Gup del Tribunale di Milano, sent. n. 971/2020 (ud. 16 luglio 2020, dep. 16 luglio 2020).
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Oggetto del provvedimento
Con la sentenza n. 971/2020 del 16.07.2020, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, ha preso posizione sul tema della responsabilità amministrativa da reato delle società unipersonali, da lungo tempo al centro di un vivace dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, concernente la questione della applicabilità ad enti privi di una struttura societaria complessa della disciplina prevista dal d.lgs. n. 231/2001.
Il Giudice, pur dando conto dell’esistenza di arresti giurisprudenziali difformi sull’argomento sottoposto al suo vaglio, giunge alla pronuncia di non luogo a procedere, ex art. 425 c.p.p., perché il fatto non sussiste, nei confronti della società unipersonale, in aderenza alla tesi ermeneutica orientata ad escludere l’applicabilità del “decreto 231” ad Enti che, ancorché dotati di personalità giuridica, siano di fatto riferibili esclusivamente alla persona fisica del socio.
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Contenuto del provvedimento
La sentenza in commento ha affrontato la vicenda di una società a responsabilità limitata semplificata, ex art. 2463 bis c.c., a socio unico, con capitale sociale pari ad 1,00 euro, i cui amministratori erano stati imputati del reato di truffa ai danni dello Stato, ai sensi dell’art. 640, comma 2, c.p., per l’asserita falsificazione delle ricevute di alcuni bollettini postali, compilati allo scopo di provare il pagamento fittizio di alcuni tributi dovuti all’Ente locale, in realtà mai assolti. Nello specifico, la società era formata unicamente da un socio unico, che ricopriva il ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione, e dal fratello di costui, che fungeva da consigliere privo di deleghe. A cinque anni dalla sua costituzione, la società veniva messa in liquidazione e, contestualmente, il socio unico veniva nominato liquidatore.
A fronte dell’imputazione ascritta agli amministratori, il Pubblico Ministero procedente contestava alla società l’illecito amministrativo di cui all’art. 24 D.Lgs. 231/01, in relazione al reato presupposto, per non aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire la commissione di reati realizzati per conto e nell’interesse della società.
Di fronte alla peculiare struttura della compagine societaria, il Giudice, condividendo le argomentazioni della difesa della persona giuridica, giungeva alla conclusione che la vicenda in questione riguardava «una società sostanzialmente unipersonale senza alcuna reale distinzione tra i soggetti fisici e la persona giuridica». Di talché, si è posto il problema di verificare se anche nei confronti della medesima tipologia societaria potesse trovare applicazione la normativa di cui al d.lgs. 231/2001.
La problematica concernente l’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 alle società unipersonali è stata oggetto di indirizzi dottrinali e pronunce giurisprudenziali di differente orientamento.
Parte della dottrina – il dibattito è ancora aperto -, sottolinea, infatti, come tali enti, sebbene “non collettivi”, siano comunque caratterizzati, sul piano giuridico, da un’autonomia soggettiva rispetto alla persona fisica, nonché da un patrimonio proprio, distinguibile da quello del socio unico. Accanto a questa impostazione, si registrano tuttavia altri orientamenti che tendono ad escludere l’applicabilità della disciplina del “decreto 231” alle società unipersonali, di fatto assimiliate alle imprese individuali.
Nella giurisprudenza di legittimità, ove comunque si registra un contrasto interpretativo, sembrerebbe, invece, si continui a preferire la tesi opposta rispetto a quest’ultimo orientamento dottrinale. Sulla scorta di questa impostazione la società unipersonale, in quanto autonomo centro di rapporti giuridici, dotato di soggettività giuridica distinta rispetto a quella del soggetto che ne detiene le quote,dovrebbe necessariamente annoverarsi tra gli enti soggetti alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 231/2001.
Il principio è stato da ultimo affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale si è pronunciata in proposito, evidenziando che «la disciplina del d.lgs. n. 231 del 2001 è riferita agli enti, sintagma che evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto non riconducibili alla persona fisica, indipendentemente dal conseguimento o meno della personalità giuridica e dallo scopo lucrativo o meno perseguito dagli stessi […] Se, pertanto, il presupposto indefettibile per l’applicazione del diritto sanzionatorio degli enti è l’esistenza di un “soggetto di diritto metaindividuale”, quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, è certamente ascrivibile al novero dei destinatari del d.lgs. n. 231 del 2001 anche la società unipersonale, in quanto soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote» (Cass. pen., Sez. VI, 25.07.2017, n. 49056, dep. 25.10.2017).
Tale sentenza, richiamata anche nella pronuncia in commento per dar conto della non univocità in materia degli orientamenti della Corte regolatrice, si colloca nel solco interpretativo di altra decisione (Cass. pen., Sez. III, 15.12.2010, n. 15657), in base alla quale le norme sulla responsabilità da reato degli enti si applicano anche alle imprese individuali, che vengono incluse nella nozione di ente, impiegata dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 231/2001, per identificare i destinatari delle suddette disposizioni.
Accanto a questo orientamento, vi è poi l’interpretazione ermeneutica contraria, incline ad escludere l’applicabilità della responsabilità amministrativa da reato dell’ente alle società unipersonali.
In alcune occasioni, infatti, la Corte di legittimità ha operato la scelta di escludere l’applicabilità della responsabilità amministrativa degli enti nei confronti delle società unipersonali, e ciò, in particolare, «quando la struttura della persona giuridica sia indistinguibile da quella fisica in maniera da non fondare il presupposto fondamentale su cui poggia l’intera struttura delle norme volte a regolare la responsabilità dell’ente giuridico» (Cass. pen., Sez. VI, 16.05.2012 n. 30085, dep. 23.07.2012). Nello stesso senso, si è espresso il Supremo Consesso anche in altra pronuncia, Cass. pen., Sez. VI, 03.03.2004 n. 18941, dep. 22.04.2004, le cui considerazioni, sebbene riguardino espressamente l’applicabilità della disciplina in commento ad imprese individuali, possono essere traslate anche in materia di s.r.l. unipersonali.
A ben vedere, tuttavia, anche gli arresti giurisprudenziali che concludono per l’applicabilità alle imprese unipersonali della disciplina del decreto legislativo 231 del 2001, fondano tale interpretazione sul presupposto dell’esistenza di un «soggetto di diritto metaindividuale», quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici distinto dalle persone fisiche, nei cui confronti è possibile intravedere la colpa d’organizzazione.
Appare evidente, perciò, che anche l’orientamento favorevole all’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle società unipersonali, fondando il proprio convincimento sulla distinzione tra persona fisica e persona giuridica, sottintende la verifica dell’esistenza di un soggetto giuridico, distinto dalla persona fisica che lo rappresenta, nell’ambito di una struttura societaria complessa e dotata di un centro autonomo di interessi riconducibile all’impresa, che diviene, perciò, elemento discriminante e differenziale ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 all’ente.
L’inquadramento corretto della problematica impone di svolgere una ulteriore riflessione. La s.r.l. unipersonale rappresenta una categoria eterogenea, che ricomprende nel suo alveo differenti tipologie societarie. Nell’ambito dell’ampio genus delle società unipersonali, infatti, sono ricomprese, sia società di capitali unipersonali, dotate di una struttura organizzativa complessa e differenziata, il cui socio unico potrebbe anche coincidere con una diversa realtà societaria, munita di piena autonomia ed organizzazione di impresa; sia società di piccole dimensioni, la cui compagine sociale è formata solamente dalla persona fisica del socio unico, che si occupa di tutti gli aspetti di controllo e gestori della vita societaria.
Appare, perciò, evidente che le conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata (Cass. pen., Sez. VI, 25.07.2017, n. 49056, dep. 25.10.2017, cit.) possono trovare applicazione soltanto rispetto a s.r.l. unipersonali dotate di struttura ed organizzazione eterogenea e complessa. Tanto è vero, che il caso espressamente affrontato nella pronuncia appena menzionata riguardava specificamente una società a responsabilità limitata unipersonale, partecipata da altra società di capitali, avente una propria autonoma e multiforme struttura organizzativa.
La soluzione interpretativa appena richiamata, fornita dalla giurisprudenza più recente, si allinea, altresì, alla posizione maturata in letteratura, secondo la quale l’unica attività di impresa capace di generare responsabilità per l’illecito amministrativo dipendente da reato è quella esercitata nell’ambito di «un ente collettivo, “soggetto-gruppo”, aggregato organizzato per il perseguimento di un risultato comune, quale autonomo centro di interessi giuridici, altro dalla persona fisica, titolare di un proprio interesse distinto e ulteriore rispetto a quello delle persone che lo compongono, a beneficio del quale il reato-presupposto può essere commesso» (Bartolomucci).
In tal senso, altro autore ha evidenziato che la disciplina in questione trova applicazione nei confronti di «centri autonomi di imputazione degli atti compiuti dalla persona fisica che abbia agito nel loro interesse o a loro vantaggio e con la quale, dunque, non possano essere identificati» (Pistorelli).
Al contrario, invece, il caso in commento tratta di una società formalmente unipersonale, nella quale sono evidenti i tratti tipici dell’impresa individuale. Il socio unico è, infatti, Presidente del Consiglio di Amministrazione e, di fatto, propugnatore dell’iniziativa imprenditoriale riferibile a sé stesso. Per tale motivo, la società risulta priva di un autonomo e distinto centro di interessi, diverso rispetto a quello del socio unico.
Sulla scorta di tali peculiarità e poiché appare impossibile individuare un interesse o un vantaggio della società diverso da quello che ha animato le persone fisiche imputate del reato, ne consegue l’impossibilità di applicare la disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 a carico della società protagonista della vicenda giudiziaria decisa dal GIP con la pronuncia in esame.
Difatti, il Giudice, valorizzando gli elementi concreti di fattispecie, nell’escludere l’applicabilità della responsabilità amministrativa da reato dell’ente, ha precisato che «in relazione ai tratti specifici che ricorrono nel presente contesto processuale, davvero non si riesce a scorgere un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici nella V. A. s.r.l. che possa distinguersi dagli interessi della persona fisica del già Presidente del CdA ed ora Liquidatore».
D’altra parte, come peraltro osservato in dottrina, lo scopo del d.lgs. n. 231/2001 è quello di configurare un modello di responsabilità il cui destinatario naturale è l’organizzazione pluripersonale, a prescindere dallo schermo formale che la qualifica, comunque identificabile quale entità distinta dalla persona fisica autrice del reato ed in quanto tale autonomamente individuabile come centro di imputazione della scelta criminosa (Brunelli – Riverditi).
Altro importante rilievo operato dal giudicante in sentenza concerne il fatto che per la commissione del fatto delittuoso le persone fisiche imputate non avevano alcuna necessità di impiegare quale schermo per le proprie condotte una struttura complessa, ben potendo realizzare il reato in piena autonomia d’azione. In proposito, infatti, viene affermato che «l’Ente giuridico, in relazione al reato presupposto fondante la responsabilità amministrativa della persona giuridica, non era davvero necessario ed infungibile trattandosi di contegno pacificamente riferibile a persone fisiche che lo avrebbero potuto realizzare senza alcuno schermo societario».
In conclusione, il GIP, all’esito della propria disamina, fondando il proprio innovativo decisum sulle peculiarità del caso concreto, ha rilevato come nella fattispecie in esame viene a mancare «la ratio di fondo della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche la quale immagina contegni penalmente devianti tenuti da persone fisiche nell’interesse di strutture organizzative di un certo rilievo di complessità quale centro autonomi di imputazioni di rapporti giuridici distinto da chi ha materialmente operato».
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Osservazioni e conclusioni
La sentenza in commento offre una interpretazione logica e fedele alla ratio della disciplina del “decreto 231”, segnando un punto di svolta nell’esegesi della normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti exD.Lgs. 231/01, che punisce la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente, non ravvisabile rispetto a strutture societarie dove si delinea una chiara sovrapposizione tra la figura del socio unico e l’organizzazione di impresa.
La responsabilità amministrativa da reato ex d.lgs. 231/2001 della società unipersonale viene, pertanto, esclusa nell’ipotesi in cui l’ente risulti privo di un autonomo e distinto centro di interessi rispetto alla persona fisica autrice del reato presupposto, a prescindere dal fatto che l’ente abbia personalità giuridica.
Nel caso di specie, la decisione in commento ha richiamato la necessità di trattare alla stregua di una ditta individuale – in cui non vi è separazione tra l’ente e la persona fisica che agisce per lo stesso e dove non vi è un assetto organizzativo ed un autonomo centro di interessi diverso rispetto quella della persona fisica che lo rappresenta -, la società unipersonale semplificata, la quale, ancorché società di capitali munita di personalità giuridica, presentava di fatto una totale commistione tra la persona giuridica e l’ente, privo di autonomia organizzativa rispetto alla figura del socio unico imputato del reato presupposto.
Le prerogative del caso concreto, infatti, hanno rivelato come l’autonomia organizzativa di questa impresa, astrattamente insita nel tipo societario, fosse un elemento solo apparente, in quanto, nella realtà, la s.r.l. unipersonale in questione era sprovvista di una organizzazione di impresa, autonoma e diversa rispetto alle persone fisiche degli imputati.
L’interpretazione accolta dalla sentenza in commento tende, perciò, a superare il dato della autonomia della personalità giuridica della società rispetto alla persona fisica del socio unico ed amministratore, valorizzando sia l’elemento materiale della unicità del soggetto agente rispetto alla società in cui il medesimo opera, sia il dato dell’assenza di elementi volti a dimostrare un’autonoma e differenziata organizzazione imprenditoriale; elementi su cui si fonda la responsabilità di cui al “decreto 231”, che punisce la “colpa di organizzazione”, nelle circostanze di fatto in cui l’organizzazione stessa sussista.
D’altra parte, ove si propendesse per la tesi contraria e, dunque, per l’applicazione della disciplina della responsabilità amministrativa da reato anche alle S.r.l. unipersonali, sorgerebbe il rischio di andare incontro ad una duplicazione di responsabilità in capo al socio unico, persona fisica, che, in quanto autore del reato presupposto, potrebbe essere attinto da una ingiusta sperequazione sanzionatoria, che potrebbe concretarsi quale violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale.
Infatti, la sanzione penale e la sanzione amministrativa conseguenti ai fatti in questione, ancorché misure punitive di diversa natura, ricadrebbero entrambe sul medesimo soggetto, che verrebbe di fatto punito due volte.
Difettando nel caso di specie la colpa di organizzazione dell’ente, appare evidente che non vi sarebbe la possibilità di accertare una “doppia colpevolezza” – in capo al socio unico e all’ente -, che possa giustificare l’applicazione separata delle due sanzione appena richiamate.
Al contrario, si rischierebbe, attesa l’unicità di colpevolezza in capo alla persona fisica, che il socio unico venga colpito due volte dagli effetti sanzionatori per il medesimo agire, con la conseguenza di frustrare le finalità rieducative della sanzione afflittiva, mettendo in tensione i canoni di adeguatezza e proporzione della pena.
A ben vedere, la decisione in commento, nell’affermazione del principio di diritto ivi contenuto, è in grado di fronteggiare detti rischi, abbandonando il criterio interpretativo strettamente aderente al dato normativo, che certamente in astratto ricomprende tra gli enti, così come definiti dall’art. 1 d.lgs. 231/2001, anche le società unipersonali aventi personalità giuridica autonoma, per modulare tale dato rispetto alla peculiarità concreta dell’assenza di una struttura organizzativa complessa, quale centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici distinto dal soggetto che materialmente opera, sì da inferirne l’inapplicabilità della normativa de quo.
Alla luce delle superiori considerazioni, vi è da chiedersi perciò se le conclusioni condivisibili cui perviene il Giudice in sentenza siano raggiunte attraverso una diversa lettura esegetica dell’art. 1 d.lgs. 231/2001 o se, piuttosto, nel rispetto della norma definitoria di cui all’art. 1 d.lgs. cit., siano frutto della valorizzazione degli elementi di cui all’artt. 5, 6 e 7 d.lgs. 231/2001, necessari alla ricostruzione della colpa di organizzazione, quale criterio oggettivo di ascrizione della responsabilità amministrativa da reato. Questa seconda soluzione parrebbe preferibile, se non altro in quanto aderente al principio cardine di legalità, articolato nei suoi corollari della determinatezza e tassatività della fattispecie penale.
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Collegamenti con altre pronunce
Cass. pen., Sez. VI, 25.07.2017, n. 49056, dep. 25.10.2017
Cass. pen., Sez. III, 15.12.2010, n. 15657
Cass. pen., Sez. VI, 16.05.2012 n. 30085, dep. 23.07.2012
Cass. pen., Sez. VI, 03.03.2004 n. 18941, dep. 22.04.2004
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Dottrina e riferimenti bibliografici
S. Bartolomucci, D.lgs. 231/2001 ed imprenditori individuali: interpretazione dell’art. 1 e presunte esigenze penali-preventive nell’“imprevisto” revirement della Cassazione, in Riv. 231, 2011, 3, 164 e ss.
D. Brunelli – M. Riverditi, Art. 1, in A. Presutti, A. Bernasconi, C. Florio (a cura di), La responsabilità degli enti, Padova, 2008.
F. D’Arcangelo, La responsabilità da reato delle società uni personali nel D.lgs. 231/2001, in Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2008, 3, 147 ss.
C. Piergallini, La disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni. Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, in Dir. pen. proc., 2001, 1358 ss.
L. Pistorelli, Soggetti, in M. Levis e A. Perini (a cura di), La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Bologna, 2014.
Avv. Chiara Fiorani