Tribunale di Bologna, sent. n. 3348/2016 del 12.07.2016, dep. 1.8.2016 2016)
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Oggetto del provvedimento
La sentenza affronta principalmente tre temi:
– reato di deposito incontrollato di rifiuti: momento consumativo, natura permanente o meno e decorrenza dei termini di prescrizione;
– reato di omessa bonifica: requisiti costitutivi dell’art. 257 d.lgs. n. 152/2006, sufficienza del superamento delle CSC;
– responsabilità dell’ente da reato ex art. 25undecies d.lgs. n. 231/2001, criteri di commisurazione della sanzione.
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Contenuto del provvedimento
Il procedimento vede coinvolto l’amministratore unico di due società succedutesi nella gestione di una attività di stoccaggio e trattamento di rifiuti liquidi e fangosi pompabili, pericolosi e non.
L’accusa contestava tre contravvenzioni.
In primo luogo, in via alternativa, la contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti e di discarica abusiva, in relazione a svariate centinaia di metri cubi e di litri di rifiuti fangosi e liquidi, contenuti in vasche e serbatoi dello stabilimento, abbandonati in loco dal 2004, anno di scadenza dell’autorizzazione.
In secondo luogo la contravvenzione di inosservanza dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti.
In terzo luogo la contravvenzione di omessa bonifica, posto che i rifiuti lasciati in loco fin dal 2004, tramite percolamento, avrebbero contaminato le acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio relativamente al parametro idrocarburi totali.
Parallelamente alle contestazioni per la persona fisica vengono tratte a giudizio due società, l’una gestrice dello stabilimento, l’altra proprietaria dell’immobile e del terreno, nonché titolare della quasi totalità delle quote azionarie della prima, ex art. 25-undecies d.lgs. n. 231/2001, in relazione alle contravvenzioni di gestione abusiva di rifiuti e di omessa bonifica.
Le questioni giuridiche
Particolare interesse assume l’individuazione del momento consumativo del reato e la qualificazione del reato come permanente o meno, posto che, come ricordato, l’attività di stoccaggio si concluse nel 2004 con la scadenza dell’autorizzazione alla gestione dei rifiuti.
Sul punto il Giudice si richiama a due recenti pronunce della Cassazione (10 luglio 2014 n. 30910 e 19 novembre 2014 n.7386), secondo cui il deposito incontrollato integra reato istantaneo o permanente, a seconda che fin dall’inizio sia funzionale all’abbandono ovvero a successive fasi di gestione (es. recupero o smaltimento; cfr. anche Cass., Sez. III, 8 ottobre 2014 dep. 19 novembre 2014, CED 47662).
Richiamato tale principio di diritto, il Tribunale di Bologna ritiene che, nel caso di specie, il deposito non era destinato, nell’ottica del detentore del rifiuto, all’abbandono, bensì alla successiva rimozione, una volta che venissero reperiti i fondi necessari, o che venisse reperito un acquirente del sito o dell’attività dismessa.
Da tale premessa si deduce che il reato non è prescritto, essendo la permanenza cessata solo nel 2013, con il decreto di sequestro preventivo del sito.
L’osservazione del Giudice bolognese è certo interessante, ma non priva di aspetti problematici.
Di contro ad un dato di fatto certo (l’abbandono dal 2004 al 2013, data del sequestro preventivo del sito e dei rifiuti, e considerato “con carattere tendenzialmente definitivo” dallo stesso Giudice, pag. 9 sent.) si valorizza, attraverso massime di esperienza, una ricostruzione retrospettiva della volontà dell’ex detentore, secondo la quale lo stoccaggio avrebbe avuto durata provvisoria, sostanzialmente perché la rimozione avrebbe comportato un’utilità economica futura per il proprietario del sito.
Questo caso dimostra la problematicità del criterio di diritto sopra enunciato, in effetti anomalo (per una critica alla tesi della natura permanente del reato sia consentito rinviare a C. RUGA RIVA, La permanenza nei reati ambientali, in A&S, 2011, n. 11, p. 803, ID. Diritto penale dell’ambiente, III ed., Torino, 2016, p. 154 s; BRAY, Sulla configurabilità dell’abbandono di rifiuti: soggetto attivo e momento consumativo del reato (istantaneo o permanente?) in www.penalecontemporaneo.it; da ultimo, per la natura istantanea v. Cass. sez. III, 20 maggio 2014,dep.23 settembre 2014, n. 38662): ci si troverebbe di fronte ad una rara avis,ad unico reato che è al tempo stesso istantaneo e permanente, a seconda degli sviluppi: un Giano bifronte, strana creatura che ripete la sua natura non dal fatto in sé (di deposito incontrollato), ma da un fatto futuro (la destinazione di quel deposito), per di più dipendente in larga misura dalle intenzioni del detentore, con tutte le difficoltà e l’alea di ricostruzione dell’elemento soggettivo.
Un secondo profilo di interesse riguarda la fattispecie contravvenzionale di omessa bonifica (art. 257 d.lg. n. 152/2006).
Secondo il Giudice, che respinge la richiesta di perizia avanzata dal P.M, la prova del reato sarebbe data dai verbali di analisi dei campioni, secondo i quali risulterebbero superate le concentrazioni soglia di contaminazione per il parametro idrocarburi totali.
Tale conclusione non è assolutamente in linea con il dettato normativo e con la giurisprudenza consolidata.
Le CSC rappresentano solo un primo parametro: ove superati l’inquinatore dovrà provvedere all’analisi sito-specifica (artt. 242 ss. d.lgs. n. 152/2006), all’esito della quale si verificherà l’eventuale superamento delle concentrazioni soglia di rischio; nel quale ultimo caso si dovrà redigere un progetto di bonifica, che dovrà essere approvato dalla autorità competente; solo l’inosservanza di tale progetto approvato, secondo la giurisprudenza, integra il reato (cfr. tra le altre Cass. sez. III, 19 dicembre 2012, n. 9214).
Non certo il mero superamento delle CSC, le quali corrispondono ai meno gravi parametri di inquinamento contenuti nel vecchio DM n. 471/1999, richiamato dal previgente art. 51-bis del c.d. decreto Ronchi (D.lgs. n. 22/1997); un tale superamento rilevava ai sensi della previgente disciplina (51-bisD.lgs. n. 22/1997), ma non ai sensi della nuova procedura di bonifica (artt. 242 ss. d.lgs. n. 152/2006) e della nuova fattispecie contravvenzionale (cfr. Cass. sez. III, 29 novembre 2006, n. 9794, Montigiani; Cass.sez. III, 22 gennaio 2013, n. 19962).
Infine, la sentenza si segnala per la (non frequente) condanna dei due enti, ex art. 25-undecies del d.lgs. n. 231/2001, per i reati di deposito incontrollato e di omessa bonifica di sostanze pericolose, commessi nel loro interesse dall’amministratore unico, alla sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 100.000,00 (reato più grave quello di omessa bonifica, sanzione individuata in 200 quote, con ammontare pari a Euro 400,00 per quota, sanzione poi aumentata a titolo di continuazione con quella prevista per il reato di deposito incontrollato).
Evidentemente la condanna dell’ente dipende dalla natura (di reato permanente) attribuita ai due reati, ciò che ha consentito di applicare agli enti la responsabilità da reati ambientali entrata in vigore solo nel 2011, rispetto ad una attività industriale esauritasi nel 2004.
Sempre ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 (art. 19, co. 2) viene disposta a carico degli enti la confisca per equivalente dei beni fino alla concorrenza della somma di Euro 250.000,00, calcolata come costi risparmiati di ripristino e bonifica dell’area.
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Collegamenti con altre pronunce
Cass., Sez. III, 8 ottobre 2014 dep. 19 novembre 2014, CED 47662;
Cass. sez. III, 29 novembre 2006, n. 9794, Montigiani;
Cass.sez. III, 22 gennaio 2013, n. 19962;
Cass. sez. III, 20 maggio 2014, dep.23 settembre 2014, n. 38662;
Carlo Ruga Riva