Trib. Milano, X sez. pen., sent. 9501/2021
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Oggetto del provvedimento
Con la sentenza in esame, il Tribunale di Milano si è pronunciato sulla responsabilità dei vertici della società S. s.p.a. per i delitti di aggiotaggio informativo (art. 185 T.U.F.) e di false comunicazioni sociali (art. 2622 c.c.), nonché sulla responsabilità del medesimo ente ex artt. 25-ter e 25-sexies d.lgs. 231/2001, assolvendo gli imputati da tutti i reati contestati e, per l’effetto, escludendo la sussistenza della responsabilità ex crimine della società.
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Contenuto del provvedimento
- I fatti
La pronuncia si occupa di tre distinti addebiti, mossi ai vertici della società S. s.p.a. (quotata nel mercato regolamentato) che si sono succeduti negli anni 2012 e 2013, oltre a misurarsi con la responsabilità dell’ente collettivo derivante da detti reati.
In particolare, all’amministratore delegato e al CEO della società in carica nell’anno 2012 si contesta la violazione reiterata dell’art. 185 T.U.F. – con riferimento alla sotto-fattispecie dell’aggiotaggio informativo – per aver diffuso notizie false (“incomplete o reticenti”) riguardanti la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni ordinarie. Nel dettaglio, sarebbero state occultate gravi criticità previste per l’anno 2013, anno in cui la società stimava di realizzare un EBIT (Earnings before interest and taxes) inferiore di circa un miliardo di euro rispetto al c.d. consensus degli analisti e alle attese del mercato. La condotta, secondo l’impostazione dell’accusa, sarebbe stata realizzata attraverso un comunicato stampa non veritiero ed una conference call con analisti finanziari nell’ottobre del 2012.
All’amministratore delegato e al dirigente preposto alla redazione delle scritture contabili in carica nell’anno 2013, poi, si addebitano condotte di falso in bilancio ex art. 2622, co. 1, 3 e 4, c.c. (nella formulazione ante l. 69/2015), poiché, in contrasto con i principi contabili di riferimento – in particolare con lo IAS 11 – non avrebbero rilevato extracosti legati a ritardi e a penali per complessivi € 245.000.000, iscrivendo, per l’effetto, maggiori ricavi a conto economico e omettendo di rilevare la perdita attesa sulle commesse coinvolte come costo dell’esercizio.
Ai due, poi, veniva contestata anche una seconda violazione dell’art. 185 T.U.F., in quanto, mediante comunicati stampa diffusi al pubblico nell’anno 2013, nei quali davano notizia dell’approvazione del bilancio di cui sopra, avrebbero diffuso notizie false sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, dipendenti dalla maggior imputazione di ricavi per € 245.000.000, effetto dell’azzeramento degli extracosti sopradescritto[1].
Quanto a S. s.p.a., l’accusa disegna la sua incolpazione intorno alla violazione degli artt. 25-ter e 25-sexies d.lgs. 231/2001, per non aver predisposto un modello di organizzazione e gestione del rischio che fosse idoneo a prevenire la consumazione dei delitti sopra descritti, realizzati da soggetti apicali.
La sentenza del Tribunale di Milano, come già anticipato, giunge all’assoluzione per tutti gli imputati per insussistenza dei delitti contestati – per l’effetto escludendo anche la responsabilità dell’ente collettivo – al termine di una puntualissima ricostruzione fattuale, nella quale si analizzano, a partire dalla stessa struttura societaria, tutte le procedure interne in tema di comunicazioni finanziarie (p. 11 ss.) nonché la scansione cronologica delle comunicazioni al pubblico effettuate dalla società (pp. 14 ss. e 18 ss.).
- L’aggiotaggio c.d. informativo (art. 185 T.U.F.)
La vicenda processuale, in larga misura, si centra sul primo degli addebiti, che ha ad oggetto le comunicazioni effettuate dai vertici sociali nell’ottobre 2012, ritenute in violazione dell’art. 185 T.U.F.
Più nel dettaglio, la (sotto-)fattispecie che viene qui in rilievo è rappresentata dal c.d. aggiotaggio informativo, legato alla diffusione di notizie false, e concettualmente distinto dall’aggiotaggio “manipolativo”, realizzabile mediante “operazioni simulate” o “altri artifici”. Com’è noto, l’art. 185 T.U.F. è una norma a più fattispecie[2] che si caratterizza per essere un reato di pericolo concreto, il cui termine di giudizio è rappresentato dall’idoneità “a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari”.
Da questo angolo visuale, risulta chiaro che la fattispecie intende proteggere il funzionamento e l’integrità del mercato regolamentato, inteso come un bene giuridico sovraindividuale. La tutela, almeno sul piano della formulazione normativa, arretra sulla soglia del pericolo, senza tuttavia rinunciare ad un vaglio piuttosto stringente di offensività, che concorre a segnare il confine applicativo rispetto al finitimo illecito amministrativo di cui all’art. 187-ter T.U.F.[3]. Nondimeno, pur essendo chiaro che le scelte degli operatori finanziari sono indiscutibilmente orientate dalle loro conoscenze, e che ciò influisce sul prezzo degli strumenti negoziati sul mercato[4], è altrettanto vero che la “sensibile alterazione” viene comunemente ricondotta a scelte (ritenute) razionali, che tuttavia non sempre sono proprie dei mercati regolamentati[5]. Si tratta, in sostanza, di un giudizio di prognosi postuma da condurre in una prospettiva ex ante, in concreto e a base totale, a prescindere dal successivo sviluppo degli accadimenti, di cui pur sempre si dispone al momento del giudizio[6].
La sentenza in commento analizza approfonditamente la condotta tipica del delitto di aggiotaggio informativo (p. 49 ss.), specificando – e il punto pare di grande interesse – che la condotta di diffusione si connoterebbe per l’essere (i) una condotta attiva, (ii) realizzabile con qualunque mezzo recante qualunque genere di comunicazione, scritta o orale, (iii) e, infine, destinata ad un numero indeterminato di persone operanti nel settore economico-finanziario.
La pronuncia, in questo frangente, fa tesoro di un orientamento dottrinale piuttosto consolidato che esclude in radice la possibilità che il reato possa configurarsi in forma omissiva[7], al netto della indiscutibile capacità di detti contegni di alterare, quanto una condotta attiva, l’andamento dei prezzi degli strumenti finanziari. Richiamando analoghi arresti di merito, il giudicante afferma chiaramente l’irrilevanza, ai sensi dell’art. 185 T.U.F., della mera non comunicazione di un dato significativo, distinguendo tale ipotesi dal diverso caso in cui all’interno di una condotta attiva decettiva sia innestata l’omissione di un dettaglio o di un segmento informativo che comporti la diffusione di una notizia price sensitive[8]. Del resto, la presenza di una sanzione amministrativa specificamente prevista per l’omessa comunicazione al mercato di informazioni obbligatorie dal combinato disposto degli artt. 114 e 193 T.U.F. chiude il cerchio intorno ad un’interpretazione dell’art. 185 T.U.F. che sembra necessitata, ma comunque apprezzabile, anche perché controtendente rispetto al dilagare di posizioni di obbligo, dalla dubbia fondatezza, di matrice giurisprudenziale.
Quanto al concetto di “notizia”, nella pronuncia in commento viene ricostruito come un’informazione dal carattere determinato, relativa a fatti di carattere economico, commerciale, politico-sociale[9], etc., attuali o futuri, ma a condizione che essa tragga origine da un riferimento attuale e presente[10]; per l’effetto, sono da escludersi – ancora una volta in conformità alle indicazioni della dottrina più avvertita – i rumors o le mere previsioni, scollegate da eventuali riscontri fattuali[11]. La notizia, poi, deve essere “falsa”, ossia non rispondente a verità. La sentenza, sul punto, rigetta la lettura estensiva – pur autorevolmente proposta in dottrina[12] – che propende per l’inclusione delle notizie “esagerate” o “tendenziose” all’interno della sotto-fattispecie di aggiotaggio informativo, e recupera in chiave sistematica le indicazioni ritraibili dalla relazione illustrativa al d.d.l. n. 7123/2000, laddove, pur con riferimento all’art. 2637 c.c., si era precisata la specifica intenzione legislativa di espungere il riferimento a tali notizie – prima presente – lasciando spazio unicamente al concetto di falsità[13]. Sebbene anche questo segmento della parte motiva non possa che essere condiviso, apre invece qualche perplessità l’obiter in cui il Tribunale riconduce – ferma l’irrilevanza della precisazione per il caso in esame – la diffusione di notizie “esagerate” o “tendenziose” entro la condotta (manipolativa) dell’impiego di “altri artifici”, che rischia di rendere un mero esercizio di stile la delimitazione concettuale appena effettuata[14].
Venendo al caso in esame, il giudicante valorizza particolarmente l’analisi dei tempi con cui si scandiva il calendario finanziario della società, rilevando che, al momento del comunicato e della conference call di cui al primo addebito, non vi fosse alcun obbligo comunicativo delle previsioni sull’anno successivo (ordinariamente comunicate nel mese di febbraio di ogni anno). La circostanza appena descritta consente di concludere che, nel periodo di interesse, la struttura sociale stava ancora raccogliendo i dati che sarebbero confluiti in una bozza di budget che comincerà a circolare soltanto dopo le comunicazioni ritenute illecite, e che, quindi, “la mera omessa comunicazione delle previsioni di budget 2013 (in via di deterioramento) non possa formare oggetto del reato in contestazione” (p. 53).
Anche al netto di questo profilo, l’esame della comunicazione effettuata – alla luce delle risultanze processuali – porta il Tribunale a ritenere che le aspettative dei vertici sociali potessero essere ritenute fondate, trovando appiglio nella positiva conclusione di alcuni accordi economici, che, pur in una prospettiva “sfidante” (sic) potevano dar luogo ad aspettative concrete e ragionevoli. Aspettative che, sottolinea il Tribunale, vengono messe in discussione dalla fortissima discontinuità che dipenderà – successivamente a questi fatti – dalle repentine dimissioni dell’amministratore delegato, che porteranno ad un avvicendamento forse non del tutto ininfluente anche con riguardo agli stessi valori associati alla società (p. 57 ss.).
- Le falsità in bilancio: la questione della univocità dei principi contabili
Il secondo macro-tema affrontato nella sentenza in esame è relativo ai requisiti costitutivi del delitto di false comunicazioni sociali, per come disciplinato dall’art. 2622, co. 1, 3 e 4, c.c., nella formulazione ante l. 69/2015. Difatti, ai nuovi vertici di S. s.p.a. si addebita di aver imputato extra costi all’anno 2013 anziché al 2012, cercando così di rappresentare una sorta di continuità con la precedente gestione e, in particolare, con le comunicazioni diffuse nell’ottobre 2012.
Il Tribunale, anche in questo frangente, si impegna in un’analitica lettura degli elementi indiziari portati a sostegno della tesi d’accusa (p. 59 ss.), finendo con l’escluderne ogni decisiva valenza (p. 65). L’attenzione del giudicante si centra, invece, sui principi contabili applicabili alla società, la quale, operando sul mercato regolamentato, si trova a dover applicare i principi internazionali per il bilancio consolidato, con facoltà di procedere analogamente anche per il bilancio di esercizio (come accaduto nel caso di specie).
La disamina della natura del bilancio e dei principi contabili nazionali e internazionali (p. 65 ss.) culmina poi nell’affermazione della natura “ontologicamente imprecisa” della disciplina di dettaglio che si collega alla messa in opera concreta di detti principi: secondo il giudicante, in altri termini, il nucleo centrale di inequivocabile significato del principio contabile sfumerebbe e scolorerebbe nel progressivo allontanamento dalla matrice originale, per giungere al caso concreto.
Tale considerazione di ordine generale è quindi calata nell’esame del principio IAS 11, che viene appunto in gioco con riferimento all’imputazione contabile dei ricavi e dei costi di contratti a lungo termine o pluriennali. Questi ultimi, com’è evidente, sono intrinsecamente soggetti anche a notevoli variazioni nel corso del tempo, talora non compiutamente prevedibili ex ante, sia nell’an che nel quantum. È qui che intervengono, in linea generale, i paragrafi 13 e 14 dello IAS 11[15], nei quali – secondo il condivisibile giudizio espresso dal Tribunale di Milano – si consacra l’uso di stime e valutazioni, come impone il costante richiamo alla “attendibilità” e alla “probabilità”, quale unica via per determinare i ricavi e i costi della commessa oggetto di imputazione contabile.
Ciò conduce il giudicante a ritenere che si sia dinanzi ad un’ipotesi di falso valutativo, da leggere in continuità con le indicazioni fornite dalle Sezioni unite della Suprema Corte di cassazione[16]. Com’è noto, l’accertamento della particolare specie di falso in discorso – sconnessa dall’ontologismo che regge le altre ipotesi – si impernia sul raffronto della rappresentazione contabile con l’enunciazione dei metodi e dei criteri (normativi) impiegati per la sua redazione, per come esplicitata nella nota integrativa.
Da questo punto di vista, quindi, si afferma che solo una redazione del tutto arbitraria e irragionevole avrebbe potuto recare i contrassegni della falsità, attesa non solo la natura intrinsecamente valutativa delle poste incriminate, ma anche l’ampio margine di discrezionalità che gli stessi principi contabili di riferimento lasciano al redattore dei documenti contabili, a fronte di un’attività obiettivamente non esente da difficoltà (rilevate, nel caso in esame, anche dalle autorità di vigilanza del settore)[17].
Il Tribunale conclude quindi per l’insussistenza dell’elemento oggettivo del delitto, non mancando di sottolineare l’ulteriore – ma ultronea – mancanza di prova in relazione all’elemento soggettivo dell’art. 2622 c.c., con specifico riguardo alla componente di dolo specifico di profitto (p. 79). Quale necessaria conseguenza della ritenuta liceità delle comunicazioni sociali, infine, v’è il travolgimento della distinta contestazione di aggiotaggio informativo relativa alla diffusione del bilancio asseritamente falso.
- La responsabilità dell’ente collettivo
L’insussistenza dei fatti di reato ascritti alle persone fisiche comporta, di per sé, l’insussistenza dell’illecito amministrativo ascritto all’ente collettivo, rispetto al quale, tuttavia, il Tribunale offre alcune precisazioni.
In particolare, si (ri)afferma la decisiva rilevanza del criterio obiettivo dell’interesse/vantaggio[18], che anzi sarebbe sconfessata – già nello stesso libello di accusa – dall’accento posto sull’entità del danno recato, per mezzo dei reati contestati, alla stessa società.
Dall’altro lato, poi, il giudicante chiude rilevando che la presenza di un modello di organizzazione e gestione del rischio-reato analiticamente predisposto e rigidamente proceduralizzato (come quello adottato dall’ente) avrebbe comportato per l’accusa l’onere di evidenziarne e provarne lacune e carenze strutturali, tali da consentire la commissione dei reati addebitati, in accordo con le previsioni del d.lgs. 231/2001.
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Collegamenti con altre pronunce
- In tema di aggiotaggio ex art. 185 T.U.F.
- Milano, Sez. I, 18 dicembre 2008, inedita
- App. Milano, Sez. II, 14 luglio 2010, n. 1728, inedita
- pen., Sez. V., 20 luglio 2011, n. 28932, in CED, rv. 253754
- pen., Sez. V, 20 giugno 2012, n. 40393, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, 925 ss.
- pen., Sez. II, 21 marzo 2013, n. 12989, in CED, rv. 255525
- pen., Sez. V, 13 settembre 2016, n. 3836, in Dir. pen. cont., 21 aprile 2017
- pen., Sez. V, 19 ottobre 2018, n. 53437, in CED, rv. 275134
- In tema di false comunicazioni sociali ex art. 2622 c.c.
- pen., Sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474, in CED, rv. 266802
- In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi
- pen., Sez. IV, 3 marzo 2021, n. 22256, in CED, rv. 281276
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Dottrina e riferimenti bibliografici
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Seminara S., Diritto penale commerciale, I, Torino, 2018.
Gherardo Minicucci
Ricercatore di diritto penale presso l’Università di Udine
[1] Per un esame ragionato di un’analoga casistica, pur con taglio prettamente operativo, cfr. F. Di Vizio, Sequestri e confische degli illeciti di market abuse e dei delitti societari di infedeltà informativa, in discrimen.it, 7 giugno 2019, in part. 27 ss.
[2] In termini, da ultimo, F. D’Alessandro, Market abuse, ne Il testo unico finanziario, a cura di M. Cera, G. Presti, II, Bologna, 2020, 2215.
[3] Sul punto, per ogni ulteriore riferimento, cfr. E. Amati, Abusi di mercato e sistema penale, Torino, 2012, 291 ss. (liberamente consultabile su discrimen.it).
[4] F. Mucciarelli, Altri artifici: una (controversa) modalità di realizzazione del delitto di manipolazione del mercato, in Studi in onore di Mario Romano, III, Napoli, 2011, 2033. Amplius cfr. L. D. Cerqua, voce Reati di aggiotaggio, in Dig. disc. pen., Agg. IV, Torino, 2008, 888. In giurisprudenza cfr. Cass. pen., Sez. V, 13 settembre 2016, n. 3836, in Dir. pen. cont., 21 aprile 2017.
[5] Amplius cfr. E. Amati, Abusi di mercato e sistema penale, Torino, 2012, 24 ss. e 233 ss. (liberamente consultabile su discrimen.it).
[6] In termini cfr. Cass. pen., Sez. V, 20 giugno 2012, n. 40393, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, 925 ss., con nota di C. Lenzini, Manipolazione di mercato: inadeguatezza del metodo dell’event study nell’accertamento dell’offesa ed alterazione per stabilizzazione artificiosa del prezzo di uno strumento finanziario, ivi; in senso analogo anche Cass. pen., Sez. V, 19 ottobre 2018, n. 53437, in CED, rv. 275134. In dottrina cfr. F. Mucciarelli, Manipolazione informativa: la condotta pericolosa e il luogo di consumazione nella lucida lettura della Cassazione, in Dir. pen. proc., 2011, 1103 ss. Nel senso che si tratti, invece, di un evento di pericolo cfr. G. Giordanengo, La tutela del mercato: aggiotaggio e manipolazione del mercato, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, 14ª ed., a cura di C.F. Grosso, Milano, 2013, 406 ss.
[7] Per tutti cfr. S. Seminara, Diritto penale commerciale, I, Torino, 2018, 93.
[8] Così anche Cass. pen., Sez. II, 21 marzo 2013, n. 12989 in CED, rv. 255525; Cass. pen., Sez. V., 20 luglio 2011, n. 28932, in CED, rv. 253754. In dottrina cfr. F. D’Alessandro, Regolatori del mercato, enforcement e sistema penale, Torino, 2014, 192 ss. (liberamente consultabile su discrimen.it); M. Masucci, Gli abusi di mercato. L’attuazione nel sistema penale italiano del regolamento e della seconda direttiva dell’Unione europea sul market abuse, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, 2ª ed., Torino, 2019, 344 ss.
[9] In questi termini, laddove vi sia obiettiva idoneità a modificare l’andamento dei prezzi, cfr. V. Napoleoni, I reati societari, III, Milano, 1996, 488.
[10] Così F. Mucciarelli, Aggiotaggio, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. Alessandri, Milano, 2002, 419.
[11] In termini, da ultimo, G. Martiello, Diritto penale dell’intermediazione finanziaria, Pisa, 2017, 199.
[12] C. Pedrazzi, voce Turbativa dei mercati, in Dig. disc. pen., XIV, Torino, 1999, 428.
[13] Per ulteriori approfondimenti cfr. N. Mazzacuva, E. Amati, Diritto penale dell’economia, 5ª ed., Padova, 2020, 382.
[14] La questione è da tempo nota in dottrina, anche con riferimento alle ipotesi di comunicazioni rivolte soltanto ad una ristretta cerchia di soggetti: cfr. L. D. Cerqua, voce Reati di aggiotaggio, in Dig. disc. pen., Agg. IV, Torino, 2008, 894.
[15] Par. 13 – “Una variante è una richiesta del committente che modifica l’oggetto del lavoro che deve essere svolto in base al contratto. Una variazione può portare a un aumento o a una diminuzione nei ricavi di commessa. Esempi di variazioni sono i cambiamenti di specifiche o di progettazione del bene e cambiamenti nella durata della commessa. Una variazione è inclusa nei ricavi di commessa se:
- è probabile che il committente approverà la variazione e l’ammontare del ricavo che ne deriva; e
- l’ammontare del ricavo può essere determinato con attendibilità”.
Par. 14 – “Con una richiesta di revisione prezzi l’appaltatore cerca di ottenere dal committente, o da terzi, un ammontare a titolo di rimborso per costi non compresi nel prezzo contrattuale. Una richiesta di revisione prezzi può derivare, per esempio, da ritardi causati dal committente, da errori nelle specifiche o nella progettazione e da variazioni contestate nei lavori di commessa. La determinazione dell’ammontare dei ricavi derivanti da richiesta di revisione prezzi è soggetta a un elevato grado di incertezza e spesso dipende dall’esito di negoziazioni. Perciò, le richieste di revisione vengono incluse nei ricavi di commessa solo quando:
- le negoziazioni hanno raggiunto una fase avanzata tale che è probabile che il committente accetti le richieste di revisione; e
- b) il probabile ammontare che sarà accettato dal committente può essere determinato con attendibilità”.
[16] Cass. pen., Sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474, in CED, rv. 266802, con nota di F. Mucciarelli, Le Sezioni Unite e le false comunicazioni sociali: tra legalità e “ars interpretandi”, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., 4/2016, 174 ss.; F. D’Alessandro, Le false valutazioni al vaglio delle Sezioni unite: la nomofilachia, la legalità e il dialogo interdisciplinare, in Cass. pen., 2016, 2790 ss.; A. Alessandri, La falsità delle valutazioni di bilancio secondo le Sezioni Unite, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1479 ss.; A.M. Dell’Osso, “Rien ne va plus”: le Sezioni Unite confermano la perdurante rilevanza delle valutazioni nei delitti di false comunicazioni sociali, in Giur. comm., 2016, 1204 ss.
[17] In dottrina, da ultimo, cfr. M. Scoletta, Il bilancio offensivo. Falsità, decettività e significatività nel giudizio di illiceità penale delle comunicazioni sociali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2020, in part. 192 ss.
[18] Da ultimo, in giurisprudenza, cfr. Cass. pen., Sez. IV, 3 marzo 2021, n. 22256, in CED, rv. 281276.
Dott. Gherardo Minicucci
Ricercatore in diritto penale dell’Università di Udine