Nota a Tribunale di Verona, ord. 16 marzo 2023 (ud. 2 marzo 2023).
Abstract: Il contributo commenta una recente decisione di merito che ha escluso la legittimità del sequestro ai fini di confisca ex art. 12-bis, d.lgs. 74/2000 a fronte della precedente dichiarazione di fallimento della società in cui operavano gli imputati. La pronuncia fornisce l’occasione per ripercorrere la complessa tematica dei rapporti tra confische/sequestri e procedure concorsuali, sviluppando alcune riflessioni alla luce dell’attuale contrasto interpretativo, in attesa di nuova definizione da parte delle Sezioni Unite, oltre che del nuovo assetto normativo predisposto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Sommario: 1. Premessa. – 2. La vicenda processuale. – 3. L’incerto “stato dell’arte” alla luce della precedente evoluzione giurisprudenziale: le Sezioni Unite Focarelli e il criterio “funzionalistico”. – 3.1. (segue) le Sezioni Unite Uniland e il principio della coesistenza dei vincoli. – 3.2. (segue) la questione della legittimazione a impugnare del curatore fallimentare e l’approdo delle Sezioni Unite Mantova Petroli. – 4. Verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite: il nodo dell’appartenenza a persona estranea al reato. – 5. Le questioni ancora aperte.
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- Premessa
Con l’ordinanza in commento, emessa in sede di giudizio di riesame, il Tribunale di Verona ha annullato un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca ex art. 12-bis del d.lgs. 74 del 2000, disposto su beni nella titolarità di una società in precedenza dichiarata fallita. Nell’accogliere il ricorso presentato dalla curatela, la pronuncia nega l’ammissibilità del sequestro preventivo ai fini di confisca tributaria in ipotesi di preesistenza di un vincolo fallimentare, respingendo l’opposta tesi a favore della prevalenza della misura cautelare reale.
La questione si pone al centro di un acceso contrasto giurisprudenziale che, appena pochi mesi fa, ha portato la Corte di Cassazione a sollecitare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite[1], ed è dunque in attesa di ricomposizione. Non si tratta, peraltro, di un dibattito nuovo alla riflessione degli interpreti: negli ultimi vent’anni, già in tre precedenti occasioni il supremo organo nomofilattico era stato chiamato a pronunciarsi sul tema dei rapporti tra misure ablative e procedure concorsuali, senza tuttavia approdare a esiti omogenei. Nemmeno il recente tentativo di una regolazione normativa della materia, come si dirà operato dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza[2], sembra essere riuscito nell’intento di sanare i contrasti esistenti: il che testimonia ulteriormente l’estrema difficoltà di trovare un equilibrio soddisfacente nell’assetto delle possibili interferenze tra confisca/sequestro e fallimento, che sia in grado di contemperare le opposte esigenze in campo[3].
Da un lato, infatti, si profila l’interesse dello Stato ad aggredire i proventi del crimine, che come noto risulta grandemente valorizzato nel quadro della consolidata tendenza politico-criminale di estensione normativa delle “confische”[4]. Tale pretesa, dall’altro, si pone in tensione con la posizione dei creditori del reo, in specie di quelli concorsuali, i cui diritti potrebbero essere sacrificati dall’incameramento da parte dello Stato dei beni destinati alla loro soddisfazione.
Sullo sfondo di questa contrapposizione di interessi si staglia la questione affrontata dall’ordinanza in commento, relativa, come detto, all’ammissibilità del sequestro ai fini di confisca tributaria in seguito a dichiarazione di fallimento. La soluzione a tale problema, sul piano strettamente giuridico, muove dalla risposta a due quesiti tra loro strettamente connessi: per un verso, si tratta di capire se l’assoggettamento dei beni a procedura concorsuale ne comporti l’“appartenenza a persona estranea al reato”, situazione che a norma dell’art. 12-bis, d.lgs. 74/2000 preclude l’applicabilità della confisca (e, ancor prima, del sequestro a essa funzionale); sul versante più specificamente processuale, occorre invece domandarsi se, a fronte dell’indisponibilità dei beni da parte di un imputato che sia stato dichiarato fallito, possa ancora ritenersi sussistente il periculum in mora necessario per disporre la misura cautelare reale.
Al fine di favorire una migliore comprensione di tali profili, pare opportuno ripercorrere brevemente la vicenda processuale da cui trae origine la decisione del Tribunale di Verona.
- La vicenda processuale.
La pronuncia si inserisce nella fase cautelare di un procedimento penale che vede due soggetti, nella qualità rispettivamente di amministratore unico e amministratore di fatto di una società per azioni, imputati del delitto di dichiarazione fraudolenta ex art. 2, d.lgs. 74/2000. In merito ai fatti contestati, risalenti agli anni 2012 e 2013, era stato disposto il rinvio a giudizio nel dicembre 2016.
Nel gennaio 2018, la società in questione è stata dichiarata fallita, con conseguente attribuzione alla curatela del possesso materiale e giuridico del patrimonio sociale ed estromissione degli imputati da ogni ruolo di carattere amministrativo e gestionale: in particolare, i coimputati sono rispettivamente cessati dalla carica di amministratore unico dal 2014 e da quella di liquidatore dal 2018, e inoltre non sono stati ammessi allo stato passivo del fallimento.
Successivamente, nel gennaio 2023, accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero, il Tribunale di Verona in composizione monocratica ha disposto il sequestro preventivo funzionale alla confisca tributaria – sulla base del combinato disposto degli artt. 12-bis, D.lgs. 74/2000 e 321, co. 2, c.p.p. – di una cospicua somma di denaro (circa 100.000 euro) nella disponibilità della massa fallimentare, sul presupposto che tale importo configurasse il profitto del reato tributario contestato agli imputati, in quanto corrispondente all’entità del tributo evaso al Fisco tramite le contestate condotte di indebita compensazione; tecnicamente, dunque, si sarebbe trattato di un “risparmio di spesa”, di un vantaggio, sia pure “in negativo”, che – lo si ricorda – per consolidato orientamento giurisprudenziale rientra nel profitto confiscabile in forma diretta nei confronti della stessa persona giuridica che abbia beneficiato della commissione del reato (e che, per tale ragione, non possa dirsi estranea allo stesso)[5].
Quanto agli specifici presupposti della misura cautelare, inoltre, il giudice monocratico ha ravvisato la sussistenza sia del fumus boni iuris del reato contestato agli imputati, sia del periculum in mora, identificato nel concreto e attuale pericolo di utilizzo del denaro da parte degli stessi per aggravare o protrarre le conseguenze del reato o per agevolare la commissione di ulteriori illeciti.
Contro il provvedimento cautelare, ha proposto domanda di riesame la curatrice del Fallimento nella cui titolarità si trovavano i beni colpiti dal sequestro. Secondo la ricorrente, in particolare, la perdita della disponibilità del patrimonio societario da parte degli imputati, in conseguenza del fallimento, avrebbe reso il sequestro illegittimo sotto due profili: (i) da un lato, perché la misura esplicherebbe i propri effetti pregiudizievoli nei confronti di un soggetto – la curatela fallimentare – che deve ritenersi “terzo estraneo al reato”, in violazione dell’art. 12-bis d.lgs. 74/2000 che esclude quest’ultimo dai destinatari della confisca; (ii) dall’altro lato, perché verrebbe meno il periculum in mora del sequestro, in mancanza di specifica motivazione da parte del Giudice sulle ragioni che giustificano la prevalenza della misura ablativa sulla tutela dei creditori concorsuali cui è preposta la procedura fallimentare.
Come anticipato, nel procedimento di riesame il Tribunale di Verona ha accolto gli argomenti eccepiti dalla difesa della curatela e conseguentemente disposto il dissequestro dei beni. Nel motivare l’esito a favore della procedura, la pronuncia dà conto dell’attuale contrasto giurisprudenziale sulla questione dell’ammissibilità del sequestro in seguito alla dichiarazione di fallimento. Tale dibattito, peraltro, si colloca all’esito di un’accidentata evoluzione giurisprudenziale, che pare ora opportuno ripercorrere sinteticamente.
- L’incerto “stato dell’arte” alla luce della precedente evoluzione giurisprudenziale: i) le Sezioni Unite Focarelli e il criterio “funzionalistico”
Non è agevole rintracciare dei punti fermi all’interno di un quadro giurisprudenziale nebuloso e, lo si è detto, connotato da continue oscillazioni. Le singole decisioni, anche delle Sezioni Unite, paiono infatti condizionate dalle specificità dei casi decisi, oltre che dalla complessità dei profili giuridici coinvolti e dalla frequente intersezione tra le questioni sostanziali della prevalenza tra misure ablative e procedure concorsuali con quelle più propriamente processuali sulla legittimazione a impugnare in capo al curatore[6].
Il problema dell’ammissibilità del sequestro preventivo su beni di pertinenza di una società dichiarata fallita è stato per la prima volta affrontato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Focarelli del 2004[7]. In quell’occasione, la Corte innanzitutto ha escluso che lo spossessamento patrimoniale generato dalla dichiarazione di fallimento, ex art. 42 l. fall., di per sé impedisca l’adozione di misure ablatorie, sia cautelari sia definitive: con l’avvio della procedura fallimentare, infatti, i beni non cesserebbero di “appartenere” al fallito, giacché questi ne conserva la titolarità formale (tanto che eventuali suoi atti di disposizione, pur inopponibili al fallimento e inefficaci per i creditori, sarebbero validi rispetto al contraente e ai terzi estranei al fallimento), nonché il diritto di ricevere il sopravanzo a liquidazione esaurita.
Quanto detto non comporterebbe, per contro, un’assoluta preminenza del vincolo ablativo sulla procedura fallimentare, considerato che anche la seconda è preposta a interessi di rilievo pubblicistico che meritano parimenti di essere tutelati. Alla luce di tale premessa, l’aspetto più interessante del ragionamento delle Sezioni Unite risiede nell’adozione di un approccio “funzionalistico”[8] al problema dei rapporti tra sequestri e fallimento, diretto a verificare se la procedura concorsuale consenta di soddisfare in modo adeguato gli interessi sottesi alla misura cautelare e, quindi, possa renderne inutile l’adozione.
L’applicazione di tale criterio conduce a soluzioni differenziate a seconda della tipologia di sequestro cautelare in considerazione. Per alcuni il confronto viene risolto, per così dire, a monte: così, nel caso del sequestro probatorio (art. 235 c.p.p.), la strumentalità alle superiori esigenze processuali di ricerca della verità giustifica in ogni caso la prevalenza della misura cautelare sul fallimento (al quale i beni possono essere restituiti solo quando siano cessate le esigenze probatorie); è il secondo, all’opposto, a dover prevalere sul sequestro conservativo (art. 316 c.p.p.), poiché la medesima finalità cui questo è preposto, cioè quella di salvaguardia delle garanzie patrimoniali del debitore ex delicto, viene già interamente assolta dall’acquisizione fallimentare dei beni, che anzi consente una miglior tutela di tutti i creditori, senza compromettere eventuali rivendicanti[9].
In altri casi, invece, il bilanciamento tra opposti interessi viene delegato al giudice nel caso concreto: questo vale, in particolare, per il sequestro preventivo c.d. impeditivo (art. 321, co. 1, c.p.p.), rispetto al quale il giudice è tenuto a verificare se il pericolo di protrazione o aggravamento delle conseguenze criminose che la misura è volta a contrastare – in quanto collegato alla libera disponibilità in capo al reo della cosa pertinente al reato – possa in concreto venir meno per effetto dello “spossessamento” fallimentare, o se invece residuino rischi che il fallito riacquisti la disponibilità del bene.
Il discorso, sin qui lineare, pare però aggrovigliarsi quando le Sezioni Unite arrivano a considerare l’ipotesi di sequestro qui rilevante, vale a dire quello preventivo ai fini di confisca (art. 321, co. 2, c.p.p.)[10]: questo, si ricorda, trova applicazione non solo rispetto alla confisca “ordinaria” di cui all’art. 240 c.p. (cui si riferiva la giurisprudenza Focarelli) ma anche alle numerose fattispecie “speciali” di confisca obbligatoria e per equivalente via via aggiunte nel corpus del Codice penale o nella legislazione complementare, e tra le quali – per quanto qui interessa – rientra quella per i reati tributari di cui all’art. 12-bis, d.lgs. 74/2000. Nel regolarne i rapporti con il fallimento, sulla base del criterio funzionalistico descritto, le Sezioni Unite del 2004 introducevano una distinzione fondata sulla natura obbligatoria o facoltativa della confisca “anticipata” dal sequestro: da un lato, nelle ipotesi di confisca obbligatoria di cui all’art. 240, co. 2, c.p. (confisca del prezzo del reato e delle cose “obiettivamente” criminose), le finalità di tutela dei creditori concorsuali sarebbero sempre destinate a cedere di fronte alle preminenti ragioni di tutela preventiva cui è orientato il sequestro, vale a dire allo scopo di inibire l’utilizzazione di una res che la legge considera pericolosa “in base ad una presunzione assoluta” e di cui mira a impedire qualsiasi ulteriore circolazione, sia pure in mani diverse da quelle del reo[11]. Nei casi di confisca “discrezionale” di cui all’art. 240, co. 1, c.p. (confisca degli strumenti, del profitto e del prodotto del reato), invece, non trattandosi di impedire una pericolosità “immanente” al bene, ma inerente al rapporto di quest’ultimo con l’autore del reato, l’intervento della procedura fallimentare potrebbe essere idonea a neutralizzare tali condizioni di pericolo, impedendo all’imputato di tornare in possesso delle cose pertinenti al reato e, al contempo, “assicurando la garanzia dei creditori sul patrimonio dell’imprenditore fallito”: la legittimità del sequestro, in tali casi, veniva subordinata alla condizione che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, “dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare”, tenendo conto in particolare delle possibilità di ritorno del fallito nella disponibilità dei beni sequestrati (non solo alla chiusura del fallimento, ma anche a causa di un eventuale concordato, ovvero in via surrettizia tramite la fittizia costituzione di diritti di credito o diritti reali nei propri confronti)[12].
In tal modo, quindi, le Sezioni Unite aprivano uno spazio per la possibile “cedevolezza” del sequestro rispetto alla tutela dei diritti dei terzi creditori dell’imprenditore fallito[13], attraverso un condivisibile bilanciamento delle opposte ragioni in campo affidato alla discrezionalità del giudice e orientato dalla “funzione” in concreto svolta dalla specifica misura. Tuttavia, la tenuta logica di questo ragionamento risultava fragile di fronte al principio dell’assoluta insensibilità al fallimento del sequestro disposto ai fini di confisca obbligatoria, che “blindava” la discrezionalità del giudice escludendo in tali casi qualunque tutela per le ragioni creditorie: invero, la presunzione di intrinseca pericolosità della res, da cui dovrebbe desumersi la prevalenza della misura ablativa, non si attaglia a tutte le forme di confisca obbligatoria, e anzi può a buon titolo riferirsi solo all’ablazione delle cose obiettivamente pericolose (ex art. 240, co. 2, n. 2, c.p.). Proprio a partire da questo rilievo critico si è aperto, nella giurisprudenza successiva, un nuovo contrasto interpretativo, più specificamente riferito alla possibilità di attribuire preminenza alle ragioni tutelate dal fallimento in caso di concorrenza con le ipotesi (numericamente più rilevanti) di confisca obbligatoria, diverse da quelle aventi a oggetto beni intrinsecamente pericolosi[14].
- (segue) ii) le Sezioni Unite Uniland e il principio della coesistenza dei vincoli
Sul nuovo contrasto interpretativo, le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi a circa dieci anni di distanza dal caso Focarelli. La sentenza Uniland del 2015[15] ha segnato un radicale mutamento di paradigma rispetto al proprio precedente arresto, attraverso l’abbandono del criterio di distinzione tra confische facoltative e obbligatorie. Va subito precisato, peraltro, che in questa occasione il tema della concorrenza tra procedura concorsuale e vincolo cautelare è stato analizzato dalla Corte rispetto al sequestro e alla confisca del profitto previsti nel sistema della responsabilità da reato degli enti, ex artt. 19 e 53 del d.lgs. 231/2001: pertanto, sebbene i princìpi affermati dalla pronuncia siano in parte suscettibili di estendersi anche al di fuori del “sistema 231”[16], l’impianto argomentativo risulta senza dubbio condizionato dalle specificità di tale ambito normativo.
La premessa fondamentale da cui muove la Corte, infatti, è la natura della confisca ex art. 19 d.lgs. 231/2001 quale sanzione principale, obbligatoria e autonoma per l’ente condannato[17], cui si correla la finalità del sequestro preventivo a essa funzionale, consistente nel preservare i beni illecitamente acquisiti dall’ente da eventuali sparizioni od occultamenti, in modo da consentirne la confiscabilità in caso di condanna. Da ciò dovrebbe desumersi, allora, che lo Stato non può in nessun caso rinunciare all’apposizione del vincolo cautelare, anche in caso di concorso con una procedura concorsuale[18].
La regola dell’obbligatorietà, d’altra parte, incontra un limite nell’esigenza di salvaguardare “i diritti acquisiti dai terzi in buona fede”, secondo quanto disposto dallo stesso art. 19: e sebbene tale clausola per la giurisprudenza debba intendersi riferita solo al diritto di proprietà e agli altri diritti reali esistenti sui beni confiscabili[19], con esclusione dei diritti di credito, le Sezioni Unite ammettono tuttavia che i creditori insinuati nel procedimento fallimentare, una volta ricevuta l’assegnazione dei beni all’esito del riparto dell’attivo, acquisiscano su di essi la titolarità di un diritto azionabile davanti al giudice penale (a seconda dei casi, in sede di cognizione o di giudizio di esecuzione, a confisca già avvenuta).
La soddisfazione dei creditori concorsuali, in questa prospettiva, viene legata al riconoscimento della possibile coesistenza tra vincolo reale e vincolo fallimentare, sul presupposto che l’uno e l’altro siano orientati a finalità “del tutto differenti e tra loro non confliggenti”[20]. All’interno di questa costruzione, i creditori concorsuali sarebbero legittimati a far valere le loro pretese davanti al giudice penale, a cui esclusivamente spetterebbe l’accertamento del presupposto di buona fede richiesto dall’art. 19: la condizione per ottenere tale tutela, però, sarebbe il previo accertamento del diritto da parte del giudice fallimentare.
Per converso, in caso di confisca disposta in pendenza di una procedura fallimentare, lo Stato sarebbe a sua volta tenuto a insinuarsi nel fallimento per far valere il proprio diritto, da soddisfarsi “dopo che siano stati salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede”[21].
Tale soluzione, sia pure connotata da una sua logicità, ha inevitabilmente prestato il fianco a obiezioni critiche, soprattutto alla luce delle difficoltà pratiche derivanti dal reciproco condizionamento tra gli esiti della procedura fallimentare e del processo a carico dell’ente. Come osservato in dottrina, infatti, l’insistenza del sequestro sui beni attratti nella massa fallimentare può ostacolare l’avanzamento della procedura di liquidazione e, in ogni caso, impedire la distribuzione dell’attivo ai creditori concorsuali, che si trovano così costretti ad attendere la pronuncia definitiva del giudice penale per poter soddisfare le proprie pretese; per converso, nel caso di condanna precedente alla liquidazione fallimentare, la stessa esecuzione della confisca sarebbe subordinata all’insinuazione dello Stato nel passivo (peraltro, in posizione di creditore privilegiato ex art. 27, d.lgs. 231/2001)[22].
Per questi motivi, anche il quadro delineato dalle Sezioni Unite del 2015 non è parso soddisfacente ed è stato rapidamente messo in discussione da successivi orientamenti giurisprudenziali.
- (segue) iii) la questione della legittimazione a impugnare del curatore fallimentare e l’approdo delle Sezioni Unite Mantova Petroli.
L’insofferenza verso la soluzione tracciata dalle Sezioni Unite del 2015 si è dapprima manifestata rispetto a un collaterale profilo processuale di quella decisione, per quanto strettamente intrecciato al tema dei rapporti sostanziali tra sequestro e fallimento: quello, cioè, della legittimazione del curatore fallimentare a impugnare il provvedimento di sequestro preventivo (proponendo istanza di riesame o di revoca della misura ex art. 322 c.p.p., o ricorso per Cassazione ex art. 325 c.p.p.). Invero, mentre nella pronuncia del 2004 tale legittimazione era stata riconosciuta – evidenziando come il curatore agisca “per la rimozione di un atto pregiudizievole ai fini della reintegrazione del patrimonio”, in adempimento alla “sua funzione istituzionale rivolta alla ricostruzione dell’attivo fallimentare”[23] –, il diverso impianto concettuale edificato dalle Sezioni Unite nel caso Uniland ha trascinato con sé, in modo quasi inevitabile, conclusioni opposte: si è affermato, per un verso, che il curatore, oltre a non poter vantare alcun diritto sulla massa fallimentare, non potrebbe nemmeno agire in rappresentanza dei creditori, che a loro volta non sono titolari di diritti restitutori prima della chiusura della procedura; si è negato, per altro verso, che il curatore abbia “un interesse concreto giuridicamente tutelabile ad opporsi ai provvedimenti di sequestro e confisca”, non arrecando questi alcun pregiudizio all’integrità della massa fallimentare[24].
Si è già visto, però, come specialmente quest’ultimo assunto sia smentito dalla considerazione pratica per cui l’insistenza del vincolo del sequestro preclude la liquidazione dei beni appartenenti alla massa fallimentare, oltre che il pagamento dei creditori in seguito al riparto dell’attivo, che costituisce uno dei compiti del curatore del fallimento[25]. Nella giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite del 2015, pertanto, si è formato un orientamento favorevole a riconoscere in capo alla curatela la legittimazione a impugnare il sequestro preventivo, quantomeno in relazione ai casi in cui la misura cautelare fosse successiva alla dichiarazione di fallimento: a sostegno della valorizzazione del criterio temporale, si portava il dato normativo di cui agli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., che include tra i soggetti legittimati a impugnare la “persona cui le cose sono state sequestrate”, ravvisando tale qualità in capo al curatore che, dopo aver iniziato la gestione fallimentare, ha acquisito l’effettiva disponibilità dei beni[26].
Sollecitate nuovamente a intervenire sul punto, nel caso Mantova Petroli del 2019 le Sezioni Unite hanno infine rovesciato l’orientamento della sentenza Uniland, riconoscendo la sussistenza in capo al curatore, pur a prescindere da ogni dato temporale, della legittimazione “a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale”[27].
Secondo le Sezioni Unite, infatti, quale che sia il momento di adozione del sequestro, il curatore fallimentare rientra tra i soggetti titolari di un “diritto alla restituzione” dei beni sequestrati, cui pure i citati artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p. riconoscono espressamente la legittimazione a impugnare i provvedimenti cautelari reali. La titolarità di tale diritto restitutorio, infatti, non richiede che sulla res la persona vanti un diritto reale, ma presuppone una “disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata del bene”, quale è sicuramente quella conferita al curatore, ai sensi degli artt. 42 e ss. l. fall.: questi, in particolare, disporrebbe di una detenzione qualificata sulla massa fallimentare, in ragione della rilevanza pubblicistica dei suoi compiti di gestione, oltre a perseguire istituzionalmente la “funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata”.
Ciò detto, tuttavia, occorre evidenziare come il revirement operato dalle Sezioni Unite, rispetto al proprio precedente del 2015, si limiti al profilo processuale della legitimatio ad impugnandum del curatore fallimentare, senza toccare espressamente il sottostante problema sostanziale dei rapporti tra fallimento e sequestro: la ricostruzione della Corte, certamente, lascia intendere che vi sia uno spazio per l’accoglimento dell’impugnazione del curatore, non limitata ai casi di mancanza dei presupposti applicativi della misura reale, senza però nemmeno sottintendere la prospettiva di un’automatica prevalenza del vincolo fallimentare su quello cautelare[28]. Nel concreto caso esaminato, infatti, la Corte concludeva per la conferma del sequestro preventivo – che significativamente era proprio finalizzato alla confisca tributaria di cui all’art. 12-bis d.lgs. 74/2000 – non ritenendo dimostrata la prevalenza delle ragioni del fallimento rispetto agli interessi pubblicistici all’ablazione patrimoniale: come è stato osservato, in questa posizione può leggersi una riviviscenza del criterio del “bilanciamento di interessi” elaborato dalle Sezioni Unite Focarelli (sia pure da queste ultime limitato alla sola confisca facoltativa, e invece ora esteso anche a un’ipotesi di confisca obbligatoria)[29].
- Verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite: il nodo dell’appartenenza a persona estranea al reato.
Dopo aver ripercorso i “disorientamenti” della giurisprudenza passata, si comprende bene come la questione del conflitto tra fallimento e sequestro continui ad assillare la giurisprudenza presente. Per il momento tenendo da parte il tentativo di risoluzione operato dal legislatore nel nuovo Codice della crisi d’impresa – non rilevante ratione temporis per le procedure concorsuali instaurate anteriormente alla sua entrata in vigore –, si tratta quindi di individuare i termini del dibattito in corso, di cui anche l’ordinanza in commento dà sinteticamente conto.
Sul punto, seppur all’interno di una varietà di argomentazioni proposte, è possibile riscontrare due principali filoni interpretativi: l’uno contrario, l’altro favorevole ad ammettere la legittimità del sequestro (e della successiva confisca) su beni in precedenza attratti nell’alveo di una procedura fallimentare[30]. Va peraltro precisato che, pur assumendo di per sé portata più generale, la questione si è specificamente declinata con riguardo alla specifica ipotesi del sequestro funzionale alla confisca tributaria.
La tesi della prevalenza della misura reale sulla concorrente tutela dei creditori concorsuali viene per lo più sostenuta alla luce del carattere obbligatorio della confisca cui il sequestro è strumentale: talora, si richiama in questa direzione il “vecchio” insegnamento della pronuncia Focarelli, fondato sull’idea (per quanto inesatta, si è visto) dell’intrinseca pericolosità delle cose confiscate in via obbligatoria, da cui deriverebbe l’assoluta insensibilità al fallimento del provvedimento ablativo, per realizzare la superiore esigenza di inibizione dell’utilizzo della res[31]; in altre occasioni, quale ulteriore argomento a sostegno dell’imprescindibilità del sequestro, si pone l’accento sulla finalità sanzionatoria della confisca tributaria (in tal modo riecheggiando, invece, le motivazioni della sentenza Uniland)[32].
Secondo il contrario orientamento, l’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’art. 12-bis d.lgs. 74/2000 sarebbe radicalmente preclusa rispetto ai beni già assoggettati a vincolo fallimentare, “posto che la dichiarazione di fallimento comporta il venir meno in capo al fallito del potere di disporre del proprio patrimonio e l’attribuzione al curatore, terzo estraneo al reato, del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento”[33]. Ne deriva che il sequestro preventivo sarebbe illegittimo e la confisca non potrebbe disporsi: con la precisazione che, nel caso in cui il fallimento coinvolga la società in cui ha operato l’imputato (come accade nel caso di specie), a essere esclusa sarebbe la confisca diretta, rimanendo aperta la possibilità di disporre la confisca per equivalente nei confronti dell’imputato persona fisica[34].
A questo secondo indirizzo si conforma specificamente l’ordinanza del Tribunale di Verona: secondo il giudice del riesame, infatti, con la sentenza di fallimento il fallito è privato della disponibilità dei propri beni, il cui possesso materiale e giuridico è attribuito al curatore. Ciò porta ad affermare che, nel caso di specie, “le somme sequestrate sono estranee alla disponibilità degli imputati e, quindi, non possono essere legittimamente attinte dal provvedimento ablatorio”.
Da tali argomentazioni sembra trarsi che l’illegittimità del provvedimento ablativo sia correlata, sul piano giuridico, alla circostanza che i beni attratti al fallimento “appartengano” a una “persona estranea al reato”, id est il curatore, e quindi alla ricorrenza della clausola di esclusione della confisca prevista, a tutela dei terzi “innocenti”, dall’art. 12 –bis, d.lgs. 74/2000 (ma pure dall’art. 240, co. 3, c.p. e da altre disposizioni speciali)[35]. Sebbene non sempre enucleato in termini chiari, tale profilo riveste importanza cruciale per la risoluzione del contrasto interpretativo in esame e, non a caso, costituisce specifico oggetto della questione recentemente rimessa alle Sezioni Unite.
L’ordinanza che ha sollevato la questione[36], infatti, richiama la tesi giurisprudenziale secondo cui, ai fini della nozione di “appartenenza”, non rileva tanto la proprietà o la formale titolarità del bene, ma il “sostanziale dominio” su di esso, la sua disponibilità giuridica: con la sentenza di fallimento, allora, verrebbe meno lo stesso presupposto di confiscabilità dei beni della massa fallimentare, in quanto questi “cessano di appartenere in senso dinamico al soggetto fallito, che di essi non può più disporre né godere in termini giuridicamente rilevanti, essendo essi ormai funzionalizzati alla soddisfazione dei creditori del fallito e idonei a rientrare nella sua disponibilità solo dopo che costoro fossero, in una eventualità invero piuttosto remota, stati tutti soddisfatti”[37].
In questa prospettiva, come evidenziato anche dalla pronuncia in commento, perde di ogni capacità persuasiva la valorizzazione del carattere sanzionatorio della confisca per giustificarne la prevalenza sull’attrazione alla massa fallimentare: la sanzione, infatti, andrebbe a colpire soggetti diversi rispetto all’autore del reato, cioè i suoi creditori.
- Le questioni ancora aperte.
In attesa di vedere se il probabile nuovo intervento delle Sezioni Unite sarà davvero risolutivo nel definire i rapporti tra confisca e fallimento, è possibile avanzare alcune riflessioni finali, anche alla luce delle ulteriori argomentazioni proposte dall’ordinanza commentata.
Come già ricordato, in passato la giurisprudenza si era opposta alla tesi per cui lo “spossessamento” prodotto dalla sentenza di fallimento si traduca di per sé nel venir meno della “appartenenza” dei beni in capo al fallito, il quale non solo conserverebbe la titolarità formale e la capacità di realizzare atti validi nei confronti dei terzi estranei al fallimento, ma avrebbe anche diritto di rientrare nella disponibilità dell’eventuale residuo all’esito del riparto (v. supra, § 3). Se quest’ultima costituisce un’eventualità tutto sommato remota – ed è peraltro condivisibile che al concetto di “appartenenza” venga assegnata in tale contesto un’accezione dinamica, sostanzialmente coincidente con l’idea di disponibilità materiale e giuridica –, il punto più delicato attiene all’individuazione della persona “estranea al reato” cui l’appartenenza stessa sia riconducibile, quale presupposto per integrare la clausola di salvaguardia prevista dall’art. 12-bis d.lgs. 74/2000 (e disposizioni similari per confische diverse da quella tributaria): sicuramente “terzo estraneo” è il curatore[38], ma in prospettiva diacronica i beni fallimentari sembrano piuttosto appartenere ai creditori, cui gli stessi sono in ultima analisi destinati a essere attribuiti, e rispetto ai quali si porrebbe il problema di accertamento della buona fede. Ulteriore complicazione emerge nei casi – tra cui rientra quello in esame – in cui il destinatario della confisca diretta del profitto sia già ab initio individuato in un soggetto diverso rispetto all’imputato, sul presupposto della non estraneità al reato del medesimo: è quel che accade proprio rispetto alla confisca tributaria applicata nei confronti della società che abbia tratto vantaggio dalla commissione del reato dell’amministratore persona fisica.
Ciò detto, tuttavia, la condivisibile valorizzazione delle esigenze di tutela del ceto creditorio può essere raggiunta anche prescindendo dal dato formale dell’appartenenza a terzi estranei delle cose di pertinenza della massa fallimentare, come bene emerge dalla lettura dell’ordinanza del Tribunale di Verona. La pronuncia, infatti, richiamando implicitamente l’approccio suggerito dalle Sezioni Unite del 2019, subordina in ogni caso la legittimità del sequestro alla necessità che il giudice dimostri in concreto la “prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare”.
Ebbene, all’interno di questo bilanciamento di interessi, non può non assumere rilievo decisivo la circostanza della perdita di disponibilità dei beni in capo agli imputati, resa per giunta definitiva dalla loro estromissione dai ruoli societari e dalla loro esclusione dallo stato passivo. Questa circostanza renderebbe superflua la ragione “preventiva” tradizionalmente riconosciuta alla confisca del profitto (per effetto dell’inclusione dell’art. 240 c.p. tra le misure di sicurezza patrimoniali), escludendo il concreto pericolo che il permanere della res nella disponibilità del reo possa costituire incentivo per l’ulteriore commissione di delitti.
D’altra parte, anche se si abbandona l’anacronistico inquadramento preventivo della confisca diretta del profitto del reato, sembrano comunque sussistere ragioni sufficienti per accordare preminenza alla procedura concorsuale[39]. Nella prospettiva che accorda all’ablazione natura punitivo-sanzionatoria, come si è già detto, non sarebbe accettabile il prodursi di conseguenze sfavorevoli su soggetti diversi dall’autore del fatto. Secondo la più condivisibile tesi che assegna alla confisca in esame un’essenza “ripristinatoria”, limitandosi a elidere il vantaggio ingiustamente conseguito tramite il reato[40], occorre evidenziare che, quando il profitto si identifichi nel “risparmio di spesa” conseguente all’evasione tributaria, la finalità ablativa risulta già adeguatamente soddisfatta dalla procedura concorsuale: come osservato dalla Cassazione, infatti, la posizione dell’Erario “non è ontologicamente dissimile da quella dei soggetti che si siano insinuati nel fallimento”, cioè di titolarità di un credito insoddisfatto nei confronti della società fallita[41]. D’altra parte, l’applicazione della misura ablativa determinerebbe una violazione della par condicio creditorum, in quanto il creditore erariale riceverebbe soddisfazione privilegiata rispetto agli altri creditori concorsuali.
Vi è ancora un profilo di interesse che emerge dall’ordinanza commentata. Accogliendo un motivo di ricorso presentato dalla difesa della curatela, il Tribunale di Verona evidenzia come il venir meno della disponibilità dei beni oggetto di sequestro in capo agli imputati si traduca anche nella carenza del periculum in mora richiesto per l’emanazione della misura cautelare. L’argomento è significativo soprattutto alla luce della recente presa di posizione delle Sezioni Unite, che hanno affermato come, anche per il sequestro funzionale a confisca obbligatoria, la valutazione dell’esigenza cautelare non possa appiattirsi sulla mera “confiscabilità” del bene, ma debba dar conto delle ragioni che richiedono di anticipare gli effetti della confisca prima della sentenza di condanna, indicando gli elementi da cui possa desumersi che “la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire successivamente impraticabile”[42].
Un’ultima considerazione si impone a fronte del nuovo quadro normativo delineato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza introdotto con d.lgs. n. 14/2019, la cui entrata in vigore è stata però differita sino al 15 luglio 2022, nel testo modificato a opera del d.lgs. 83/2022. Ne consegue che le disposizioni specificamente dettate per regolare la materia in esame non sono direttamente rilevanti rispetto alle procedure concorsuali antecedenti a tale data, tra cui rientra quella oggetto del caso di specie: il che spiega il persistere del contrasto interpretativo, quantomeno con riferimento al passato.
Ora, l’art. 317 del nuovo Codice introduce il criterio della prevalenza del sequestro preventivo ex art. 321 co. 2 c.p.p. rispetto alle procedure concorsuali, operando un rinvio alla disciplina già prevista dal c.d. Codice antimafia (d.lgs. 159/2011) in tema di sequestro e confisca di prevenzione[43]. Sono due, in particolari, le norme rilevanti: l’art. 63 d.lgs. 159/2011 stabilisce che, nel caso in cui la procedura di liquidazione giudiziale (che ha sostituito la dichiarazione di fallimento) sia aperta dopo il sequestro o la confisca, i beni assoggettati a misura ablativa “sono esclusi dalla massa attiva fallimentare”; per il caso in cui l’apertura della liquidazione giudiziale preceda il provvedimento cautelare, l’art. 64 dispone che i beni siano separati dalla massa attiva del fallimento e consegnati all’amministratore giudiziario. La scelta di campo a favore della preminenza degli strumenti ablativi, d’altra parte, viene bilanciata dall’ampliamento degli spazi di tutela garantiti ai terzi creditori di buona fede (art. 52, d.lgs. 159/2011).
Nonostante sia apprezzabile il tentativo di superare l’incertezza che da sempre avvolge i rapporti di interferenza tra vincoli cautelari e concorsuali, occorre però rilevare come la soluzione prospettata dal nuovo assetto normativo potrebbe risultare non sempre adeguata a soddisfare le esigenze dei creditori concorsuali, subordinandone le pretese ai tempi e alle modalità di accertamento del giudice penale: ciò è tanto più vero nel caso di sequestro ai fini di confisca tributaria, in cui le stesse ragioni della confisca potrebbero già essere realizzate all’interno della procedura concorsuale. D’altra parte, occorre considerare che l’applicabilità delle nuove disposizioni lascia impregiudicata la questione della sussistenza dei requisiti della misura ablativa, sia sostanziali, sia processuali: così, l’adozione del sequestro potrebbe in ogni caso cedere, oltre che riconoscendo l’appartenenza dei beni a persona estranea al reato[44], anche valorizzando l’indisponibilità del bene in capo al fallito quale elemento che esclude il periculum in mora della misura.
Anna Costantini
Assegnista di ricerca in Diritto penale presso l’Università di Torino
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[1] Cass., Sez. III, ord. 29 novembre 2022 (dep. 22 febbraio 2023), n. 7633, ric. Fallimento Lavanderia Giglio S.n.c., in Sist. pen., 6 aprile 2023, con nota di D. Colombo, La dichiarazione di fallimento quale causa ostativa al sequestro preventivo ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000: rimessa la questione alle Sezioni Unite.
[2] D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Sui profili della riforma relativi ai rapporti tra sequestri e procedura di insolvenza, cfr. G. Mastrangelo, Le soluzioni del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza al problema della sovrapposizione dei sequestri penali con le procedure liquidatorie, in Sist. pen., 2020, 103 ss.; E. Mezzetti, Codice antimafia e codice della crisi e dell’insolvenza: la regolazione del traffico di precedenze in cui la spunta sempre la confisca, in Arch. pen., 2019, 1 e ss.; M. Bontempelli-R. Paese, La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, in Dir. pen. cont., 2019, 123 ss.; L. Milani, I rapporti tra sequestri e procedure concorsuali, in Dir. pen. proc., 2019, 1343 ss.; A. Rugani, I rapporti tra misure cautelari reali e procedure concorsuali nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d. lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), in Leg. pen., 2019, 1 ss.
[3] Sul tema, cfr. M. Bontempelli, I sequestri penali e la tutela dei terzi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 1323 ss., nonché, in precedenza, T. E. Epidendio, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, Padova, 2011, 193 ss. e D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bologna, 2007, 397 ss.
[4] All’interno di una letteratura vastissima, cfr. A. Alessandri, voce Confisca nel diritto penale, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989, 39 ss.; L. Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale “moderno”, Padova, 1997; A. M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001; E. Nicosia, La confisca, le confische. Funzioni politico criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Torino 2012; V. Manes, L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1259 ss.; T. Trinchera, Confiscare senza punire? Uno studio sullo statuto di garanzia della confisca della ricchezza illecita, Torino 2020.
[5] Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2014, n. 10561, Gubert: secondo le Sezioni Unite, nei confronti della persona giuridica sarebbe applicabile solo la confisca diretta del profitto (quale dovrebbe considerarsi la confisca del denaro) e non anche quella per equivalente, la cui natura giuridica sanzionatoria ne consentirebbe l’applicabilità – in via sussidiaria – nei confronti della persona fisica che abbia commesso il reato. Su tale pronuncia, con accenti critici, cfr. F. Mucciarelli-C.E. Paliero, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Dir. pen. cont.-Riv. trim. 2015, p. 246 ss.; in tema anche R. Bartoli, Brevi considerazioni in tema di confisca del profitto, in Dir. pen. cont., 20 ottobre 2016.
[6] D. Amato, Sequestro preventivo, fallimento e poteri del curatore, in Giur. comm., 2020, p. 1271.
[7] Cass., Sez. Un., 9 luglio 2004, n. 29951
[8] F.M. Iacoviello, Fallimento e sequestri penali, in Fall., 2005, p. 1273 ss.
[9] Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 299951, punti 8.1. e 8.2. Il sequestro conservativo, inoltre, in quanto misura “strumentale e prodromica ad una esecuzione individuale nei confronti del debitore ex delicto, deve farsi rientrare, in caso di fallimento dell’obbligato, nell’area di operatività del divieto di cui all’art. 51 l. fall.”, che proibisce azioni di esecuzione individuale in pendenza della procedura fallimentare.
[10] Sull’istituto cfr. per tutti R. Belfiore, Il sequestro preventivo. Tra esigenze impeditive e strumentalità alla confisca, Torino, 2019.
[11] Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 4.2.a.
[12] Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 4.2.b.
[13] M. Bontempelli, I sequestri penali e la tutela dei terzi, cit., 1333.
[14] Si contrapponeva, in particolare, la tesi secondo cui, nell’affermare la prevalenza del vincolo cautelare, le Sezioni Unite avessero inteso considerare esclusivamente la natura facoltativa o obbligatoria della confisca, ovvero avessero guardato alle sole ipotesi di intrinseca pericolosità della res. Per opportuni riferimenti giurisprudenziali si rinvia a P. Silvestri, Confisca, diritti dei terzi e fallimento, in Cass. pen., 2016, p. 423 ss.
[15] Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170. Tra i molti contributi a commento della pronuncia, cfr. M. Riverditi, Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex d.lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito, in Dir. pen. cont., 3 aprile 2015; M. Bontempelli, Sequestro preventivo a carico della società fallita, tutela dei creditori di buona fede e prerogative del curatore, in Arch. pen., 3/2015, p. 1 ss.; D. Bianchi, Automatismi nel meccanismo sequestro-confisca ex D.lgs. n. 231 e ricadute problematiche sulla procedura fallimentare, in Giur. it., 2015, p. 1995 ss.; C. Santoriello, Procedura fallimentare e responsabilità degli enti: un rapporto ancora problematico, in Resp. amm. soc. enti, 3/2015, p. 185 ss.
[16] Lo osserva D. Amato, Sequestro preventivo, cit., p. 1274.
[17] Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170, punto 4.1. In precedenza, cfr. già Cass., Sez. Un., 2 luglio 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti s.p.a. Sull’esatta portata della connotazione “sanzionatoria” della confisca in esame – non necessariamente da intendersi come “punitiva” – si vedano le condivisibili osservazioni di M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2015, p. 1683 ss. e V. Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca d’identità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 1773 ss.
[18] Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170, punto 6.1.
[19] Si tratta di interpretazione analoga a quella fornita rispetto al concetto di “appartenenza” a persona estranea al reato, che esclude l’applicabilità della confisca della persona fisica (cfr. ad es. art. 240, co. 3 c.p., su cui v. infra): per l’estensione ai diritti reali di godimento e garanzia diversi dalla proprietà, cfr. Cass., Sez. Un., 8 giugno 1999, n. 9, Bacherotti.
[20] Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170, punto 6. Valuta con favore il principio di coesistenza dei vincoli, sia pure con accenti critici rispetto alla complessiva soluzione adottata dalla sentenza, M. Riverditi, Le Sezioni Unite, cit.
[21] Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170, punto 6.4.
[22] D. Bianchi, Automatismi nel meccanismo sequestro-confisca, cit., p. 1999 ss.
[23] Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, punto 5.
[24] Cass., Sez. Un., 17 marzo 2015, n. 11170, punto 9.
[25] Ampiamente cfr. M. Bontempelli, Sequestro preventivo a carico della società fallita, cit., p. 14. Sul punto, si veda anche F. Bellagamba, La legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare provvedimenti dispositivi di misure cautelari reali in attesa dell’entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, in Cass. pen., 2020, p. 1518.
[26] Ex multis, cfr. Cass., sez. III, 7 ottobre 2016, n. 42469; Cass., sez. III, 10 ottobre 2018, n. 45574. In dottrina, cfr. E. Basile, I controversi rapporti tra confisca per equivalente e fallimento: legittimazione del curatore ad agire in sede esecutiva e criteri cronologici di prevalenza, in Dir. pen. cont., fasc. 4/2017, p. 328 ss.
[27] Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 45936, con note di D. Amato, Sequestro preventivo, cit., p. 1269 ss.; E. Grisonich, Il cambio di rotta delle Sezioni Unite: riconosciuta la legittimazione del curatore a proporre l’istanza di revoca e le impugnazioni in materia cautelare reale, in Sist. pen., 13 novembre 2019. Sull’ordinanza di rimessione (Cass., Sez. III, ord. 23 maggio 2019, n. 22602), cfr. Fe. Mazzacuva, La Cassazione torna sul rapporto tra sequestri/confische e procedure concorsuali: rimessa alle Sezioni unite la vexata quaestio della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali, in Dir. pen. cont., 2 luglio 2019.
[28] Così, M. Bontempelli, I sequestri penali e l’evoluzione della tutela dei terzi, cit., p. 1341.
[29] F. Bellagamba, La legittimazione del curatore fallimentare, cit., p. 1521 ss.
[30] Ricostruisce il dibattito D. Colombo, La dichiarazione di fallimento quale causa ostativa al sequestro preventivo ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000, cit.
[31] Cfr. ad es. Cass., sez. III, 2 ottobre 2019, n. 47103; Cass., sez. III, 7 giugno 2017, n. 28077; Cass., sez. III, 1° marzo 2016, n. 23907.
[32] Cass., sez. III, 25 maggio 2020, n. 15779; Cass., sez. III, 25 maggio 2020, n. 15776.
[33] Cass., sez. III, 10 ottobre 2018, n. 45574; Cass., sez. III, 20 dicembre 2021, n. 47299; Cass., sez. II, 19 maggio 2022, n. 19682.
[34] Cass., sez. III, 4 ottobre 2019, n. 51462; Cass., sez. III, 13 maggio 2020, n. 14766.
[35] Sulle nozioni di “appartenenza” e di “estraneità al reato” cfr. per tutti F. Mucciarelli, Profili generali (Art. 240 c.p.), in T. E. Epidendio-G. Varraso (a cura di), Codice delle confische, Milano, 2018, 150 ss.
[36] Cass., Sez. III, ord. 29 novembre 2022, n. 7633, cit., che ha formulato il seguente quesito: “se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell’art. 12-bis, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato”.
[37] Cass., sez. III, 18 marzo 2022, n. 11068.
[38] Non convince l’argomento, utilizzato dalle Sezioni Unite Focarelli, secondo cui il curatore, pur essendo soggetto terzo, non sarebbe “estraneo” al reato perché parteciperebbe alla “utilizzazione” dei profitti derivati dall’illecito: si leggano in merito le osservazioni critiche di D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca, cit., pp. 403-404.
[39] D. Colombo, La dichiarazione di fallimento quale causa ostativa al sequestro preventivo ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000, cit.
[40] Sul complesso tema della natura giuridica della confisca del profitto, che non è possibile ricostruire in tal sede, si rinvia per tutti a T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit.
[41] Così la citata ordinanza di remissione, Cass., Sez. III, ord. 29 novembre 2022, n. 7633, punto 4.4.
[42] Cass., Sez. Un., 11 ottobre 2021, n. 36959, Ellade.
[43] L’art. 317, d.lgs. 14/2019, dispone al co. 1 che “le condizioni e i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali sulle cose indicate dall’articolo 142 sono regolate dalle disposizioni del Libro I, titolo IV del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”, precisando al successivo co. 2 che “per misure cautelari reali di cui al comma 1 si intendono i sequestri delle cose di cui è consentita la confisca disposti ai sensi dell’articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale”.
[44] Questa la prospettiva suggerita dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite: Cass., Sez. III, ord. 29 novembre 2022, n. 7633, punto 4.5.