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Genesi e sviluppo (e prospettive future) di un modello di responsabilità degli enti nell’Unione Europea

Genesi e sviluppo (e prospettive future) di un modello di responsabilità degli enti nell’Unione Europea*

* Versione rielaborata e aggiornata di un precedente lavoro in lingua tedesca: L. Foffani, 20 Jahre Europäische Kriminalpolitik – Der Untergang des Prinzips societas delinquere non potest?, in Festschrift für Gerhard Werle (in corso di stampa).

Sommario: 1. Il modello europeo. – 2. Dal modello europeo al “modello 231”. – 3. La soluzione spagnola e l’influenza del “modello 231”. – 4. Austria e Germania: “Verbandsverantwortlichkeitsgesetz” e „Verbandssanktionengesetz“. – 5. Dall’Europa all’America Latina. Prospettive future.

 

1.- Il modello europeo.

Poche leggi nella recente storia d’Italia come il d.lgs. 231/2001 hanno avuto e continuano ad avere una dimensione europea e internazionale: per la genesi della normativa – che deriva direttamente, come è a tutti noto, da una cospicua serie di iniziative adottate a livello sovranazionale (europeo e non solo)[1] – e per l’impatto che, nel corso degli anni, la riforma italiana ha mostrato di saper esercitare a livello europeo ed extraeuropeo.

L’impulso principale per il legislatore italiano – tanto nella fase genetica della 231, quanto nella sua impetuosa e rapida evoluzione successiva – è stato certamente quello proveniente dall’Unione Europea, a partire dal II Protocollo della Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari europei (PIF) del 1997[2]: un impulso iniziale che ha avuto tanta più forza e fortuna in quanto accompagnato da una serie di iniziative parallele di altre agenzie internazionali – dal Consiglio d’Europa all’OCSE e alle Nazioni Unite (in particolare con le varie convenzioni anticorruzione promosse intorno al cambio di secolo)[3] – e seguito da una autentica ondata di iniziative politico-criminali provenienti dalla stessa Unione Europea negli ultimi 25 anni. Si è trattato di iniziative che hanno avuto origini e obiettivi quanto mai vari ed eterogenei, ma tutte accomunate da una identica richiesta rivolta agli Stati membri di responsabilizzare le persone giuridiche in relazione ai fenomeni criminali di volta in volta presi di mira dalle diverse iniziative: dalla lotta al terrorismo o alla criminalità organizzata, dal contrasto alla corruzione pubblica o privata o alla tratta di esseri umani, dal turismo sessuale  alle mutilazioni genitali femminili, dagli abusi di mercato ai delitti ambientali, tutte le variegate iniziative politico-criminali adottate dalla UE nel corso degli anni sono state unite da questo filo rosso rappresentato dalla responsabilità delle persone giuridiche, assurto a strumento caratterizzante ed irrinunciabile della politica criminale europea.

Si può parlare dunque di un modello europeo (nel senso di modello dell’Unione Europea) per la responsabilità delle persone giuridiche? Ad avviso di chi scrive certamente sì, anche se si tratta di un modello estremamente scarno e volutamente privo di alcuni attributi essenziali di un compiuto indirizzo di politica criminale, a cominciare dalla tradizionale vexata quaestio della natura della responsabilità[4].

Consapevole della estrema varietà di orientamenti e di tradizioni culturali e costituzionali presenti al riguardo nel continente europeo, il legislatore europeo (se così possiamo e vogliamo definirlo) consapevolmente si astiene dal dare una linea guida circa la natura giuridica della richiesta responsabilità delle persone giuridiche: mentre per le persone fisiche responsabili dei fenomeni criminosi che si chiede agli Stati membri di combattere si pretende espressamente una responsabilità “penale” accompagnata da sanzioni “penali” nel senso proprio del termine, per le persone giuridiche la richiesta agli Stati membri è volutamente sfumata e flessibile: una “responsabilità” senza aggettivi (art. 3 del secondo protocollo del 1997) e sanzioni o misure che siano “effettive, proporzionate e dissuasive” (art. 4).

Per il resto i lineamenti del modello europeo sono pochi e scarni:

  1. Si chiede in primo luogo agli Stati membri di adottare tutte “le misure necessarie affinché le persone giuridiche [“ad eccezione degli Stati o di altre istituzioni pubbliche nell’esercizio dei pubblici poteri e delle organizzazioni internazionali pubbliche: art. 1 lett. d] possano essere dichiarate responsabili” di determinati reati (nel caso iniziale del secondo protocollo alla convenzione PIF del 1997 si trattava esclusivamente della “frode”, della “corruzione attiva” e del “riciclaggio di denaro”) (art. 3 par. 1);
  2. Né la responsabilità, né le sanzioni per le persone giuridiche vengono definite nella loro natura giuridica: si rimette ai singoli Stati membri la scelta fra sanzioni penali, amministrative o eventuali sanzioni di altro tipo;
  3. La responsabilità delle persone giuridiche presuppone in questo modello solo che il reato sia stato commesso “a loro beneficio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, che detenga un posto dominante in seno alla persona giuridica” (basato su un potere di rappresentanza o di assunzione di decisioni o di esercizio del controllo nell’ambito della persona giuridica), ovvero anche da parte di un semplice subordinato, quando il reato sia stato reso possibile da una “carenza di sorveglianza o controllo” da parte delle persone fisiche collocate al vertice dell’organizzazione dell’ente (art. 3 par. 1 e 2);
  4. Nonostante la loro indistinta natura giuridica le sanzioni agli enti vengono ben definite nella loro identità: in primo luogo “sanzioni pecuniarie” (“di natura penale o amministrativa”), ma anche “altre sanzioni”, quali ad esempio l’”esclusione dal godimento di un vantaggio o aiuto pubblico”, il “divieto temporaneo o permanente di esercitare un’attività commerciale”, l’”assoggettamento a sorveglianza giudiziaria” e “provvedimenti giudiziari di scioglimento”, oltre al sequestro e alla confisca degli strumenti e proventi del reato (art. 4 e 5)[5];
  5. La responsabilità delle persone giuridiche, infine, “non esclude l’azione pena le contro le persone fisiche” responsabili dei reati commessi (art. 3 par. 3).

Come è agevole vedere si tratta di un modello particolarmente “leggero” e flessibile, suscettibile di essere declinato in diverse direzioni, e che lascia un amplissimo margine di manovra ai singoli Stati membri. L’unico criterio di imputazione di portata generale è l’agire “a beneficio” della persona giuridica; mentre la “carenza di sorveglianza o controllo” rileva solo quando la persona fisica autore del reato sia un subordinato all’interno della struttura organizzativa dell’ente.

Questo modello si è rapidamente affermato e consolidato: e sin dall’inizio è stato replicato in termini quasi letteralmente identici in una serie sempre più intensa di iniziative politico-criminali nei settori più disparati e con gli obiettivi ed oggetti più eterogenei (dapprima convenzioni e azioni comuni, dopo il Trattato di Amsterdam decisioni quadro e dopo il Trattato di Lisbona direttive). La responsabilità delle persone giuridiche è l’autentico (ed unico) “Leitmotiv” della politica criminale europea e rappresenta anche il più grande successo di questa politica criminale, se si pensa solo alla rapida e sorprendente diffusione di nuove ed inedite forme di responsabilità delle persone giuridiche all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea.

Dal 1997 ad oggi questo modello europeo di responsabilità delle persone giuridiche è rimasto praticamente identico nella sua espressione letterale, come una sorta di formula standardizzata. Se si confronta ad esempio la formulazione del Secondo Protocollo della Convenzione PIF del 1997 (art. 3 e 4) con quello della più recente Direttiva – di 20 anni successiva – sulla lotta alla frode contro gli interessi finanziari dell’Unione[6] (art. 6 e 9), ci si avvede agevolmente di come le modifiche intervenute siano state ridottissime e di natura quasi esclusivamente stilistica. Le sanzioni che si tratta di applicare nei confronti degli enti vengono sempre descritte come “effettive, proporzionate e dissuasive[7]; e accanto alle “sanzioni pecuniarie, penali o non penali”, compaiono nella gamma delle “altre sanzioni” indicate in via esemplificativa anche “l’esclusione temporanea o permanente dalle procedure di gara pubblica” e “la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti che sono stati usati per commettere il reato” (art. 9 lett. b e f).

In sintesi: si tratta solo di modifiche minimali. La struttura “leggera” del modello europeo è sempre la medesima; e questa struttura leggera, flessibile e costante è anche verosimilmente il segreto del successo storico di questo modello, che ha rivelato un alto grado di compatibilità con le diverse culture giuridiche ed i differenti orientamenti politico-criminali degli Stati membri.

2.- Dal modello europeo al “modello 231”.

Di questo modello europeo il d.lgs. 231/2001 rappresenta una delle implementazioni nazionali più significative. Perché all’alba del nuovo millennio una disciplina della responsabilità da reato delle persone giuridiche rappresentava ancora una rarità nel panorama continentale europeo dei paesi di civil law – con l’eccezione dei Paesi Bassi e del codice penale francese del 1994[8] – e perché la riforma italiana prende apertamente le mosse dal modello europeo, sviluppandone le linee guida ed apportandovi un originale arricchimento soprattutto sul versante dei criteri di imputazione della responsabilità all’ente collettivo.

L’ispirazione europea e internazionale della riforma italiana è esplicita già dalla sopra richiamata intitolazione della legge delega[9] e confermata da tutta l’impostazione generale del “sistema 231”: la selezione delle due categorie di persone fisiche (apicali e subordinati) i cui comportamenti penalmente illeciti possono provocare un accertamento giudiziario di responsabilità è quella stessa tracciata dal modello europeo; e dal modello europeo deriva anche l’indicazione di una responsabilità indirizzata verso un “numerus clausus” di illeciti penali, perché si accoglie l’approccio politico-criminale “problem solving” del legislatore europeo.

L’indicazione di fonte europea non aveva infatti mai avuto la pretesa di provocare l’introduzione negli ordinamenti nazionali di un generalizzato secondo binario di responsabilità da reato, accanto a quella classica delle persone fisiche (anche se alla fine questo è stato in molti casi il risultato), ma più modestamente quello di affrontare determinati problemi di politica criminale (concreti fenomeni criminosi da contrastare) con nuove forme di responsabilità, che coinvolgessero gli enti collettivi nel cui ambito organizzativo e nel cui interesse fossero stati commessi dei fatti penalmente rilevanti. E l’ondata espansiva della gamma dei reati presupposto della responsabilità delle persone giuridiche – che ha immediatamente investito l’impianto originario degli art. 24 e 25 del d.lgs. 231/2001, sovrastati dalle interpolazioni delle novelle normative successive – non è altro che un fedele riflesso della sempre crescente attenzione delle istituzioni europee per nuovi fenomeni criminali che si chiede agli Stati membri di contrastare con le risorse del diritto penale nazionale, fra le quali ormai non può mancare – nella visione del legislatore europeo – la responsabilità (comunque la si qualifichi nella sua natura giuridica) degli enti collettivi.

L’apporto più originale del legislatore italiano è certamente quello relativo ai criteri di imputazione alle persone giuridiche: al di là del criterio dell’”interesse” o “vantaggio” – fedele riproduzione dello spunto tracciato dalle iniziative europee e sovranazionali – la novità più significativa della disciplina italiana è quella della normativizzazione dei “modelli di organizzazione e gestione” in funzione della prevenzione dei reati presupposto della responsabilità dell’ente. L’esperienza pratica della diffusione dei “compliance programs” delle grandi imprese – dagli Stati Uniti all’Europa e poi in tutto il mercato globale – è quella che ha condotto il legislatore italiano ad introdurre nel sistema del d.lgs. 231/2001 un significativo esempio – probabilmente il primo e il più consistente a livello internazionale per dettaglio di previsione normativa – di un modello di “compliance” costruito in negativo come fondamento della responsabilità dell’ente: un difetto o “colpevolezza di organizzazione” – espressione di reminiscenza tedesca[10], ma divenuta ormai di uso corrente anche nella dottrina e giurisprudenza italiana[11] – che esprime il rimprovero mosso all’ente per non essersi dotato di efficienti meccanismi preventivi degli illeciti compresi nella gamma dei reati presupposto.

La scelta prudenziale sul versante della natura della responsabilità – con l’opzione per una responsabilità di natura formalmente “amministrativa”, che saranno poi ampi settori di dottrina e giurisprudenza ad interpretare come sostanzialmente penale o come un “tertium genus” fra penale e amministrativo[12] – è anch’essa figlia di un modello europeo che, come si è detto, lascia mano libera sul punto ai legislatori nazionali; ed è una scelta derivante da uno “Zeitgeist” nel quale – al principio del nuovo millennio – si avvertiva forte nel nostro paese il timore di una crisi di rigetto da parte del mondo delle imprese[13] e di un sistema pur sempre ancorato al tradizionale dogma del “societas delinquere non potest”; e, più in concreto, si avvertiva il timore di possibili censure di legittimità da parte della Corte costituzionale per contrasto con il principio della personalità della responsabilità penale inteso in termini strettamente antropocentrici.

3.- La soluzione spagnola e l’influenza del “modello 231”.

Se dunque la soluzione politico-criminale concretizzatasi nel d.lgs. 231/2001 era figlia dei tempi e dell’impulso europeo, a 20 anni di distanza possiamo dire che la via italiana al superamento del dogma del “societas delinquere non potest” – una via pragmatica e prudente, ma tecnicamente ben costruita e con una visione di fondo molto allineata alla nascente stagione della ”compliance” che avrebbe caratterizzato la prassi e il dibattito degli anni successivi – sia stata una via di successo e con un forte impatto sul piano internazionale.

Lo dimostra innanzitutto un raffronto con gli interventi legislativi succedutisi in Europa nel breve volgersi di pochi anni ed in particolare con la strada intrapresa – ad un decennio di distanza dal d.lgs. 231/2001 – dal legislatore spagnolo. Con la Ley Orgánica 5/2010 viene introdotta nel Código penalspagnolo una “rivoluzionaria” disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche[14], successivamente sviluppata dalla Ley Orgánica 1/2015, che integra la disciplina sostanziale del codice penale ed introduce una disciplina processuale ad hoc per gli enti collettivi nell’ambito della Ley de enjuiciamiento criminal.

A prima vista la scelta del legislatore iberico in favore di una responsabilità dichiaratamente penale delle persone giuridiche – a dieci anni di distanza il peso della tradizione dogmatica del “societas delinquere non potest” si era evidentemente affievolito anche in un paese dalle tradizioni giuridiche simili alle nostre – potrebbe far pensare ad una opzione politico-criminale e ad un modello di disciplina radicalmente alternativi rispetto a quello italiano del d.lgs. 231/2001. Ed invece è vero esattamente il contrario: la riforma spagnola è fortemente ispirata da quella italiana e soprattutto le integrazioni del 2015 – che inseriscono nella trama normativa dell’art. 31 bis CP una dettagliata disciplina dei modelli di organizzazione e gestione (“modelos de organización y gestión”) – appaiono quasi come una fedele riproduzione dell’art. 6 d.lgs. 231/2001[15]. Piena identità vi è anche in ordine al criterio identificativo delle persone fisiche il cui agire illecito può far sorgere la responsabilità dell’ente, così come in ordine all’arsenale sanzionatorio attivabile nei confronti delle persone giuridiche.

Anche le significative differenze che pure sussistono – in relazione alla natura giuridica della responsabilità e alla disciplina dell’onere della prova dell’idoneità del modello di organizzazione (poiché il legislatore spagnolo non ha riprodotto la regola dell’inversione dell’onus probandi di cui all’art. 6 d.lgs. 231/2001 nel caso di reato presupposto realizzato da un soggetto in posizione apicale nell’organizzazione dell’ente) – appaiono come semplici variazioni sul tema nell’ambito di una medesima chiave di lettura e di recepimento del modello europeo. Così come la differente veste della fonte normativa – il codice penale e di procedura penale per la disciplina spagnola, una sorta di autonomo micro-codice della responsabilità degli enti in Italia – appaiono come il naturale riflesso di una tradizione giuridica contrapposta fra i due ordinamenti in ordine al rapporto fra codice e legislazione speciale (una visione “codicocentrica” in Spagna a fronte del “policentrismo” tradizionalmente caratteristico della nostra materia penale[16]).

La quasi completa identità fra i due modelli di disciplina (italiano e spagnolo) della responsabilità delle persone giuridiche, a dispetto delle “etichette” formali (formalmente contrapposte) impiegate dai rispettivi legislatori inducono piuttosto a qualche riflessione in ordine alla tendenza sempre più emergente in Europa in determinati settori – specie in materia di disciplina delle attività economiche – verso un diritto “sanzionatorio” genericamente inteso nel quale sembrano sfumare i tradizionali e classici confini fra il penale e l’amministrativo[17]; una tendenza della quale la disciplina della responsabilità delle persone giuridiche – così come si è andata formando e consolidando nei diversi ordinamenti nazionali europei dopo l’inizio del nuovo secolo – è la manifestazione più evidente e significativa.

4.- Austria e Germania: “Verbandsverantwortlichkeitsgesetz” e „Verbandssanktionengesetz“.

Ne è ulteriore ed estremamente significativa riprova l’indirizzo in materia di responsabilità delle persone giuridiche che sembra delinearsi nei paesi di lingua tedesca: dapprima in Austria con il “Verbandsverantwortlichkeitsgesetz” del 2006, che delinea un modello di responsabilità degli enti autosufficiente e senza ulteriori aggettivi qualificativi (né penale né amministrativo, almeno in apparenza); e poi più compiutamente in Germania, con un importante progetto che dovrebbe riprendere il cammino nella nuova legislatura appena iniziata.

Dopo che la Germania per tanti anni ha rappresentato l’ultimo bastione d’Europa (insieme con la Grecia) del principio “societas delinquere non potest”, è oggi probabilmente giunto il tempo per uno storico e decisivo passo nella direzione del riconoscimento legislativo della responsabilità delle persone giuridiche. Con il progetto del Governo federale di una “legge per il rafforzamento dell’integrità nell’economia” („Gesetz zur Stärkung der Integrität in der Wirtschaft“), il cui art. 1 contiene una “legge sulle sanzioni per i reati collegati agli enti collettivi” [„Gesetz zur Sanktionierung von verbandsbezogenen Straftaten (Verbandssanktionengesetz – VerSanG”)] dovrebbe prendere vita un nuovo autentico “codice” (sostanziale e processuale) della responsabilità delle persone giuridiche. Il progetto tedesco non prevede alcuna riforma dei codici penale e di procedura penale, ma introduce nuovi concetti e istituti giuridici, come la “responsabilità degli enti” („Verbandsverantwortlichkeit“), il “fatto proprio degli enti” („Verbandstat“), le “sanzioni agli enti” („Verbandssanktionen“), consistenti nella “sanzione pecuniaria all’ente” („Verbandsgeldsanktion“) e nella “ammonizione con riserva di sanzione pecuniaria all’ente” („Verwarnung mit Verbandsgeldsanktionsvorbehalt“), con possibile imposizione di prescrizioni per tutta la durata del periodo di prova.

Senza pretesa di poter dare qui riscontro del ricco dibattito tedesco su questa storica riforma[18], appare comunque evidente che anche il legislatore tedesco si sia ispirato all’impulso europeo dianzi descritto, e che anche questo progetto segua la linea direttrice di cercare una nuova originale soluzione fra i tradizionali classici sistemi del diritto penale e del diritto sanzionatorio amministrativo (“Ordnungswidrigkeitenrecht”). L’intera architettura del disegno di legge e persino il lessico giuridico del (pre-)legislatore – una legge “per il rafforzamento dell’integrità nell’economia” – appare fortemente innovativo e molto lontano dall’ispirazione puramente penalistica e repressiva delle leggi per la lotta contro la criminalità economica del secolo scorso[19]: la strategia e la filosofia dell’attuale legislatore tedesco molto “europa-orientato” non è né la pura repressione penale, né la mera prevenzione amministrativa, bensì una nuova forma di controllo sociale e di orientamento dell’economia, con un innovativo strumentario giuridico, che punta sulla effettiva cooperazione e collaborazione degli attori economici: misure di compliance, investigazioni interne, regolamentazione del whistleblowing, prescrizioni nel caso di ammonizione con riserva di sanzione pecuniaria all’ente.

Una linea analoga – come si è già rilevato – era stata perseguita pochi anni addietro dal legislatore austriaco con la “legge sulla responsabilità degli enti” („Verbandsverantwortlichkeitsgesetz“) del 2006[20], dalla quale non emerge nessuna classica definizione della natura giuridica delle sanzioni. Questa nuova linea “germanica” di politica del diritto esprime probabilmente al meglio lo “Zeitgeist” europeo del nuovo millennio: forse più che la disciplina spagnola della punibilità delle imprese con un classico strumentario penalistico – che si inserisce (non senza problemi) all’interno delle tradizionali regole e istituti giuridici generali dei codici penale e di procedura penale – e forse anche meglio della “timida” e prudente soluzione linguistica del legislatore italiano del 2001, che – sulla scorta del già ricordato timore (allora concreto e ben fondato) di una crisi di rigetto da parte del mondo economico e della paura di oltrepassare i limiti della legittimità costituzionale[21] – si è limitato ad utilizzare in materia di qualificazione della natura delle sanzioni e della responsabilità un lessico giuridico di natura classicamente amministrativa: “sanzioni amministrative” e “illecito amministrativo”. Questa linea di politica del diritto seguita da ultimo in Germania smentisce anche la (falsa ma diffusa) idea di un’Europa che pretenderebbe sempre e solo più diritto penale da parte degli Stati membri e potrebbe efficacemente contribuire a rafforzare la cultura della legalità nel mondo delle imprese (compreso il rispetto per i diritti umani nell’attività economica[22]), così come la fiducia nello Stato di diritto[23].

5.- Dall’Europa all’America Latina. Prospettive future.

Questa telegrafica rassegna di diritto comparato europeo sulla “new wave” della responsabilità da reato delle persone giuridiche non sarebbe completa senza un cursorio riferimento alle linee di tendenza emergenti nel continente latino-americano: considerazione che ci rafforza nella convinzione che il d.lgs. 231/2001 – a 20 anni dalla sua genesi – rappresenti l’esempio di una storia di successo. Al “modello 231” – su impulso e suggerimento dell’OCSE – si è ispirato innanzitutto il Cile, primo paese dell’America Latina a dotarsi di una disciplina normativa della responsabilità da reato delle persone giuridiche[24]; e poi, più recentemente, anche altri paesi come il Perù[25], l’Ecuador o il Messico si stanno incamminando sulla medesima strada. L’influenza esercitata nel contesto latino-americano dal modello di disciplina del d.lgs. 231/2001 è stata ed è assai significativa, anche se a volte si è trattato verosimilmente di una influenza indiretta, mediata dalla esperienza dell’ordinamento spagnolo. In ogni caso si può comunque concludere che il “modello 231” si è rivelato capace non solo di condurre il nostro paese – la dottrina e la giurisprudenza penale, ma anche e soprattutto il mondo delle imprese e l’opinione pubblica – verso il superamento progressivo della tradizione del “societas delinquere non potest” – ma si è rivelato anche come un vero e proprio prodotto di esportazione[26], come forse mai si è potuto verificare nella storia recente della legislazione italiana.

Ma dietro il successo del “modello 231” vi è prima di tutto – come si è cercato di sostenere in queste brevi note – il successo del modello europeo che ne rappresenta la matrice originaria: domani peraltro – se davvero anche la Repubblica federale tedesca sarà capace di dare vita ad un prodotto legislativo del tipo di quello delineatosi nella legislatura appena conclusa – si potrà dire che questo modello europeo inaugurato dal secondo protocollo della convenzione PIF del 1997 dopo un quarto di secolo di costante e insistente riproduzione in sempre nuove e diverse iniziative politico-criminali europee e dopo una (probabilmente insperata all’origine) diffusione capillare nella maggior parte dei paesi dell’area continentale europea, abbia finalmente raggiunto il suo apice e forse – in un certo senso – esaurito la sua spinta propulsiva. Al legislatore europeo forse tocca ora fare un salto in avanti e sviluppare il suo scarno e leggero modello originario, inserendo qualche elemento più ambizioso: non tanto sul versante della qualificazione della natura giuridica della responsabilità, quanto piuttosto sul versante dei criteri di imputazione, delineando una sorta di modello europeo di compliance normativa capace di fornire un quadro unitario di riferimento tanto ai legislatori nazionali quanto e soprattutto al mondo delle imprese operanti sul teatro europeo.

Di Luigi Foffani

Professore Ordinario di Diritto penale nell’Università di Modena e Reggio Emilia 

[1] E’ sufficiente, a tal fine, ricordare l’intitolazione della legge delega (art. 11, l. 29.9.2000, n. 300), che richiama espressamente la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee del 26.7.1995, con i successivi protocolli del 1996 e 1997, la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità Europee o degli Stati membri dell’Unione Europea del 26 maggio 1997 e la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali del 17 dicembre 1997.

[2] Secondo Protocollo della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee stabilito in base all’art. K.3 del Trattato sull’Unione Europea, Atto del Consiglio del 19 giugno 1997, in GUCE, 19.7.97, N. C 221/11 ss.

[3] Si pensi in particolare alla Convenzione ONU di Mérida per la lotta alla corruzione del 2003.

[4] Parzialmente diverso era invece il modello di responsabilità delle persone giuridiche delineato in quegli stessi anni dal progetto del Corpus Juris (art. 13) e dal Libro verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una procura europea (Bruxelles, 11.12.2001), dove si delineava espressamente una “criminal liability of organisation”. Cfr. M. Delmas-Marty/J. Vervaele (a cura di), The implementation of the Corpus Juris in the Member States: Penal Provisions for the Protection of European Finances, Antwerpen, Intersentia, 2001.

[5] Tutti gli articoli citati si riferiscono al Secondo Protocollo della Convenzione PIF del 1997 (cit. nota 2).

[6] Direttiva (UE) 2017/371 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, in GUUE, 28.7.2017, L 198/29 ss.

[7] Una lieve variante stilistica compare solo nella versione in lingua tedesca della direttiva, dove non si parla più di sanzioni “adeguate” (“angemessen”), ma “proporzionate” (“verhältnismäßig”).

[8] Per una aggiornata rassegna comparatistica sulla disciplina della responsabilità delle persone giuridiche cfr. in particolare, nella letteratura italiana più recente, G. De Simone, Profili di diritto comparato, in G. Lattanzi/P. Severino (a cura di), Responsabilità da reato degli enti, vol. I, Diritto sostanziale, Torino, Giappichelli, 2020, p. 3 ss.; V. Mongillo, La responsabilità penale tra individuo ed ente collettivo, Torino, Giappichelli, 2018, p. 175 ss.

[9] V. nota 1.

[10] La „Organisationsverschuldung“ evoca naturalmente l’opera del più grande maestro del diritto penale dell’economia in Europa: K. Tiedemann, Wirtschaftsstrafrecht, 3. Aufl., 2011.

[11] Cfr. per tutti C.E. Paliero, Colpa di organizzazione e persone giuridiche, in Enc. Dir. – I Tematici, Il reato colposo, a cura di M. Donini, Milano, Giuffrè, 2021.

[12] Cfr. in particolare, da ultimo, la sentenza della Corte di Cassazione sul caso Thyssenkrupp: Cass. pen. SU, 24 aprile 2014 n. 38343, in DPC, 19.9.2014.

[13] Si ricordi come la netta opposizione di Confindustria nei confronti dello schema originario di decreto legislativo – che pretendeva di delineare un nuovo sistema di responsabilità da reato delle persone giuridiche in relazione ad un’ampia gamma di reati d’impresa, conformemente alle indicazioni originarie della legge delega – aveva rischiato di far naufragare la delega legislativa e che solo la soluzione di compromesso della riduzione dell’ambito di operatività della responsabilità “amministrativa” da reato delle persone giuridiche al solo nucleo di reati presupposto strettamente richiesto dalle iniziative internazionali che si trattava di recepire in quel momento storico – fondamentalmente ispirate ad una esigenza di lotta alla corruzione e alle frodi nelle pubbliche sovvenzioni – aveva consentito l’emanazione del d.lgs. 231/2001 a pochi giorni dalla fine della legislatura (8 giugno 2001).

[14] Cfr. art. 31, 31 bis-quinquies, 66 bis par. 2, 120, 200, 203, 204, 318, 327, 328 par. 6 CP.

[15] Sulla riforma del 2010 cfr. ad es. I. Ortiz De Urbina Gimeno, Adesso davvero Hispanica Societas delinquere potest, in Criminalia, 2010, p. 385 ss. Sulla versione attuale dopo la riforma del 2015 cfr., nella manualistica di settore più aggiornata, J. Dópico Gomez Aller, La responsabilidad penal de las personas jurídicas, in N.J. De La Mata Barranco/ J. Dópico Gomez Aller/J.A. Lascuraín Sanchez/A. Nieto Martín, Derecho penal económico y de la empresa, Madrid, Dykinson, 2018, p. 129 ss.

[16] V. in proposito L. Foffani/M.J. Pifarré De Moner, La legislazione penale speciale in Spagna (Codice penale e principio di “universalità”), in M. Donini (a cura di), La riforma della legislazione penale complementare. Studi di diritto comparato, Padova, Cedam, 2000, p. 189 ss.

[17] Premonitrici in tal senso le intuizioni di K. Tiedemann, Grunderfordernisse des Allgemeinen Teils für ein europäisches Sanktionenrecht. Generalbericht, in ZStW, 110 (1998), p. 497 ss.

[18] Nella pagina web del Ministero federale della giustizia e per la protezione dei consumatori figura (22.6.2020) – accanto al testo del disegno di legge – una “monumentale” serie di pareri e prese di posizione di diverse fonti e istituzioni, che danno conto della straordinaria ricchezza del dibattito su una così importante riforma per l’ordinamento tedesco.

[19] Cfr. la prima e la seconda legge per la lotta contro la criminalità economica (1. und 2. WiKG) del 29.7.1976 (BGBl I 1976, 2034) e del 23.5.1986 (BGBl I 1986, 721), che hanno contrassegnato il volto moderno del diritto penale dell’economia in Germania.

[20] Cfr. in proposito la rassegna comparatistica dello Schweizerischen Instituts für Rechtsvergleichung sulla “Strafrechtliche oder strafrechtsähnliche Sanktionierung von Unternehmen bei der Verletzung verwaltungsrechtlicher Pflichten (Deutschland, Frankreich, Niederlande, Österreich)”: Fournier/Langhorst/van den Bosch/Viennet, Strafbarkeit von Unternehmen, Stand 30.04.2019, E-Avis ISDC 2019-09, scaricabile da www.isdc.ch, p. 71 ss.

[21] Mentre oggi – a 20 anni di distanza dall’introduzione della riforma – la legittimità costituzionale della responsabilità delle persone giuridiche alla luce del principio di colpevolezza non appare più in discussione: cfr. in tal senso la chiara e ben argomentata presa di posizione delle Sezioni unite della Corte di Cassazione sul caso Thyssenkrupp (supra, nota 6).

[22] Cfr. sul punto L. Foffani/A. Nieto Martín, Auf dem Weg zu einem europäischen Wirtschaftsstrafrecht der Menschenrechte?, in Digitalisierung, Globalisierung und Risikoprävention. Festschrift für Ulrich Sieber zum 70. Geburtstag, a cura di M. Engelhart, H. Kudlich e B. Vogel, vol. I, Berlin, Duncker & Humblot, 2021, p. 411 ss.

[23] Cfr. in tal senso la relazione introduttiva al disegno di legge, nella quale il rafforzamento della lealtà della concorrenza appare come lo scopo centrale perseguito dal legislatore.

[24] Cfr. H. Hernández Basualto, La introducción de la responsabilidad penal de las personas jurídicas en Chile, in Política criminal, 2010, p. 207 ss.

[25] Cfr. D.C. Caro Coria, La responsabilidad de las personas jurídicas en el Perù y los criminal compliance programs como atenuantes y eximentes de la responsabilidad de la persona jurídica, in Gaceta penal & procesal penal, 123 (2019), p. 117 ss.

[26] Nel senso che „il raffinato paradigma di autonormazione individuato dal Decreto [231/2001] si è imposto anche come modello di esportazione”, cfr. ora G. Lattanzi/P. Severino, Introduzione. Prevenzione e repressione della criminalità economica e responsabilità delle persone giuridiche, in G. Lattanzi/P. Severino (a cura di), Responsabilità da reato degli enti, cit. (nota 8), p. XXII.