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Tribunale penale di Bologna, in composizione monocratica, sent. n. 2868/2020 (ud. 19 ottobre 2020, dep. 4 gennaio 2021)

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Oggetto del provvedimento

Il Tribunale di Bologna assolve il legale rappresentante di un’impresa per l’infortunio occorso ad un lavoratore a causa del comportamento imprudente di un terzo lavoratore, evitando di utilizzare il consueto criterio del “comportamento abnorme” – foriero, come noto, di quasi inevitabili condanne – e preferendo invece valorizzare l’esistenza, a monte, di una corretta valutazione e gestione del rischio concretizzatosi nell’evento e lo svolgimento di idonee attività di formazione. La pronuncia offre la sponda per qualche considerazione in merito alla corretta ricostruzione della colpa nel contesto della sicurezza sul lavoro in caso di comportamento imprudente del lavoratore.

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Contenuto del provvedimento

  1. L’infortunio

Con la sentenza in esame il Tribunale di Bologna ha assolto il legale rappresentante di un’importante impresa attiva nel settore della vendita all’ingrosso di materiale elettronico, imputato per le lesioni colpose gravi (artt. 590, comma 3, e 583, comma 1, n. 1, c.p.) causate da un lavoratore ad un altro dipendente.

L’infortunio era avvenuto durante le attività di inventario a piedi in magazzino, operazione annuale per le quali è previsto un controllo incrociato da parte di una coppia di dipendenti: uno incaricato di esaminare la merce all’interno del singolo bancale, l’altro di riportare l’esito delle operazioni sull’apposita apparecchiatura elettronica portatile. Durante uno di questi controlli, l’impiegato incaricato di registrare la merce si inoltrava all’interno del bancale a fianco del collega, per aiutarlo nella verifica di alcuni materiali mancanti; in tal modo, egli si rendeva sostanzialmente invisibile, lasciando soltanto la propria gamba sinistra sulla corsia che scorreva di fianco al bancale.

Su detta corsia sopraggiungeva dunque un terzo impiegato, alla guida di un carrello elevatore, il quale, a causa della visibilità ridotta dalla merce posizionata sulle forche, non si accorgeva della presenza dei colleghi all’interno del bancale e conduceva dunque il mezzo sopra all’arto sporgente, causando una frattura biossea della caviglia e l’avulsione ungueale di un dito del piede, giudicate guaribili in 40 giorni.

Il legale rappresentante della ditta veniva dunque tratto in giudizio, sul presupposto che la valutazione del rischio non avesse debitamente tenuto conto della compresenza di uomini e mezzi nel medesimo ambiente di lavoro, né della circolazione in sicurezza dei carrelli elevatori, né infine delle particolarità delle operazioni di inventario.

  1. La necessaria integrazione tra DVR e manuali d’uso

Come sempre accade nei processi per infortuni sul lavoro, l’elemento centrale ai fini della decisione consiste nella verifica sull’adeguatezza e completezza del Documento di Valutazione del Rischio (DVR), adottato dal datore di lavoro (individuato come di consueto nel legale rappresentante dell’impresa) ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 81/2008. Ebbene, secondo i rilievi svolti dal consulente della difesa e accolti dal giudicante, nel caso di specie il DVR non solo poteva dirsi completo nelle sue parti più generali (dalla corretta individuazione di tutti i soggetti responsabili previsti dal T.U. alla presenza di segnaletica orizzontale in ogni ambiente di lavoro, sia per i pedoni che per gli autoveicoli, compresa l’indicazione di un senso unico di marcia) ma conteneva anche una valutazione specifica del rischio occorso ed alcune prescrizioni idonee ad evitare, se rispettate, l’infortunio concretamente verificatosi.

Pur non prevedendo di per sé alcuna regola specifica in materia, il DVR richiamava infatti espressamente il manuale d’uso del carrello elevatore, imponendo il rispetto delle prescrizioni ivi contenute; e all’interno del manuale era valutato proprio il rischio di investimento quando il carrello è a pieno carico e la visibilità del conducente è conseguentemente diminuita: in tal caso, il manuale prescriveva al conducente di procedere in retromarcia, in modo tale da avere piena visuale della direzione di movimento, e di farsi assistere da un terzo che impartisca le direttive di manovra.

A nulla rileva ovviamente che, come occorso nel caso di specie, la valutazione del rischio e le relative prescrizioni non fossero espressamente esplicitate nel DVR, anzi: come noto, l’adozione delle misure previste dal manuale d’uso è addirittura obbligatoria anche nel caso in cui esse siano ulteriori rispetto a quelle previste dall’Allegato VI al d.lgs. 81/2008, che contiene disposizioni minime sull’uso delle attrezzature di lavoro (cfr. da ultimo Cass. pen., Sez. Fer., 27.08.2019, n. 45719, dep. 11.11.2019, in C.E.D., rv. 277306).

Poiché è noto che la mera esistenza nel DVR di specifiche regole idonee a prevenire il rischio-infortunio non è di per sé sufficiente ad escludere un’eventuale responsabilità dei soggetti “garanti” individuati dal c.d. T.U. in materia di sicurezza del lavoro – si pensi al caso in cui non sia prevista alcuna forma di controllo sull’effettivo rispetto delle prescrizioni (v. ad es. Cass. pen., Sez. IV, 08.05.2019, n. 27787, dep. 24.06.2019, in C.E.D., Rv. 276241) –, di fondamentale importanza risulta l’ulteriore rilievo compiuto dalla difesa (e non contestato dall’accusa) circa l’effettivo svolgimento dell’attività di formazione del personale, in assenza della quale il mero richiamo ricettizio al manuale d’uso del carrello elevatore contenuto nel DVR non avrebbe probabilmente potuto salvare il datore di lavoro da una sentenza di condanna (Cass. pen., Sez. IV, 13.02.2020, n. 8163, dep. 02.03.2020, in C.E.D., Rv. 278603). Del resto, la formazione dei dipendenti – che talvolta può addirittura sopperire alla mancata valutazione del rischio nel DVR (v. ad es. Trib. Padova, 23.05.2016, in Dpei.it) – non si esaurisce con la mera consegna del libretto d’istruzioni, ma esige che ne siano illustrati i contenuti (cfr. da ultimo Cass. pen., Sez. IV, 11.01.2019, n. 5441, in C.E.D., Rv. 275020).

L’art. 71, comma 7, del T.U., infatti, prevede espressamente che per l’utilizzo di particolari attrezzature da lavoro possano essere utilizzati soltanto i dipendenti che abbiano ricevuto specifica formazione; e l’art. 73, nel precisare gli obblighi generali di informazione (art. 36) e formazione (art. 37) dei lavoratori in tali ipotesi, rimette (comma 5) a un decreto attuativo (costituito dall’Accordo Stato-Regioni e provincie Autonome di Trento e Bolzano del 22 febbraio 2012) l’individuazione di tali attrezzature, in cui figurano anche i carrelli elevatori, e dei contenuti specifici dei corsi di formazione (previsti, per i carrelli elevatori, dall’Allegato VI al decreto attuativo), che prevedono l’illustrazione del manuale d’uso, delle istruzioni per la guida a pieno carico ed esercitazioni pratiche.

Poiché dunque il DVR poteva dirsi completo – mediante il rinvio al manuale d’uso – delle prescrizioni idonee ad evitare l’infortunio occorso, e l’adeguata formazione del personale non è contestata, il Tribunale correttamente conclude per l’assenza di responsabilità in capo al datore di lavoro.

  1. Il comportamento imprudente del lavoratore dalla causalità alla colpa

Nonostante la stringata motivazione offerta dalla sentenza in commento, è interessante notare come il giudicante abbia fatto corretta applicazione dei principi che governano l’imputazione colposa, in un settore – quello della sicurezza sul lavoro – in cui spesso si celano forme di presunzione legate soprattutto alla costruzione della regola cautelare il cui rispetto avrebbe potuto impedire l’infortunio (Castronuovo, Profili, 6).

Generalmente, a fronte di un infortunio causato dal comportamento imprudente del lavoratore infortunato o di altro lavoratore, entra in gioco l’aspetto del “comportamento abnorme” del lavoratore, che la giurisprudenza costantemente vaglia quale potenziale fattore di esclusione della responsabilità del datore cc.dd. e degli altri (eventuali) “debitori di sicurezza” e che altrettanto spesso ritiene insussistente nel caso concreto (v. le ricostruzioni di Castronuovo, Profili, 7 ss. e De Lia, 4322 ss.). Tale criterio renderebbe infatti possibile l’esenzione da responsabilità quando il lavoratore abbia posto in essere una condotta del tutto eccentrica rispetto all’attività lavorativa (v. da ultimo Cass. pen., Sez. F., 06.08.2020, n. 23947; nella giurisprudenza di merito v. App. Bologna, 20.12.2019, n. 7950, in Dpei.it, con nota di M. Botto); tuttavia, la sua tradizionale collocazione giurisprudenziale sul piano della causalità (Tordini Cagli, 112 ss.) lo rende de facto inutilizzabile, producendo una sorta di cortocircuito nel quadro della sicurezza sul lavoro.

Ritenendo infatti che (solo) il comportamento abnorme del lavoratore sia idoneo a interrompere il nesso tra evento e datore di lavoro (ex multis: Cass. pen., Sez. IV, 10.01.2018, n. 7188, in C.E.D., Rv. 272222; per un caso di riconosciuta abnormità v. Trib. Firenze, 12.10.2018, n. 4401, in Dpei.it, con nota di F. Dalaiti) si imposta il ragionamento come se tutti gli infortuni fossero per loro natura già causalmente connessi all’attività del datore; in tal modo, però, si addossano inevitabilmente ad esso tutti i comportamenti incauti del lavoratore che non siano del tutto esulanti dall’attività lavorativa, a prescindere dalla loro effettiva prevedibilità, che viene presunta: ragionando sul piano della causalità si finisce così per presumere, in ultima analisi, la colpa del datore di lavoro.

Ora, non c’è dubbio che anche il lavoratore ben istruito potrebbe porre in essere un comportamento incauto prevedibile ex ante e in concreto, ed è dunque del tutto fisiologica l’esistenza di obblighi di controllo in capo ai garanti dotati di poteri direttivi, a tutela del lavoratore “da sé stesso” (oltre che a tutela di terzi): si pensi agli alcoltest periodici a sorpresa finalizzati a ridurre il rischio che l’autista di autoveicoli, pur esperto e ben formato, si presenti sul luogo di lavoro in stato di ubriachezza. Tuttavia, non essendo pacificamente previsto in capo al datore un dovere di controllo costante e pervasivo (v. per tutte Cass. pen., Sez. IV, 02.12.2016, n. 27296, in C.E.D., Rv. 270100), non sempre il comportamento imprudente è davvero prevedibile ed evitabile in concreto: anche nell’esempio appena proposto potrebbe darsi che l’autista si presenti comunque al lavoro in stato di ubriachezza, o addirittura che aggiri i controlli. Del tutto similare in questo senso è il caso oggetto della sentenza in commento: un comportamento da parte di un dipendente ben istruito che è imprudente ma di certo non abnorme né eccentrico all’attività lavorativa, e tuttavia difficilmente impedibile nella situazione concreta, salvo inverosimili attività di controllo continuo e a tappeto. L’equiparazione senza sconti tra non-abnormità/non eccentricità della condotta del lavoratore e prevedibilità da parte del datore – cioè tra causalità e colpa – finisce dunque col punire il datore per la violazione di un obbligo che egli non aveva.

Spostando il discorso dalla causalità alla colpa relazionale e al nesso di rischio, come efficacemente dimostrato da recente dottrina, simili torsioni interpretative sembrano potersi efficacemente contrastare (cfr. Castronuovo, Profili, 16 ss.). Sotto questa luce, innanzitutto, il comportamento abnorme del lavoratore viene letto come l’attivazione di un rischio al di fuori dall’area di competenza dal datore di lavoro, ed è di conseguenza escluso il nesso tra (eventuale) regola violata dal datore (in sede di valutazione del rischio e predisposizione delle misure idonee a contenerlo) ed evento verificatosi. Questo primo passo, che è accolto in misura sempre maggiore anche dalla giurisprudenza (a partire dalla nota “sent. Thyssenkrupp”: Cass. pen., Sez. U., 24.04.2014, n. 38343, Espenhahn; v. anche Cass. pen., Sez. IV, 14 giugno 2018, n. 27399), allarga già un po’ le maglie del comportamento abnorme, inserendovi anche comportamenti non del tutto eccentrici rispetto all’attività lavorativa; ma non in misura ancora statisticamente significativa (a livello di incidenza sui casi pratici) e comunque senza risolvere davvero il problema della culpa in re ipsa – palesato dalla frequente considerazione per cui il rischio attivato dal lavoratore non varrebbe mai ad escludere la responsabilità del datore se a questi è comunque rimproverabile una qualche violazione (v. ad es. Cass. pen., Sez. IV, 16 luglio 2019, n. 30991, in Cass. pen., 2019, fasc. 12, 4414 ss., con nota di M. Telesca) – perché ove il rischio attivato dal lavoratore sia inserito nell’attività lavorativa sarà sempre possibile individuare ex post una misura cautelare apposita che il datore avrebbe dovuto rispettare (Castronuovo, Profili, 9), la cui violazione sposta dunque il rischio attivato dal lavoratore all’interno di quelli di competenza del datore. Finché si rimane nella prospettiva ex post della causalità, finché si ragiona col “senno di poi”, tutti i rischi attivati dal dipendente saranno riconducibili in qualche modo ad un’omissione del datore: nel nostro caso, dicevamo, sarebbe bastato prevedere un controllore incaricato di vigilare che nessuno guidi “in avanti” il carrello elevatore a pieno carico; se il controllore si fosse distratto, sarebbe bastato prevedere un controllore incaricato di vigilare sui livelli di guardia del controllore, e così via.

Disinnescare simili derive è possibile, se si agisce nell’ambito della colpa, rispettandone alcuni presupposti: primo fra tutti, differenziando l’accertamento della concretizzazione del rischio illecito attivato dal datore nell’evento verificatosi (ove è trattata la eventuale “abnormità” del comportamento) dall’accertamento circa l’illiceità stessa del rischio attivato dal datore, ponendo cioè il primo giudizio in una prospettiva ex post e il secondo in una prospettiva ex ante. Prima di valutare se il comportamento incauto del dipendente abbia attivato un rischio eccedente rispetto a quello attivato dal datore (in una prospettiva ex post) è dunque necessario accertare se al datore si possa rimproverare l’effettiva attivazione di un rischio illecito; qui sta la differenza più profonda rispetto all’orientamento della giurisprudenza: poiché questa operazione è da compiersi in una prospettiva ex ante, la regola cautelare violata dal datore deve essere una regola la cui percepibilità ed esigibilità devono sussistere prima del fatto, non dopo, pena la violazione del principio di personalità della responsabilità penale (Donini, L’elemento, 132 ss., 141, 151 ss.; Id., La personalità, 1581, 1615 ss.; Id., Prassi, 5 s.; Castronuovo, I profili, 16 ss.; Id., L’evoluzione, 1626 ss.; per un caso di inesigibilità v. Trib. Firenze, Sez. I, 7.1.2019, in Dpei.it, con nota di V. Torre).

Tracce di questa impostazione non sono rinvenibili nel testo della pronuncia in esame, il cui merito è però quello di averne seguito la “filosofia”: ricostruendo la regola cautelare senza scivolare in prospettive ex post e senza dunque incappare in presunzioni eccessive circa la prevedibilità ed evitabilità del comportamento imprudente del lavoratore, che non può essere automaticamente fonte di responsabilità per il datore. Ne risulta che una volta che il datore abbia adottato le misure antinfortunistiche necessarie ed abbia efficacemente formato il personale, egli dovrà essere esente da responsabilità se il dipendente decide deliberatamente di non osservarle (salvo i casi in cui questa disobbedienza sia nota o concretamente prevedibile). Come già è stato detto (Grotto, 2 ss.), del resto, il T.U. 81/2008, nel prevedere una responsabilità anche in capo al lavoratore, e nel prescrivere obblighi di informazione e formazione, disegna un sistema in cui il lavoratore stesso è personalmente incaricato di contribuire alla gestione del rischio; si tratta di un modello collaborativo e partecipativo, «che fa da contraltare al modello iperprotettivo (e paternalistico) seguito dalla giurisprudenza assolutamente dominante, in cui il datore di lavoro è investito di un potere di vigilanza pressoché assoluto, benché irrealistico, sul contegno del lavoratore» (Castronuovo, I delitti, 334).

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Collegamenti con altre pronunce

Oltre alle pronunce già citate nel testo, in relazione a infortuni occorsi alla guida di un carrello elevatore in cui il comportamento incauto del lavoratore non è ritenuto interruttivo del nesso di causalità, v. Cass. pen., Sez. IV, 17.02.2009, n. 15009, dep. 07.04.2009, in C.E.D., Rv. 243208; Cass. pen., Sez. 4, 04.04.2019, n. 30985, dep. 16.07.2019, in C.E.D., Rv. 277476 (in cui non è però contestata la violazione della normativa antinfortunistica).

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Dottrina e riferimenti bibliografici

  1. Castronuovo, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, fasc. 4, 1594 ss.
  2. Castronuovo, I delitti di omicidio e lesioni, in D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini, Sicurezza sul lavoro: profili penali, Torino, 2019, 285 ss. (spec. 299 ss. e 329 ss.).
  3. Castronuovo, Profili relazionali della colpa nel contesto della sicurezza sul lavoro. Autoresponsabilità o paternalismo penale?, in Arch. pen., fasc. 2, 2019.
  4. De Lia, La questione dell’autoesposizione a pericolo da parte della “vittima” nell’ambito degli infortuni sul lavoro: uno sguardo nel “giardino degli epiteti”, in Cass. pen., 2019, fasc. 12, 4317 ss.
  5. Donini, L’elemento soggettivo della colpa. Garanzie e sistematica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, fasc. 1, 124 ss.
  6. Donini, La personalità della responsabilità penale fra tipicità e colpevolezza. Una “resa dei conti” con la prevenzione generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, fasc. 3, 1577 ss.
  7. Donini, Prassi e cultura del reato colposo. La dialettica tra personalità della responsabilità penale e prevenzione generale, in Dir. pen. cont., 13 maggio 2019.
  8. Ferro, Responsabilità per infortuni sul lavoro e rilevanza del comportamento del lavoratore, in Dir. pen. proc., 2011, 1308 ss.
  9. Grotto, Obbligo di informazione e formazione dei lavoratori, nesso di rischio e causalità nella colpa, in Dir. pen. cont., 22 settembre 2012.
  10. Micheletti, La responsabilità esclusiva del lavoratore per il proprio infortunio. Studio sulla tipicità passiva nel reato colposo, in Criminalia, 2014, 323 ss.
  11. Telesca, Responsabilità penale del datore di lavoro per omesso intervento in presenza di prassi scorretta del lavoratore, in Cass. pen., 2019 fasc. 12, 4417 ss.
  12. Tordini Cagli, I soggetti responsabili, in D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini, Sicurezza sul lavoro: profili penali, Torino, 2019, 71 ss. (spec. 110 ss.).

Dott. Ludovico Bin, Ricercatore presso l’Università del Salento


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