Trib. Ancona, sezione penale, 15 febbraio 2017 (dep. 21 febbraio 2017), n. 195, Pres. Spinosa, Est. Piermartini
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Oggetto del provvedimento
Con la pronuncia in oggetto il tribunale di Ancona prende posizione in ordine alle fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione, bancarotta documentale semplice e ricorso abusivo al credito – per le quali giunge a un esito assolutorio – condannando l’imputato per la sola ipotesi di bancarotta preferenziale. Le condotte contestate, trovando tutte origine in seno a un’impresa individuale, hanno condotto il Collegio a valutare la rilevanza, ai fini della punibilità, dell’inesistenza di un patrimonio separato. Rimarchevoli sono poi le riflessioni svolte in motivazione a proposito del noto fenomeno della c.d. bancarotta riparata nonché riguardo all’elemento soggettivo che deve necessariamente animare il soggetto attivo nell’ipotesi preferenziale.
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Contenuto del provvedimento
All’imputato imprenditore individuale viene anzitutto contestata, come anticipato, la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, avendo questi distratto dalle casse aziendali somme poi utilizzate per saldare un debito estraneo agli interessi e alle esigenze d’impresa in quanto personale. Il Collegio ha invero ritenuto penalmente irrilevante tale condotta sulla scorta di due argomenti. Innanzitutto, alla luce dall’assenza di separazione patrimoniale e, dunque, della perfetta confusione tra il patrimonio dell’impresa individuale e quello della persona fisica: il che rende ammissibili le insinuazioni al passivo dell’impresa anche da parte dei creditori personali della persona fisica imprenditore, nonché penalmente atipica l’utilizzazione di somme presenti (per evenienza) nelle casse aziendali per scopi personali. Tale condotta è certamente inidonea a ledere il bene giuridico protetto, rappresentato dagli interessi creditori, fra i quali rientrano certamente quelli fatti valere dai creditori personali, attesa l’assenza di autonomia patrimoniale (anche imperfetta), ovvero di un autonomo soggetto di diritto, nell’impresa individuale. Di qui la necessaria ridefinizione della portata del termine distrazione di cui all’art. 216 l. fall., che non potrà mai significare “pagamento di un creditore personale” – valenza che potrà invece pienamente assumere nell’art. 223, co. 1 l. fall. – dovendo piuttosto riferirsi alle sole ipotesi di effettivo pregiudizio (quali la distrazione di somme in favore di un familiare o di altri soggetti non creditori, la fraudolenta costituzione di un fondo patrimoniale,etc.). Nell’ipotesi di specie, ossia di soddisfazione di un creditore personale ad opera dell’imprenditore individuale con somme reperite nelle casse dell’impresa, potrebbero al più configurarsi (purché sia provato il dissesto finanziario) la figura, più lievemente sanzionata, della bancarotta preferenziale, laddove il creditore personale sia meno garantito rispetto ai creditori d’impresa, ovvero la figura della bancarotta semplice per spese personali (se) eccessive.
Qualche perplessità solleva piuttosto il secondo argomento adottato a sostegno dell’esito assolutorio: ossia l’intervenuta restituzione della somma impiegata e dunque la concretizzazione di un’ipotesi classica di bancarotta riparata, ovvero di eliminazione dell’oggetto materiale del reato. Argomento, quest’ultimo, reputato dal Collegio idoneo a superare e dunque a interamente assorbire il primo dianzi esposto. Pare evidente tuttavia l’illogicità di tale struttura argomentativa: se il fatto è atipico (e inoffensivo), non vi è alcunché da riparare.
In motivazione viene poi dato conto di come risultino, invece, provati i fatti di cui al capo d’imputazione relativo ai pagamenti preferenziali eseguiti in favore di due banche. Un condivisile sforzo viene esercitato nella ricostruzione del requisito oggettivo dell’insolvenza (al tempo della condotta) e del requisito soggettivo nella duplice veste dell’animus favendi e dell’animus nocendi, ammesso, quest’ultimo, in linea peraltro con la giurisprudenza dominante, anche nella forma eventuale ossia come mera rappresentazione della possibilità di danneggiare i creditori.
L’attenzione viene poi focalizzata, a fronte di specifiche argomentazioni avanzate nel corso dell’istruttoria dalla difesa dell’imputato, sulla necessità di escludere i pagamenti effettuati in violazione della par condicio creditorum dall’area dei cc.dd. pagamenti “per prendere respiro” realizzati nell’ambito del più vasto progetto di risanare l’impresa e tornare in bonis a beneficio di tutti. Il tribunale ha chiaramente espresso come ipotesi di tal fatta possano dirsi penalmente irrilevanti, per mancanza dell’elemento soggettivo, unicamente laddove la prognosi di ripresa sia fondata, se non addirittura ritenuta in termini di certezza dall’imprenditore. Nel caso di specie, invece, la piena prova del dolo viene fatta discendere dalla non plausibilità in concreto della ripresa economica (dolo in re ipsa?). Sarebbe, in realtà, forse stato più logico precisare che la fondatezza della prognosi di ripresa è in realtà idonea a escludere la stessa tipicità della condotta (senza squilibrio irreversibile si rientrerebbe nel rischio lecito d’impresa, cui potrebbe certamente seguire – ma per congiunture sfortunate – il dissesto); essendo viceversa la sola certezza – mal riposta – dell’imprenditore (il c.d. abbaglio) a escludere il dolo di fattispecie.
La motivazione in tema di esclusione dell’elemento psicologico si chiude con la considerazione che lo scopo di salvaguardare le attività sociali debba essere esclusivo, o perlomeno prevalente, essendo viceversa integrato il dolo di fattispecie – in quanto specifico, e non esclusivo – laddove a tale finalità si associ comunque quella di favorire un creditore. Qualche problema di logicità è posto tuttavia dalla dubbia compatibilità fra l’intenzione di evitare il fallimento e l’intento di favorire, inteso come volontà di evitare a un dato creditore l’insinuazione al passivo e la conseguente probabile falcidia. L’evidente stortura consisterebbe infatti nell’attribuire persino all’animus favendi la veste di mero dolo eventuale.
Quanto, infine, agli ulteriori capi d’imputazione per bancarotta semplice documentale e ricorso abusivo al credito, il Collegio ha ritenuto i fatti privi di qualsivoglia riscontro nel corso dell’istruttoria dibattimentale, giungendo così, in relazione ad essi, all’assoluzione dell’imputato con conseguente rapida motivazione.
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Collegamenti con altre pronunce
La sentenza in commento ribadisce quanto diffusamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla c.d. bancarotta riparata (cfr. Cass. 20 ottobre 2015 n. 4790, Cass. 7 luglio 2015 n. 50289, Cass. 4 novembre 2014 n. 52077), nonché con riferimento alla sufficienza della mera accettazione del danno ai creditori nella fattispecie preferenziale (orientamento espresso ex multisin Cass. 5 marzo 2014 n. 16983, Cass. 12 marzo 2014 n. 13712, Cass. 21 novembre 2011 n. 673). Si discosta invece fortemente, come anticipato, dal noto precedente secondo il quale non sarebbe ipotizzabile il delitto di bancarotta preferenziale, per difetto dell’elemento psicologico, nel fatto del titolare dell’impresa che provveda al pagamento di alcuni crediti al fine, per esempio, di eliminare le istanze di fallimento, con la certezza di riuscire a ripianare in tal modo la situazione dell’impresa medesima e a evitare la procedura concorsuale (Cass. 12 giugno 1985 n. 9400); in questo discostarsi la sentenza ha accolto il più restrittivo orientamento che richiede la sussistenza di un riequilibrio finanziario e patrimoniale ragionevolmente presumibile ai fini dell’esclusione dell’atteggiamento psicologico richiesto dalla fattispecie (Cass. 20 maggio 2009 n. 31168).
Lavinia Messori – Dottoranda di ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia