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Trib. Ferrara, in composizione monocratica, sent. 20 ottobre 2020 (dep. 17 novembre 2020) n. 933.

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Oggetto del provvedimento

Con la sentenza in commento il Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, si è pronunciato sul delitto di frode in commercio, previsto dall’art. 515 del codice penale e contestato ai legali rappresentati di due società attive nel campo della generazione di energia da biomasse, oltre che al loro delegato per la vendita, perché – in tesi di accusa – nell’esercizio dell’attività commerciale di vendita di digestato, avrebbero ceduto ad un’altra azienda (operante nel settore della estrazione, produzione e commercializzazione di terre fertilizzanti ed ammendanti) ingenti quantitativi di digestato qualificabile come rifiuto, anziché come sottoprodotto.

Come si vedrà, il giudice emiliano è giunto però ad escludere, nel caso concreto, l’avvenuta integrazione del delitto de quo.

1. I fatti sub iudice.

Il procedimento trae origine dalla denuncia-querela sporta dall’amministratore unico della società cessionaria, in cui egli sosteneva di aver ricevuto – previo accordo orale – dalle due sopra citate società del digestato derivante dalla produzione di biogas (qualificabile come rifiuto) anziché del digestato solido di mais (qualificabile come sottoprodotto). Ed invero, nonostante l’azienda avesse preso accordi con le imprese cedenti per ottenere forniture di digestato solido in mais, quale prodotto di risulta dei loro impianti di biogas, ceduto al querelante senza alcuna indicazione circa le modalità di utilizzo, in seguito ad un controllo eseguito dai Carabinieri – durante il quale è stata riscontrata la presenza di liquami all’interno del materiale – all’azienda cessionaria veniva contestato di servirsi di degistato qualificabile come rifiuto e non invece come sottoprodotto.

Così, l’amministratore dell’azienda cessionaria – a cui, dopo la segnalazione dei Carabinieri veniva addebitato il reato di gestione illecita di rifiuti ex art. 256, comma 1, d. lgs. 152/2006 (oggetto di separato procedimento penale) – presentava denuncia-querela nei confronti dell’azienda cedente per frode nell’esercizio del commercio, sostenendo, alla luce della contestazione ricevuta dagli enti di controllo, di aver ricevuto un prodotto difforme rispetto a quello concordato.

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Il contenuto del provvedimento

L’esame dei testi e dei consulenti, oltre che della documentazione prodotta, ha portato il giudice ferrarese a ravvisare l’insussistenza del reato ascritto agli imputati, escludendo che i legali rappresentanti delle aziende cedenti ed il loro delegato alla vendita avessero consegnato al querelante un prodotto difforme rispetto a quello concordato.

Orbene, al fine di meglio comprendere le motivazioni svolte dal Tribunale di Ferrara per addivenire alla pronuncia assolutoria è necessario un duplice – seppur sintetico – esame: uno concernente le nozioni di rifiuto e sottoprodotto, l’altro relativo ai tratti essenziali del delitto di frode in commercio.

1.1. Sulle nozioni di rifiuto e sottoprodotto

Il d. lgs. 152/2006 (c.d. Testo Unico Ambientale), all’art. 183, comma 1, lett. a), definisce rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto […] di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».

È, invece, un sottoprodotto, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. qq), d. lgs. 152/2006 «qualsiasi sostanza o oggetto che soddisfa congiuntamente le condizioni di cui all’184-bis d. lgs. 152/2006» (norma, questa, introdotta dall’art. 2, comma 20, d. lgs. 4/2008, in esecuzione dell’art. 5 della direttiva comunitaria 2008/99/CE). In base all’art. 184-bis T.U.A., è un sottoprodotto quel materiale che: a) trova la propria origine in un processo di produzione di cui costituisce parte integrante, anche se lo scopo primario dell’attività produttiva non deve consistere nella sua produzione; b) è successivamente riutilizzato, tanto nel corso del processo da cui ha avuto origine quanto in uno successivo, sia da parte dell’originario produttore che da parte di terzi, a cui può essere ceduto; c) può essere riutilizzato direttamente, e quindi senza alcun ulteriore trattamento diverso da quelli propri della normale pratica industriale in cui è inserito; d) soddisfa tutti i requisiti riguardanti la natura dei prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e quindi non porta ad impatti complessivamente negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

La norma facoltizza, al secondo comma, l’adozione di misure dirette a stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze siano considerate sottoprodotti e non rifiuti, garantendo un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana agevolando, altresì, l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.

La distinzione tra rifiuto e sottoprodotto si dimostra essenziale, atteso che solo i rifiuti sono soggetti alla specifica normativa prevista nella parte quarta del d. lgs. 152/2006, che regola il trattamento, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti e contempla specifiche sanzioni, soprattutto di tipo penale, nel caso in cui le predette disposizioni siano violate.

Quanto al tema che ci occupa, l’art. 52, comma 2-bis, d. l. 82/2012, convertito con modificazioni dalla legge 134/2012 e dal d.m. 25 febbraio 2016, sottopone la massa, sia liquida che solida, risultante dal processo di bio-digestione anaerobica, costituente il c.d. digestato, al regime dei sottoprodotti destinati ad uso agronomico e non a quello dei rifiuti.

Posto che tale disciplina – al pari delle altre riguardanti i sottoprodotti – per espressa scelta legislativa è “eccezionale” rispetto alla “normale” disciplina dei rifiuti, secondo la giurisprudenza l’onere della prova circa la sussistenza dei requisiti in forza dei quali una res possa dirsi sottoprodotto deve essere assolto dall’imputato che richiede l’applicazione della derogatoria e specifica normativa.

1.2. Il delitto di frode in commercio

Il delitto di frode nell’esercizio del commercio di cui all’art. 515 c.p. – collocato nel titolo VIII del codice penale e volto a tutelare l’onesto svolgimento delle attività commerciali – è integrato quando un soggetto, nell’esercizio di una attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, «consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita».

Il profilo oggettivo dell’illecito si sostanzia, quindi, in una violazione contrattuale del vinculum iuris liberamente costituitosi tra le parti, dipesa dalla consegna di merce difforme rispetto a quanto oggetto di dichiarazione o pattuizione (Lemme).

Siffatta difformità può riguardare, indistintamente, il luogo di produzione dell’oggetto, ovvero le sue caratteristiche, la sua utilizzabilità, il suo peso e la sua misura.

Ed invero, l’origine della cosa mobile è considerata diversa se è differente il luogo della sua produzione ovvero quello della sua preparazione; la provenienza del bene è difforme quando il fabbricante o l’intermediario che l’ha procurata non corrisponde a quello indicato.

La diversità qualitativa concerne i casi in cui, pur non essendoci difformità di genere e specie, v’è comunque divergenza su qualifiche non essenziali della cosa in rapporto alla sua utilizzabilità, pregio o grado di conservazione; quella quantitativa, invece, attiene alla divergenza di numero, peso, misura e dimensioni del bene mobile oggetto di commercio.

I participi passati impiegati dal legislatore per riferirsi alla difformità della cosa consegnata rispetto a quella «dichiarata» o «pattuita» hanno suscitato un vivo dibattito in dottrina. Secondo alcuni la “pattuizione” si riferisce a contratti le cui condizioni vengono discusse e concordate tra le parti, mentre la “dichiarazione” concerne i casi in cui la merce viene offerta a condizioni prestabilite e l’acquirente si limita ad accettarle (Antolisei). Secondo altra opinione, la differenza tra pattuizione e dichiarazione va ravvisata non tanto nelle modalità di formazione dell’accordo, ma piuttosto nell’autonomo rilievo che si ha nella fase della stipulazione dell’accordo (Pedrazzi). Assume, in tale ipotesi, rilevanza la figura della c.d. frode in contrahendo, che riconosce penale rilevanza anche al comportamento tenuto dall’agente in una fase pre-negoziale e si ravvisa quando la cosa venduta è difforme a quella dichiarata nella fase dell’offerta e delle trattative. La frode in contrahaendo si differenzierebbe dalla truffa (art. 640 c.p.) in forza dell’incidenza eziologica svolta dalle dichiarazioni dell’alienante sul processo motivazionale del deceptus. Se la scelta dell’acquirente non è condizionata dalle dichiarazioni mendaci del venditore, non avendosi, cioè, alcuna induzione in errore si avrà frode in commercio mentre nel caso di positiva efficienza causale ricorrerà il delitto di truffa. Alla possibilità di configurare la frode in commercio in contrahendo si oppone, però, sul piano fattuale, la difficoltà di provare la menzionata influenza eziologica sulla condotta dell’acquirente, che porta ad escludere ogni concreta possibilità di accertare e verificare la frode in contrahendo.

Un altro aspetto significativo del delitto in esame attiene alla rilevanza da attribuire all’atteggiamento dell’accipiens. Se non ci sono problemi nel caso questi sia inconsapevole di accettare una cosa diversa da quella pattuita, non altrettanto può dirsi nel caso di accettazione consapevole di cosa diversa. Ad una tesi che ammette la sussistenza del delitto, si contrappone l’orientamento, prevalente in dottrina, che afferma l’insussistenza del reato (Manzini).

​​​​​​​1.3. Le argomentazioni a sostegno della decisione del Tribunale di Ferrara

Come accennato, il Tribunale di Ferrara ha ritenuto che nel caso sottoposto alla sua cognizione non potesse ravvisarsi il delitto di cui all’art. 515 del codice penale, non essendo stato fornito all’azienda del querelante un materiale diverso da quello oggetto di accordo.

Come esplicato dai consulenti, gli impianti delle società degli imputati sono a biogas e quindi si servono di biomasse vegetali per produrre energia: all’esito del procedimento produttivo si produce biogas e residua digestato (solido e liquido), la cui effettiva composizione dipende dalle materie prime di volta in volta impiegate.

Nel caso precipuo, non vi sono elementi tali da indurre a ritenere che sia stato consegnato un prodotto diverso da quello concordato tra le parti. Le dichiarazioni rese dall’azienda cessionaria e la documentazione prodotta (documenti di trasporto ed analisi) hanno, infatti, dimostrato come sia stato consegnato digestato solido; il digestato solido non può che essere digestato solido e non può assumere altre e diverse connotazioni, che dipendono – invece – dall’uso che di tale materiale viene fatto, aspetto quest’ultimo che incide sulla qualifica dell’oggetto come sottoprodotto ovvero come rifiuto.

Ed invero, le modalità e le condizioni attraverso cui è possibile servirsi del digestato sono state stabilite dalla delibera della Regione Emilia-Romagna n. 51/2011, secondo cui questo materiale è considerato sottoprodotto quando viene impiegato attraverso la spanditura sui campi agricoli; ogni altro suo utilizzo implica, invece, che lo stesso venga qualificato come rifiuto e, di conseguenza, venga assoggettato alla disciplina ambientale prevista dal d. lgs. 152/2006. Nel caso di specie, il digestato ceduto non è stato correttamente utilizzato in campo agronomico dall’azienda del querelante, che – invece – si serviva del materiale per mescolarlo con altre sostanze di origine animale e creare fertilizzanti. E, per tale ragione, il prodotto è stato considerato un rifiuto.

Dunque, i legali rappresentanti della azienda cedente devono essere mandati assolti in quanto, a prescindere dalla normativa ambientale e dalla caratterizzazione della sostanza ceduta (aspetti che peraltro afferiscono ad un differente procedimento penale), non può negarsi che vi fosse corrispondenza tra quanto pattuito e quanto consegnato.

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Collegamenti ad altre pronunce

Nella giurisprudenza di legittimità o di merito non si ravvisano precedenti significativi che affrontino un caso del tutto analogo a quello oggetto della pronuncia qui richiamata e che quindi trattino di frodi in commercio con risvolti ed impatti sull’ambiente e sulla relativa disciplina.

Invece, in termini più generali, ricca è la giurisprudenza sul delitto di frode nell’esercizio del commercio, soprattutto in campo agro-alimentare. Ex multis: Cass. pen., sez. III, sent. 18 settembre 2020 – dep. 20 gennaio 2021, n. 2244; Cass. pen., sez. III, sent. 6 febbraio 2019 – dep. 5 giugno 2019, n. 25040; Cass. pen., sez. III, sent. 5 dicembre 2013 – dep. 4 febbraio 2014, n. 5474; Cass. pen., sez. III, sent. 28 giugno 2007 – dep. 21 settembre 2007, n. 35234.

Parimenti significativa la giurisprudenza intervenuta per tracciare il limine tra rifiuti e sottoprodotti. Si possono ad esempio segnalare: Cass. pen., sez. III, sent., 18 settembre 2019 – dep. 15 gennaio 2020, n. 1426; Cass. pen., sez. feriale, sent. 28 luglio 2015 – dep. 6 agosto 2015, n. 34284; Cass. pen. sez. III, sent. 17 aprile 2012 – dep. 10 maggio 2012, n. 17453. Si riscontrano poi diverse pronunce in materia di digestato, tra cui: Cass. pen., sez. III, sent. 19 dicembre 2019 – dep. 14 aprile 2020, n. 12024; Cass. pen., sez. III, sent., 19 settembre 2017 – dep. 15 dicembre 2017, n. 56066; Cass. pen., sez. III, sent. 19 giugno 2012 – dep.  31 agosto 2012, n. 33588.

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Dottrina e riferimenti bibliografici.

L. Conti, Frode in commercio e altri attentati alla fiducia commerciale, in N.D.I., VII, 1961, 637;

F. Lemme, La repressione penale della concorrenza sleale, in Tratt. Di Amato, IV, 1993, 44;

A.L. Maccari, Sub art. 515 c.p., in Codice penale commentato, a cura di M. Ronco – B. Romano, 2012, 2300.

S. Maglia, Nozione di rifiuto, materie prime secondarie e sottoprodotti: ancora norme poco chiare e poco europee, in Ambiente e sviluppo, 2006, 8, 715;

S. Maglia – A.M. Labarile, Sulla produzione di energia da biogas: il punto sui recenti sviluppi normativi, in Ambiente e sviluppo, 2009, 8, 716

V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, VIII, 1986, 202;

G. Marinucci, Economia pubblica, industria e commercio (Delitti contro la), in Enc. Dir. XIV, 1965;

G. Marinucci, Frode in commercio, in Enc. Dir., XVIII, 1969, 136;

A. Quaranta, Utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento e di digestato: la “nuova” disciplina, in Ambiente e sviluppo, 2016, 5, 337;

C. Pedrazzi, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, 1955, 279;

C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, 2016, 107;

L. Vinciguerra, Frode in commercio ed accettazione di cosa diversa da quella dovuta, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1966, 212.

Avv. Giulia Rizzo Minelli

Dottoranda di diritto penale presso l’Università di Bologna


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