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Cass. Pen., Sez. I, 22 dicembre 2017, n. 3623

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Oggetto del provvedimento

Con la pronuncia in oggetto la prima Sezione della Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata e rinviava per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, rilevando il mancato adeguamento della Corte territoriale alle indicazioni fornite dalla quinta Sezione della Cassazione nell’annullare la precedente sentenza di secondo grado. In particolare, non congruamente motivata risultava la condanna di uno dei coimputati per bancarotta distrattiva, difettando una puntuale indagine sul ruolo gestorio dallo stesso assunto.

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Contenuto del provvedimento

La pronuncia ha ad oggetto la contestazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale; i due imputati avrebbero infatti determinato il depauperamento della società fallita (rispetto alla quale uno dei due aveva ricoperto la carica di membro del CdA, mentre il secondo , a seguito della revoca dei precedenti amministratori, aveva ricoperto la carica di amministratore unico) in favore di altra società costituita da uno degli imputati (ossia il membro del CdA della fallita) insieme con il proprio fratello. L’amministratore unico della fallita – tra le varie operazioni contestate dal curatore fallimentare – avrebbe consentito ai due fratelli, seppur privi di poteri gestionali, di trasferire la sede operativa della fallita presso la sede della società a loro riconducibile e da loro costituita per finalità di locupletazione. Il che avrebbe permesso l’acquisizione gratuita dell’avviamento dei beni strumentali della fallita con conseguente suo svuotamento.

La Corte d’appello, pronunciandosi in sede di rinvio, aveva reputato colmate le carenze motivazionali che avevano portato la Corte di cassazione all’annullamento della sentenza d’appello sottostante.

Invero, secondo la pronuncia in commento, la sentenza impugnata si sarebbe limitata a collegare la valutazione del ruolo gestionale di uno degli imputati alle operazioni economiche condotte dai fratelli, senza operare le opportune distinzioni circa il ruolo ricoperto dal ricorrente nella gestione dei rapporti tra le due società coinvolte. Nella pronuncia in esame, la prima Sezione della Cassazione ha ritenuto pertanto non colmate le plurime carenze argomentative, accogliendo il ricorso. Spicca certamente per importanza il rilievo operato circa l’omessa considerazione dell’effettivo ruolo gestorio assunto da uno degli imputati, essendosi la Corte territoriale limitata a «collegare la valutazione del ruolo gestionale di (OMISSIS) alle operazioni economiche condotte dai fratelli (OMISSIS), senza distinguere quale ruolo avesse avuto il ricorrente nella gestione dei rapporti tra la società (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.a.s.».

Pertanto, nell’annullare con rinvio, la Corte di Cassazione indicava la necessità di tenere conto della posizione di garanzia ricoperta dall’imputato nella società fallita (s.r.l.), e conseguentemente di operare una valutazione correlata alle condotte degli amministratori di fatto e di diritto di tale ente societario, nel rispetto della giurisprudenza consolidata di legittimità in tema di reato omissivo improprio, secondo cui: «La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso».

In altre parole, l’individualizzazione della responsabilità penale avrebbe imposto di verificare non soltanto se la condotta gestionale del terzo imputato avesse concorso a determinare l’evento e se la condotta fosse stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare, generica o specifica, ma anche se l’imputato avesse potuto prevedere, con un giudizio ex ante, quello specifico sviluppo causale – che avrebbe portato alla concretizzazione delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale – attivandosi per impedirne la concretizzazione.

Ritornano dunque taluni spinosi temi quali sono, sul versante oggettivo, la causalità omissiva e i poteri-doveri d’impedimento del reato altrui e, su quello soggettivo, i segnali d’allarme. La pronuncia in parola richiede difatti (a) la violazione di una regola cautelare; (b) la prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che proprio la regola cautelare mirava ad evitare; (c) la sussistenza del nesso causale tra condotta del garante ed evento dannoso. Quanto alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, mentre il secondo polo si riaggancia certamente ai poteri impeditivi di cui subito si dirà, il primo si ricollega alla vexata quaestio dei segnali di allarme indicativi di fatti pregiudizievoli.

La violazione della regola cautelare dipenderà invece dall’organizzazione societaria, dal ruolo da ascriversi, al suo interno, all’imputato, nonché al concreto esercizio di “fatto” di un ruolo gestorio. Ciò infatti, oltre a rappresentare la fonte dell’obbligo legale ne specifica il contenuto.

Risulta da qualche tempo inaugurato un nuovo trend giurisprudenziale, il quale – accogliendo le riflessioni dottrinali più attente – pone l’accento sull’accertamento dell’esistenza di reali e concreti poteri impeditivi del reato altrui. Si tratta di posizioni che hanno trovato origine con riferimento alla responsabilità penale degli amministratori non esecutivi, dei sindaci e dei revisori legali, ma che rivestono importanza dirimente ogniqualvolta vada valutato il contributo causale della mera omissione di un appartenente alla compagine aziendale o, più in generale, alla platea dei soggetti variamente coinvolti nell’operazione di depauperamento. Cruciale è, a questi fini, appurare se il soggetto fosse dotato di poteri-doveri direttamente incidenti sull’attività del terzo, rivestendo peraltro un ruolo fondamentale l’organizzazione societaria interna: «è necessaria la ricostruzione delle relazioni fra fatti distrattivi e concreto funzionamento del consiglio di amministrazione della società, alla luce delle clausole di organizzazione delle funzioni gestorie rispettivamente recate dallo statuto sociale, e, eventualmente, da successive deliberazioni di organizzazione della gestione sociale adottate dall’assemblea ovvero dal consiglio di amministrazione» (Cass. pen., sez. I, 9 marzo 2018, n. 14783).

Infine, il riferimento operato dalla Corte di Cassazione alla sussistenza del nesso causale non chiarisce – di primo acchito – se si debba propendere per la tesi dell’omissione come condizione necessaria o, piuttosto, come condizione agevolatrice dell’altrui reato, ovvero se la fonte della responsabilità vada individuata nell’art. 110 c.p. o nell’art. 40, co. 2 c.p. E’ invero ormai dominante, anche in giurisprudenza l’opinione secondo la quale non sia sufficiente un mero contributo agevolatore, posto che l’evento a cui fa riferimento l’art. 40, co. 2 c.p. ricomprende anche il reato commesso dal terzo.

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Collegamenti con altre pronunce

E’ orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale «l’amministratore di società che (…) non adempie al suo obbligo di garanzia, concorre, ex art. 40 cpv. c.p., per omissione, consistita nella mancata vigilanza e nella mancata attivazione, per impedire l’adozione di atti di gestione pregiudizievoli, nei delitti fallimentari commessi da altri amministratori, dal momento che anche gli interessi tutelati dalle norme penali fallimentari sono compresi fra quelli affidati alle sue cure» (Cass. pen., sez. V, 24 maggio 2006, n. 36764. Quanto invece agli amministratori di fatto e di diritto, si veda, ex plurimis, Cass. pen., sez. III, 6 aprile 2006, n. 11919, secondo la quale «Nel reato di bancarotta fraudolenta l’amministratore della società che abbia assunto la carica quale prestanome di altri soggetti, che hanno agito come amministratori di fatto, risponde dei reati contestati a titolo di omissione perché la semplice accettazione della carica da parte della c.d. testa di legno (o uomo di paglia) attribuisce a questi doveri di vigilanza e controllo la cui violazione comporta responsabilità».

Lavinia Messori

Dottoranda di ricerca in Diritto Penale

Università degli studi di Modena e Reggio Emilia


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