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G.u.p. Tribunale di Venezia, Ord. 27 settembre 2017

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Oggetto del provvedimento

Con l’ordinanza in commento il G.u.p. presso il Tribunale di Venezia ha accolto la richiesta formulata dalle difese di alcuni enti imputati ai sensi del D.Lgs. n. 231/01 nell’ambito del noto procedimento “MOSE” , rigettando la richiesta di costituzione di parte civile di alcuni enti pubblici nei confronti dei predetti enti imputati.

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Contenuto del provvedimento

Come noto, la possibilità di esperire l’azione civile nel procedimento penale pendente a carico dell’ente ex D.Lgs. n. 231/2011- a causa del silenzio del legislatore sul punto – è stato uno dei temi maggiormente controversi tra quelli riguardanti i profili processuali del sistema normativo relativo alla responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche.

A tale riguardo, l’ordinanza in commento appare interessante in quanto, a seguito del vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito all’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, conferma gli approdi cui era pervenuta la giurisprudenza sia di legittimità, che costituzionale, di recente posti in discussione dalla Corte d’Assise di Taranto, che con ordinanza 4.10.2016,  ha ammesso la costituzione di alcune persone giuridiche quali parti civili nei confronti dell’ente ILVA S.p.a.

Dalla lettura dell’ordinanza si evince che le difese degli enti pubblici – richiamando in larga parte quanto affermato dalla Corte Tarantina – avevano fondato le proprie richieste risarcitorie principalmente sul rinvio alle norme del codice di rito  disposto dall’art. 34 del D.L.gs. n. 231/01, oltre alla proposizione di ulteriori argomenti a sostegno.

Secondo i patroni della parte civile la diretta operatività del rinvio contenuto all’art. 34 con riferimento alla costituzione di parte civile sarebbe confermata dall’assenza di una esclusione espressa, laddove il legislatore del 2001, quando ha ritenuto di dover escludere l’estensione della disciplina, ha provveduto in tal senso in maniera esplicita (si considerino, ad esempio, le norme specifiche in materia di informazione di garanzia e di archiviazione)

Ne deriverebbe la diretta applicabilità dell’art. 185 c.p anche al processo a carico degli enti., che individua nella commissione di un reato la fonte dell’obbligazione restitutoria e risarcitoria attivabile direttamente innanzi al giudice penale nelle forme previste dagli artt. 74 e sgg. c.p.p.

A tali argomentazioni se ne aggiungerebbero ulteriori di carattere sistematico, quali (a) la possibilità prevista dagli artt. 12, 17 di ridurre l’ammontare della sanzione comminabile all’ente a fronte di condotte riparatorie e reintegrative post factum; (b) la previsione dell’art. 19, che facendo espresso rinvio alla parte del profitto o di prezzo del reato che può essere restituita al danneggiato introdurrebbe esplicitamente un diritto all’esercizio dell’azione civile per l’accertamento della sussistenza di tale diritto e la relativa determinazione del quantum e (c) il parallelismo con la speciale disciplina del processo penale minorile, nell’ambito del quale, a fronte di un rinvio generale alle norme del codice di procedura penale, il legislatore ha espressamente escluso l’ammissibilità della costituzione di parte civile, a riprova del fatto che quando si è inteso escludere tale parte privata, vi si è proceduto in maniera espressa.

Riepilogate le argomentazioni avanzate dalle difese degli enti pubblici costituiti parte civile, il G.u.p. veneziano procede ad esaminare i diversi approdi giurisprudenziali di segno contrario all’ammissibilità della costituzione di parte civile.

In particolare, dopo aver riconosciuto di concordare con le difese degli enti pubblici in merito al fatto che la sentenza C-79/11 del 12 luglio 2012 della Corte di Giustizia non escluderebbe espressamente l’ammissibilità dell’istituto nel sistema processuale a carico degli enti, afferma che tale circostanza non sarebbe comunque dirimente, poiché con tale pronuncia i Giudici di Lussemburgo si sono limitati a riconoscere la compatibilità del D.Lgs. n. 231/01 con l’art. 9 della Decisione Quadro 2001/220/GAI nella misura in cui al danneggiato e alla persona offesa sarebbe sempre concessa la possibilità di esercitare l’azione civile nei confronti della persona fisica responsabile del reato presupposto.

Entrando nel merito della questione, il G.u.p. di Venezia afferma che non si può non concordare circa  il fatto che sarebbe da respingersi in toto la tesi per la quale l’art. 34 D.Lgs. n. 231/01 costituirebbe la norma attraverso cui  far entrare nel sistema del procedimento a carico degli enti l’istituto della costituzione di parte civile.

Sul punto, infatti, l’ordinanza afferma che non sarebbe superabile quanto affermato dalla Sezione VI della Cassazione con la sentenza n. 2251/2010, che“lascerebbe poco spazio ai dubbi, affrontando e risolvendo molte delle problematiche interpretative”; ciò in ragione del fatto che con tale pronuncia i giudici di legittimità anziché “trincerarsi” dietro la natura della condotta dell’ente – comunque definita senza mezzi termini un tertium genus che racchiuderebbe peculiarità sia ti tipo penale che di tipo amministrativo -, hanno inteso affrontare il tema in questione  attraverso un’analisi sistematica del testo del D.Lgs. n. 231/01.

E così non si potrebbe non rilevare come il Legislatore del 2001 abbia deliberatamente scelto di omettere sistematicamente di menzionare la parte civile sia nella parte in cui ha individuato i soggetti del procedimento, sia quando si è occupato della disciplina delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare.

A ciò si aggiungerebbe che gli artt. 185 c.p. e 74 e ss. c.p.p. presuppongono la commissione di un reato e non anche di un illecito amministrativo; definito quale fattispecie complessa, diversa e non sovrapponibile, di cui il reato è presupposto necessario, ma non sufficiente, essendo imprescindibili anche gli ulteriori elementi costitutivi del vantaggio dell’ente e delle condotte omissive di controllo.

Ulteriore conferma deriverebbe dall’art. 27 che limita la responsabilità civile al pagamento della sanzione pecuniaria e la previsione di uno speciale sequestro conservativo accessibile solo alla pubblica accusa.

La bontà di tali conclusioni troverebbe ulteriore conferma sia nella successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., Sez. IV, 17 ottobre 2014, n. 3786), sia in una pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 218 del 2014), con la quale quest’ultima ha confermato che illecito e reato non possono in alcun modo essere sovrapponibili.

Da ciò deriverebbe, in primo luogo, che l’autore del reato presupposto e l’ente non possono considerarsi coimputati, e, in secondo luogo, che l’art. 83, co. 1, c.p.p. non impedirebbe di costituirsi parte civile nell’ambito del procedimento a carico dell’imputato.

Pertanto, secondo il G.u.p. di Venezia tale evidenza non può che condurre a ritenere inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti degli enti imputati ex D.Lgs. n. 231/01, e, nel caso di specie, all’estromissione dell’ente pubblico quale parte civile.

Così sgombrato il campo da ogni dubbio in merito all’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti degli enti, in ragione (anche) della diversità ontologica tra reato e illecito ex D.Lgs. n. 231/01, l’ordinanza in commento agevolmente risolve – accogliendola – la questione concernente la richiesta di esclusione dell’ente pubblico costituito anche in qualità di persona offesa.

Posto che la presenza di tale parte processuale è giustificata tanto in quanto si possa parlare di reato, il G.u.p. di Venezia non può che concludere che “L’esclusione della qualificazione della condotta dell’ente come reato porta ad escludere coloro che nel presente procedimento si sono qualificate persone offese”.

E, forse, è proprio questa la parte della pronuncia in commento che più sembrerebbe prestare il fianco a critiche nella misura in cui non approfondisce i reali rapporti tra tali forme di responsabilità, anche alla luce di quanto affermato recentemente dalla Suprema Corte (Sezioni Unite, 24 aprile 2014, n. 38343 “ThyssenKrupp”; Sez, VI, 10 novembre 2015, n. 28299, Bonomelli).

Infatti, le Sezioni Unite, nel riconoscere che il reato commesso dalla persona fisica “è sicuramente qualificabile come ‘proprio’ anche della persona giuridica” si sono spinte fino ad affermare che la tradizionale responsabilità penale di quest’ultima si estende “per rimbalzo” anche alla seconda, mentre la Sezione Sesta ha inoltre precisato che il fatto di reato è elemento essenziale dell’illecito amministrativo e quindi della responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. n. 231/01.

Da ciò discende che, se la responsabilità della persona giuridica non è autonoma dal reato presupposto, non si può prescindere dall’individuazione della persona offesa, quantomeno in tutti quei frequenti casi in cui la stessa viene a rivestire un ruolo cardine all’interno dello stesso fatto di reato e, di conseguenza, un elemento imprescindibile dell’illecito attribuibile all’ente.

Pertanto, anche in ragione del fatto che le facoltà processuali della stessa sono molto più limitate rispetto a quelle proprie della parte civile, non si trovano ragioni per escludere la persona offesa dalla possibilità di fornire un apporto all’accertamento dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 231/01 esercitando i diritti e le facoltà di cui all’art. 90 c.p.p.

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Collegamenti con altre pronunce

G.u.p. Tribunale di Torino, 26 gennaio 2006; G.u.p. Tribunale di Milano, 24 gennaio 2008; G.u.p. Tribunale di Milano, 9 luglio 2009; G.u.p. Tribunale di Milano, Ord. 18 aprile 2008; G.u.p. Tribunale di Torino, Ord. 24 luglio 2008; G.u.p. Tribunale di Torino, Ord. 2 ottobre 2008; G.u.p. Tribunale di Milano, 5 febbraio 2008; Cass. Pen., Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 2251; Corte di Giustizia, Sent. C-79/11 del 12 luglio 2012; Corte Cost., Sent. 18 luglio 2014, n. 218; Cass. Pen., SS.UU., 18 settembre 2014, n. 38343; Cass. Pen., Sez. IV, 17 ottobre 2014, n. 3786; Cass. Pen., Sez, VI, 10 novembre 2015, n. 28299 Bonomelli; Corte Ass. Taranto, Ord. 4 ottobre 2016.

Avv. Francesco Gaspardini


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