulteriormente osservato che nel ribadire tale principio la Suprema Corte ha di recente specificato che “in un sistema penale improntato al principio di legalità formale il bene giuridico penalmente protetto deve desumersi da una analisi della stessa fattispecie incriminatrice da cui emerga esplicitamente (come nel caso dell’art. 595 cod. pen.), o implicitamente (come nel caso dell’art. 575 cod. pen.,) l’oggetto giuridico del reato. Dall’esame dell’art. 353 c.p., comma 1, si evince che le condotte penalmente rilevanti possono sostanziarsi in comportamenti di vario genere che non sempre comportano una coartazione, o comunque un condizionamento, della volontà dei concorrenti, ma che possono persino consistere in un deliberato accordo criminoso con il quale i partecipanti alterano l’andamento della gara in vista di un comune vantaggio. Invece, l’interesse giuridico che è sempre indefettibilmente attinto da tutte le condotte descritte dalla disposizione è quello della Pubblica amministrazione a un regolare svolgimento delle procedure competitive al fine di garantire la selezione dell’offerta migliore per l’amministrazione, secondo i parametri di economicità, efficienza dell’azione e dell’organizzazione amministrativa riconducibili al principio del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.)” (Cass. Pen., Sez. VI, 10 maggio 2017, dep. 7 giugno 2017, n. 28266).

Quanto al delitto di cui all’art. 323 c.p., va operata una distinzione: qualora si tratti di un abuso d’ufficio finalizzato a procurare un ingiusto vantaggio, e non dell’ipotesi alternativa consistente nell’arrecare ad altri un danno ingiusto, il delitto ha natura monoffensiva e lede solamente la P.A..“Ne consegue che il privato controinteressato, che può eventualmente assumere la veste di danneggiato, non è persona offesa dal reato e non è pertanto titolare dei diritti processuali di cui agli artt. 408, 409 e 410 c.p.p.” (Cass. Pen., Sez. VI, 14 novembre 2006, n. 40694).

Da ultimo, l’ordinanza dichiara inammissibile l’opposizione dei denuncianti anche in relazione alla pretesa violazione dell’art. 216 L. Fall., ritenendoche i privati creditori non siano titolari dell’interesse protetto dalla norma, poiché nei reati di bancarotta “l’interesse tutelato è, come è stato più volte affermato, quello della “massa” o collettività dei creditori”, considerati complessivamente e astrattamente”. Il GIP marchigiano, dunque, decide di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale maggioritario che propende per una rilevanza non del patrimonio del singolo creditore, quanto, piuttosto, dell’interesse generale dei creditori a non essere danneggiati da atti e comportamenti dell’imprenditore. E ciò anche in considerazione del fatto che “la grande varietà delle posizioni creditorie impedisce di considerare ogni singolo creditore persona offesa dal reato di bancarotta, anche solo a livello potenziale o di pericolo, dovendo verificarsi in concreto, e di volta in volta, quale di essi viene leso nell’aspettativa di riscossione del credito” (Cass. Pen., Sez. V., 11 aprile 2016, n. 23647). Va, però, necessariamente rammentato che in diverse occasioni la Suprema Corte si è diversamente pronunciata ritenendo“ogni creditore persona offesa dal reato di bancarotta” (Cass. Pen., sez. V, 18 dicembre 2008, n. 2513; sez. V, 3 ottobre 2003 n. 45713). Tale principio è però stato criticato dalla poc’anzi richiamata pronuncia (Cass. Pen., sez. V., 11 aprile 2016, n. 23647) perché “dà per presupposto ciò che dovrebbe dimostrare e crea una indebita commistione tra le posizioni della persona offesa e quella del danneggiato dal reato”. Se la sentenza n. 45713/2003 afferma che il reato di bancarotta “lede indubbiamente la garanzia patrimoniale dei creditori, ciascuno dei quali subisce l’offesa del reatopoiché “il carattere concorsuale della procedura fallimentare non esclude certamente il danno nei confronti dei singoli creditori, comportando soltanto la necessità che l’azione del singolo venga coordinata con quella collettiva”, la pronuncia del 2016 sottolinea come non sia corretto affermare “che ciascun creditore “subisce l’offesa del reato”, essendo l’offesa solo potenziale e, talvolta, esclusa in radice; in altri casi, non deriva dalla condotta illecita dell’imprenditore, ma dalla situazione di dissesto. Invece, è la “generalità dei creditori” – rappresentata, nel fallimento, dal curatore – che viene certamente offesa – anche solo a livello di pericolo concreto – nel suo interesse, allorché l’imprenditore, ancorché in bonis e pur agendo sul proprio patrimonio, pone in essere atti che compromettono la garanzia patrimoniale. Ne è prova proprio la L. Fall., art. 240, che riserva al curatore (o al commissario giudiziale o al commissario liquidatore) la facoltà di costituzione di parte civile nei processi per bancarotta e permette quella del singolo creditore in via sussidiaria, o quando questi intenda far valere un titolo di azione personale”.

Tali principi confermano che il titolo di legittimazione è dato, per il creditore, non dalla sua qualità di persona offesa, ma, eventualmente, di persona danneggiata.

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Collegamenti con altre pronunce

Sull’art. 353 c.p. si veda: Cass. Pen., sez. VI, 26 febbraio 2013, n. 11031; sez. VI, 5 aprile 2012, n. 18161; sez. V, 10 aprile 2013, n. 22200.

Sull’art. 323 c.p. si veda:Cass. Pen., sez. III, 14/04/2010, n. 1881, sez. VI, 14 novembre 2006 n. 40694; sez. VI, 26 ottobre 2005 n. 44999; n. 39751 del 2003; sez. VI, 3 novembre 1999, n. 3499; ma anche, Cass. Pen., sez. VI, 19/01/2016, (ud. 19/01/2016, dep.11/02/2016), n. 5746,“nel ritenere che il reato di abuso di ufficio quando sia commesso in danno di privati (e non sia cioè finalizzato a concedere un ingiusto vantaggio da parte del pubblico ufficiale) abbia natura plurioffensiva, nel senso che lede l’interesse della Pubblica Amministrazione ma, contemporaneamente, anche quello del privato, che, pertanto, ben può proporre opposizione alla richiesta di archiviazione”.

Sull’art. 216 L. Fall. si vedaCass. Pen., Sez. V., 11 aprile 2016, n. 23647; sez. V., 15 maggio 2014, n. 40981; sez. V, 18 dicembre 2008, n. 2513; sez. V, 3 ottobre 2003 n. 45713;

Avv. Francesco Dalaiti


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