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(Cass., Sez. Un., 31 marzo 2016)

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Oggetto del provvedimento

Con la pronuncia in oggetto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che “sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.

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Contenuto del provvedimento e collegamenti con altre pronunce

La Suprema Corte pone così termine – a quasi un anno di distanza dalla l. 27 maggio 2015, n. 69, che aveva riportato in auge il delitto di false comunicazioni sociali, dopo i 13 anni di “ibernazione” determinati dalla riforma del 2002 – ad una diatriba interpretativa che aveva fortemente diviso giurisprudenza e dottrina immediatamente dopo l’entrata in vigore della riforma (e preannunciata anzi già durante la tormentata fase di gestazione della medesima, con l’intervento premonitore di A. Perini, I “fatti materiali non rispondenti al vero”: harakiri del futuribile “falso in bilancio”?, in www.penalecontemporaneo.it, 27 aprile 2015).

La l. 69/2015, come è noto – nel contesto di una complessiva riformulazione delle fattispecie incriminatrici delle false comunicazioni sociali – ha fra le altre cose sostituito, nella descrizione dell’oggetto materiale del reato, la locuzione “fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni” con la più sintetica espressione “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”, espungendo l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”.

A pochi giorni dall’entrata in vigore della riforma la V Sez. pen. della Corte di Cassazione aveva ritenuto che “il dato testuale e il confronto con la previgente formulazione degli art. 2621 e 2622, […] in una disarmonia con il diritto penale tributario e con l’art. 2638 cod.civ.” (dove invece si è mantenuto il riferimento all’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”), fossero “elementi indicativi della reale volontà legislativa di far venir meno la punibilità dei falsi valutativi” [Cass., Sez. V pen., 30 luglio 2015 (ud. 16 giugno 2015), n. 33774, Crespi, in www.penalecontemporaneo.it; in dottrina, fra i primi commenti a caldo, si segnalano, nella medesima direzione interpretativa della sentenza Crespi, A. Lanzi, Quello strano scoop del falso in bilancio che torna reato, in Guida Dir., 2015, n. 26, p. 10 ss.; R. Bricchetti/L. Pistorelli, Escluse le valutazioni dalle due nuove fattispecieivi, 2015, n. 26, p. 60 ss.; in senso critico verso la sentenza Crespi, invece, ed in favore della perdurante rilevanza penale dei falsi valutativi, cfr. A. Crespi, Sentenze opache e legalità “formalistica”, in Riv. soc., 2015, p. 1033 ss.; F. D’Alessandro, La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del Giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?, in Giur. it., 2015, c. 2211 ss.;M. Gambardella, Il ritorno del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, p. 1723 ss.;F. Mucciarelli, Le nuove false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in www.penalecontemporaneo.it, 18 giugno 2015; Id., “Ancorché” superfluo, ancora un commento sparso sulle nuove false comunicazioni socialiivi, 2 luglio 2015; S. Seminara, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen.proc., 2015, p. 813 ss.; Id., False comunicazioni sociali e false valutazioni in bilancio: il difficile esordio di una riforma, in Riv. it. dir. proc.pen., 2015, p. 1498 ss.].

A pochi mesi di distanza da questa prima pronuncia intervenne la presa di posizione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, che, in una Relazione per la Quinta Sezione Penale (Riunione sezionale del 15 ottobre 2015) (in www.penalecontemporaneo.it, 30 novembre 2015), escludeva in radice “la possibilità di accordare alla non riproposizione del sintagma “ancorché oggetto di valutazioni” una qualsiasi valenza idonea ad eliminare le valutazioni dall’ambito di applicabilità delle nuove disposizioni in materia di false comunicazioni sociali”, ritenendo estranee alla fattispecie incriminatrice – secondo un orientamento tradizionale e consolidato in dottrina e giurisprudenza – “le sole opinioni di natura soggettiva, le previsioni, i pronostici (quelle operazioni che nella letteratura aziendalistica vengono denominate le stime di bilancio congetturali)”.

All’orientamento del Massimario si conformava, di lì a poco, la successiva decisione della sez. V della Cassazione, che, con articolata motivazione, ribadiva “il principio secondo cui nell’art. 2621 cod. civ. il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. Infatti, qualora intervengano in contesti che implichino accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o, comunque, tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono, quindi, dirsi veri o falsi” [Cass., Sez. V pen., 12 gennaio 2016 (ud. 12 novembre 2015), n. 3355, Giovagnoli, in www.penalecontemporaneo.it, 18 gennaio 2016, con note di F. Mucciarelli, Falso in bilancio e valutazioni: la legalità restaurata dalla CassazioneeM.N. Masullo, Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno rilevanti interrogativi].

Ma le oscillazioni interpretative della Sez. V della Cassazione non erano destinate a cessare e, a soli due mesi di distanza dalla sentenza Giovagnoli, lo stesso collegio in diversa composizione ritornava “convintamente” sulla linea della sentenza Crespi [Cass., Sez. V pen., 22 febbraio 2016 (ud. 8 gennaio 2016), n. 6916, Banca X, in www.penalecontemporaneo.it, 2 marzo 2016, con nota adesiva di M. Scoletta, Le parole sono importanti? Rilevanza delle false valutazioni nei delitti di false comunicazioni sociali e limiti esegetici del giudice penale).

L’evidenza del contrasto giurisprudenziale, interno alla medesima sezione della suprema corte, induceva infine opportunamente la medesima Sez. V a rimettere la questione al vaglio delle Sezioni Unite, rivolgendo alle medesime il quesito “se la modifica dell’art. 2621 c.c. per effetto dell’art. 9 della l. n. 69/2015 nella parte in cui, disciplinando le “false comunicazioni sociali”, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie” (Cass., Sez. V pen., ord. 2 marzo 2016, n. 676, Passarelli, in www.penalecontemporaneo.it, 16 marzo 2016, con nota di F. Mucciarelli, Oltre un discusso “ancorché” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche nota). La risposta delle Sezioni Unite è finalmente arrivata, in una direzione che sembra scongiurare (quantomeno per il momento) un clamoroso fallimento in partenza della tanto sbandierata intenzione del legislatore di “resuscitare” la fattispecie incriminatrice del falso in bilancio; vedremo quale sarà la risposta della giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché l’evoluzione del dialogo con una dottrina già fin dal principio apparsa estremamente variegata.

Luigi Foffani


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