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Le attribuzioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza tra poteri e doveri

Sommario: 1. La sentenza n. 38914 del 2023 della Cassazione penale. – 2. L’evoluzione della normativa in tema di sicurezza e partecipazione nell’ordinamento italiano. – 3. L’influenza del diritto dell’Unione europea e la c.d. partecipazione equilibrata. – 4. La natura delle attribuzioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

1. La sentenza n. 38914 del 2023 della Cassazione penale.

La giurisprudenza penale è stata chiamata ad occuparsi del ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) finendo per riconoscerne la responsabilità con conseguente condanna per la morte di un lavoratore per aver omesso di “sollecitare … a effettuare la formazione dei dipendenti … per l’uso dei mezzi di sollevamento e di informare i responsabili dell’azienda per i rischi connessi all’utilizzo … del carrello elevatore”. Nel caso di specie il lavoratore deceduto, assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico, svolgeva di fatto anche funzioni di magazziniere senza aver ricevuto la necessaria formazione, comprensiva dell’uso del carrello elevatore, sotto il peso dei cui tubolari era rimasto schiacciato dopo essere sceso dal carrello ed essersi arrampicato su uno scaffale per posizionare meglio il carico.

La Suprema Corte ha attribuito al RLS (in un passaggio impropriamente – forse freudianamente – definito responsabile dei lavoratori per la sicurezza) “un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro”. Senza affrontare la questione, pur sollevata dalla difesa, se il RLS ricopra o meno una posizione di garanzia, “intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire”, ne riconosce la responsabilità penale sul presupposto di aver “contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 c.p.”.

Non si è mancato di sottolineare che la portata innovativa della sentenza deve essere ridimensionata alla luce della circostanza che il RLS era al contempo componente del Consiglio di amministrazione della società[1]. Tuttavia, la motivazione della sentenza non si sofferma su di essa e si concentra sulla sola posizione di RLS rivestita dall’imputato[2], cosicché il giudizio appena riportato non può essere condiviso.

Le conclusioni adottate dalla Suprema Corte sono state criticate da più parti[3] anche per una superficiale ricostruzione del ruolo degli RLS. Ed è su questo aspetto che può concentrarsi il contributo del giuslavorista, in mancanza delle competenze penalistiche necessarie.

2. L’evoluzione della normativa in tema di sicurezza e partecipazione nell’ordinamento italiano.

Il quadro normativo in materia di sicurezza sul lavoro è da tempo caratterizzato dall’introduzione di limiti ai poteri del datore di lavoro in grado di incidere anche in modo penetrante sulle sue scelte organizzative. E’ una conclusione che ha trovato iniziale fondamento nell’art. 2087 c.c. e che ha ricevuto esplicita e ampia conferma negli artt. 32 e 41, comma 2, cost., i quali configurano il bene della salute come diritto fondamentale, primario e assoluto, dell’individuo, operante anche nei rapporti tra privati.

Ciononostante, per ragioni di carattere culturale, oltre che per i ritardi del movimento sindacale, incline a collocarsi in una logica compromissoria in un contesto normativo in cui le tutele per i lavoratori, soprattutto in tema di conservazione del posto, latitavano, nonché per le inefficienze dell’apparato pubblico di controllo e di vigilanza, le finalità prevenzionistiche dell’obbligo di sicurezza sono risultate sostanzialmente frustrate, a dispetto delle potenzialità in via preventiva delle norme in precedenza richiamate, tanto che la via giudiziale è stata percorsa soltanto ex post, in chiave risarcitoria o, specie inizialmente, sanzionatoria penale[4].

Consapevole che la finalità prevenzionistica sottesa all’art. 2087 c.c. non poteva essere perseguita in modo efficace nell’ottica individualistica dell’azione del singolo lavoratore, il legislatore, nel momento in cui ha promosso in generale l’azione sindacale nei luoghi di lavoro con lo Statuto dei lavoratori, ha ricondotto anche il diritto di credito alla sicurezza del lavoro ad una dimensione collettiva[5]. L’art. 9, l. n. 300/1970, in particolare, ha riconosciuto la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di effettuare controlli e di assumere iniziative di ricerca, elaborazione ed attuazione delle misure di sicurezza, esercitabili a prescindere dalla preventiva predisposizione di specifiche modalità esplicative, trattandosi di norma avente natura precettiva[6]. Si trattava di una disposizione dalle forti potenzialità, che introduceva un momento partecipativo avente natura non necessariamente conflittuale, né negoziale, sino a quel momento pressoché sconosciuto nel sistema di relazioni industriali italiano.

Tuttavia, l’esperienza e la prassi applicativa non hanno sortito risultati positivi. Nonostante la ricorrente previsione nei contratti collettivi nazionali di categoria di una serie di misure atte a tutelare la sicurezza e salute dei lavoratori, quali strumenti di conoscenza e controllo, diritti di indagine, di informazione e consultazione[7], si è pervenuti alla “dismissione di una rilevante porzione di potere che rientra a pieno titolo nella sfera del diritto di controllo”[8].

La legge di riforma sanitaria n. 833/1978, senza modificare i principi ispiratori espressi dagli artt. 2087 c.c. e 9, l. n. 300/1970, in particolare insistendo su prevenzione e partecipazione, ha imperniato l’attività di prevenzione e controllo sulle strutture pubbliche, con la conseguenza di configurare “un inedito tipo di gestione collettiva (comunitaria e <<sociale>>) del diritto costituzionale alla salute sia all’interno che all’esterno del recinto della fabbrica”[9], che ha potenziato il ruolo delle strutture amministrative, “la cui azione non deve sostituirsi, ma coordinarsi con quella degli organismi rappresentativi dei lavoratori, ormai ricondotti anche testualmente nell’alveo sindacale”[10].

Nel frattempo l’autonomia collettiva, nonostante qualche progresso, ha continuato a fornire un contributo modesto, “imbrigliata” com’era “nelle maglie dell’organizzazione del lavoro predisposta dall’imprenditore”[11], sulla quale non è riuscita ad incidere.

3. L’influenza del diritto dell’Unione europea e la c.d. partecipazione equilibrata.

Il tema della sicurezza diventa centrale grazie all’influenza del diritto comunitario ed in particolare alla direttiva “madre” n. 391 del 1989, che, nel prescrivere ai legislatori nazionali un approccio globale al problema, è decisamente imperniata sulla cultura della prevenzione e della programmazione della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. A tal fine individua nella c.d. partecipazione equilibrata dei lavoratori (art. 11) uno degli strumenti fondamentali, basato sul loro diritto ad essere consultati soprattutto mediante i propri rappresentanti in ordine alle azioni destinate a produrre effetti rilevanti sulla sicurezza del lavoro e a formulare proposte e soluzioni per contribuire alla garanzia della propria sicurezza. Ciò attraverso un intervento destinato a concretizzarsi non soltanto nella consultazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze, ma anche in tutti gli strumenti giuridici che consentono alla rappresentanza collettiva di influire sulle scelte datoriali[12]. Benché la direttiva abbia lasciato agli Stati membri libertà nell’individuazione delle concrete modalità di svolgimento della partecipazione equilibrata dei lavoratori, nel rispetto della peculiarità dei sistemi nazionali di relazioni industriali, prescrive l’adozione di una rappresentanza dei lavoratori specializzata in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro volta a favorire la cooperazione tra datore di lavoro e rappresentanza dei lavoratori.

La soluzione italiana, accolta prima col d. lgs. n. 626/1994 e poi col d. lgs. n. 81/2008, si è posta in continuità con le precedenti esperienze partecipative di tipo meramente procedurale, ovvero per organi contrapposti, cioè per strutture autonome e distinte, anziché per stanze permanenti di confronto, se si eccettua il caso degli organismi paritetici territoriali.

Peraltro, va rimarcato che i meccanismi procedurali sono definiti ed articolati come mai erano stati in precedenza, anche con riguardo ad altre tematiche, se si esclude in qualche misura il caso dei licenziamenti collettivi. In particolare la partecipazione, nel senso comunque debole di coinvolgimento nell’iter decisionale del datore di lavoro dall’esterno degli organi gestionali delle società, è preventiva rispetto alle scelte organizzative di quest’ultimo, è obbligatoria e certa, in quanto non subordinata e limitata all’iniziativa delle rappresentanze dei lavoratori, ed è aggiuntiva rispetto all’obbligo sostanziale di garantire la massima sicurezza tecnologicamente fattibile.

Non si può, in definitiva, negare che l’introduzione del modello di partecipazione equilibrata basato sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza costituisca un salto di qualità rispetto alla disciplina precedente e contenga alcune novità, fondandosi su “un paradigma diverso”, quello di “prevenzione partecipata”, che rende “corresponsabili della prevenzione sia debitori che creditori di sicurezza”[13].

Innanzitutto la presenza del RLS è obbligatoria in tutte le aziende o unità produttive (art. 47, comma 2, d. lgs. n. 81/2008).

In secondo luogo la forma di rappresentanza degli interessi dei lavoratori in ambito prevenzionistico viene istituzionalizzata: il legislatore opta per un compromesso tra un modello di rappresentanza obbligatorio e generalizzato ed uno di tipo privatistico-volontario[14], come si evince dal rinvio in funzione integrativa del precetto legale alla contrattazione collettiva (art. 47, comma 5), dall’esistenza di un mandato rappresentativo tra i lavoratori e il RLS e dall’assenza di strumenti suppletivi in caso di inerzia dei primi nella scelta del secondo.

Peraltro, il legislatore si è preoccupato di evitare che si creino vuoti nel sistema di rappresentanza anche nelle imprese minori, a dimostrazione di un ”processo di metamorfosi della natura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza mirante ad attenuarne la sua dimensione privatistica e ad accentuarne il carattere necessario e la valenza pubblicistica degli interessi ad esso sottesi”[15]: a tal fine prevede che, laddove non si proceda alla elezione o designazione dei RLS, le relative funzioni siano esercitate dai rappresentanti per la sicurezza territoriale e da quelli di sito produttivo (artt. 47, comma 8, 48 e 49), a conferma del carattere necessario della loro presenza ed attività.

Ancora, il d. lgs. n. 81/2008 si preoccupa di garantire che gli RLS ricevano particolare e adeguata formazione in materia di sicurezza e salute, con obbligo per il datore di aggiornamento periodico con cadenza annuale, che tenga conto sia delle informazioni di carattere generale rispetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro, sia dei rischi specifici che riguardano l’impresa in cui si svolge l’attività lavorativa (art. 37), rinviando alla contrattazione collettiva per la determinazione dei contenuti specifici. Ciò per conferire a tali soggetti la competenza necessaria e metterli nelle condizioni di esercitare il loro ruolo in modo effettivo ed efficace[16].

Proprio con riguardo al ruolo degli RLS, infine, anche se restano chiamati “a svolgere funzioni consultive e di controllo nell’ambito di un modello partecipativo debole che fa di esse(i) degli interlocutori del datore di lavoro imprescindibili, ma ai quali è sottratto qualunque potere decisionale finale”[17], non si può negare che un rafforzamento si sia verificato[18]. Ciò grazie, da un lato, alla valorizzazione del rappresentante per la sicurezza territoriale ed all’introduzione della figura del rappresentante per la sicurezza di sito produttivo; dall’altro, alla maggiore articolazione delle prerogative loro attribuite.

4. La natura delle attribuzioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

L’art. 50, d. lgs. n. 81/2008 contiene un significativo elenco delle prerogative dei RLS, che fanno di essi una, o quanto meno puntano su di essi quale, “interfaccia credibile e preparata per l’azienda e per i lavoratori stessi”[19].

La rubrica della norma parla di “attribuzioni” e tale formula ha indotto alcuni settori della dottrina[20] a ritenere che esse costituiscano esclusivamente poteri, i quali in nessun caso assurgono al rango di doveri: una conclusione rafforzata dai limiti che i rappresentanti per la sicurezza incontrano nel loro operato, in mancanza di poteri decisionali nei confronti del datore e del potere di chiedere ai prestatori l’osservanza di determinati comportamenti, riservati al datore di lavoro. Quanto induce ad escludere che possa essere loro conferita la veste di garanti della sicurezza[21], benché la giurisprudenza ne abbia ampliato la nozione sino a ricomprendere chiunque abbia il potere e dovere di gestione del rischio, a partire dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP)[22].

E’ quest’ultima una figura con ben differenti funzioni, in grado di fornire un apporto tecnico, al datore di lavoro, per consentirgli di adempiere correttamente l’obbligazione di sicurezza, tanto che, se dipendente dell’impresa, non può assumere la veste di RLS. Alla luce delle finalità collaborative e consultive ad esso riservate si spiega la scelta del legislatore di non predisporre a suo carico sanzioni penali dirette in caso di violazione dei suoi compiti, dato che non ha poteri di intervento per attuare le norme di prevenzione. Ciò, peraltro, non significa che il RSPP agisca nell’impunità qualora l’omesso o inadeguato assolvimento di un compito risulti causalmente rilevante nella produzione dell’evento lesivo; al contrario egli sarà penalmente e civilmente responsabile ed il datore di lavoro potrà rivalersi nei suoi confronti[23].

Le affinità tra RLS e RSPP sono evidentemente modestissime, ma quanto appena ricordato consente di sottolineare come la mancanza di sanzioni penali per meri reati di pericolo non impedisca di far emergere la responsabilità di un soggetto (nella specie il RSPP) nella causazione di un evento quando abbia omesso comportamenti doverosi.

Con precipuo riferimento al RLS, si deve considerare, da un lato, l’evoluzione legislativa in precedenza ricostruita ed in particolare l’importanza che tale figura sempre di più assume nella predisposizione di un efficace sistema di prevenzione e riduzione dei rischi. Dall’altro, la rubrica dell’art. 50, d. lgs. n. 81/2008 è sostanzialmente neutra o, comunque, non impedisce di ricostruire il contenuto della norma alla luce del tenore letterale e della ratio di quest’ultima. Al riguardo riesce difficile pensare che, per lo meno, alcune delle “attribuzioni” elencate non impongano anche obblighi al RLS, tanto più che la titolarità degli interessi tutelati è superindividuale, ovvero collettiva e pubblica[24].

In special modo, si può osservare come talune attribuzioni vedano il RLS destinatario di condotte che spetta al datore di lavoro porre in essere, come consultarlo, informarlo e formarlo, senza che gravi sul RLS l’obbligo dell’iniziativa (lett. b, c, d, e, f, g).

Al contrario, negli altri casi l’iniziativa è affidata al RLS. Soltanto il “ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro” (lett. o) sembra lasciato alla sua piena discrezionalità (“può fare ricorso”). L’accesso ai luoghi di lavoro (lett. a), la promozione dell’elaborazione, dell’individuazione e dell’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori (lett. h), la formulazione di osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti (lett. i), la partecipazione alla riunione periodica annuale per fare il punto sui rischi presenti in azienda e sugli interventi necessari per eliminarli o ridurli al minimo (lett. l), la presentazione di proposte in merito all’attività di prevenzione (lett. m) sono certamente oggetto di poteri. Tuttavia, alla luce dell’importanza conferita dai legislatori eurounitario ed italiano alla partecipazione equilibrata in funzione prevenzionistica[25] e del crescendo di tali prerogative, che confluiscono nella previsione secondo cui il RLS “avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività” (lett. n), si deve riconoscere che vengono in rilievo anche doveri. Del resto, nel rimetterne la determinazione delle modalità di esercizio alla contrattazione collettiva nazionale, lo stesso legislatore al terzo comma dell’art. 50 parla espressamente di “funzioni”. Di conseguenza, anche se non sono previste sanzioni penali a carico dei RLS e non si arriva a sostenere che essi sono investiti di una posizione di garanzia e che sono tenuti ad “un dovere di protezione e di controllo, finalizzati a impedire un evento” finale (le lesioni o la morte)[26], non si può escludere la responsabilità nel “caso <<limite>> di infortunio causalmente connesso al comportamento doloso o colposo tenuto dal rappresentante per la sicurezza”[27], specie quando “attiene al <<flusso informativo aziendale>> e, cioè, alla completa rappresentazione al datore di lavoro dei rischi emergenti nell’attività quotidiana”[28]. Cosicché la sentenza della Cassazione penale n. 38914 del 2023 perviene a conclusioni tutto sommato condivisibili[29] o, quanto meno, non sorprendenti per il giuslavorista.

Prof. Carlo Zoli

Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Bologna


[1] Cfr. Lai, Le attribuzioni e le responsabilità del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in Lavoro Diritti Europa, 2024, n. 2, p. 6. V. anche diffusamente Focareta, del Vecchio, Nota di commento alla sentenza della Corte di Cassazione penale n. 38914 del 25.9.2023, in corso di pubblicazione in RGL News, che ricostruiscono il contenuto della sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Bari per affermare, con riguarado a quella fatta propria dalla Suprema Corte, che “non si tratta di una regola estendibile ad ipotesi generali, né di una condotta tipizzata nel reato, ma di un caso particolarissimo che, nella ipotesi considerata, ha rivelato la assoluta inerzia dell’imputato per a fronte di plurime segnalazioni del pericolo”.

[2] Cfr. analogamente Contri, Note a margine di un’inedita (e discussa) condanna del RLS per omicidio colposo, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2023, n. 2, p. 33, nota 1.

[3] Cfr. Pascucci, Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2023, n. 2, p. 1 ss.; Lai, Le attribuzioni e le responsabilità del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cit., p. 2 ss.; F. Malzani, Il ruolo del RLS tra partecipazione, effettività e responsabilità, in Lav. giur., 2024, p. 338 ss.; Ingrao, Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Storia, funzioni e responsabilità penale, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2023, n. 2, p. 15 ss.; Brambilla, Alcune riflessioni critiche sul riconoscimento della responsabilità penale in capo al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza in caso di morte o lesioni del lavoratore, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2023, n. 2, p. 48 ss.; S. Tordini Cagli, Capitolo III. I soggetti responsabili, in D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini (a cura di), Sicurezza sul lavoro. Profili penali, Giappichelli, 2023, p. 134; Contri, op. cit., p. 33 ss., il quale, peraltro, distingue l’attribuzione di diritti a favore del RLS dalle prerogative, sempre elencate dall’art. 50, d. lgs. n. 81/2008, che invece escludono “la mera facoltativià del loro esercizio” (sul punto p. 37). Al riguardo v. infra, § 4.

[4] Cfr. amplius Zoli, Sicurezza del lavoro: contrattazione e partecipazione, in Riv. giur. lav., 2000, I, p. 614 s.

[5] Cfr., fra gli altri, G.G. Balandi, Individuale e collettivo nella tutela della salute nei luoghi di lavoro: l’art. 9 dello Statuto, in Lav. dir., 1990, p. 222 ss.

[6] Cass. 13 settembre 1982, n. 4874, in Giust. Civ., 1983, I, 182

[7] Sia consentito rinviare ancora a Zoli, op. cit., p. 617.

[8] Così Montuschi, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, 2° ed., 1980, p. 185.

[9] Così Ghezzi, Commento all’art. 9, in Ghezzi, Mancini, Montuschi, Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori, Zanichelli, 1972, p. 161.

[10] Così Zoli, op. cit., p. 617 s. Cfr. anche Natullo, Rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali in azienda, in Arg. dir. lav., 1997; Tampieri, Sicurezza sul lavoro e modelli di rappresentanza, Giappichelli, 1999, p. 37;

[11] Così Renga, Modello sindacale di tutela della salute nei luoghi di lavoro dal dopoguerra agli anni novanta, in Lav. dir., 1994, p. 635.

[12] Cfr., tra gli altri, Natullo, La tutela dell’ambiente di lavoro, Utet, 1995, p. 223; Caruso, L’Europa, il diritto alla salute e l’ambiente di lavoro, in Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza: per una gestione integrata dei rischi da lavoro, Giappichelli, 1997, p. 21; Roccella, Treu, Diritto del lavoro dell’Unione europea, Cedam, 2016, p. 374 ss.

[13] Così Buoso, Principio di prevenzione e sicurezza sul lavoro, Giappichelli, 2020, p. 55.

[14] Cfr. Zoli, Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in La nuova sicurezza sul lavoro. Commentario diretto da Luigi Montuschi, I, Principi comuni a cura di C. Zoli, Zanichelli, 2011, p. 513. Cfr. analogamente Campanella, I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, in Zoppoli L., Pascucci, Natullo (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Commentario al D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Ipsoa, 2008, p. 403; Buoso, op. cit., p. 57.

[15] Così Cagetti, Art. 50, in De Luca Tamajo, Mazzotta, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Wolters Kluwer, Cedam, 2022, 7° ed., p. 1907.

[16] Sottolinea, peraltro, che, per ora, “le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza, pur molto diffuse, non sono riuscite ad esercitare bene il loro ruolo, incidendo poco sull’effettiva prevenzione anche per l’insufficiente grado di formazione che ha portato loro la scarsa considerazione da parte di datori di lavoro e dirigenti” Menghini, Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza dall’art. 9 dello Statuto alla prevenzione del Covid.19: riaffiora una nuova “soggettività operaia”, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2023, p. 46. Cfr. anche F. Malzani, op. cit., p. 343; A. Rota, La dimensione partecipativa nella prevenzione dei rischi da sostanze chimiche, in corso di pubblicazione in Lav. dir.

[17] Così Zoli, Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cit., p. 519.

[18] Sul punto cfr. Cagetti, op. cit., p. 1906.

[19] Così Lai, I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi paritetici, in Rusciano, Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro. Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, Utet, 2009, VIII, p. 292.

[20] Cfr. .Ingrao, Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza…, cit., p. 34 ss.; Pascucci, Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS, cit., p. 3; F. Malzani, Il ruolo del RLS …, cit., p. 338 ss.. Anche Cass. pen. 19 ottobre 2017, n. 48286 ha escluso che possa parlarsi di obblighi con riguardo alle “attribuzioni” del RLS, anche considerando che, con riguardo ai datori di lavoro, si parla espressamnete di “obblighi”. Peraltro nel caso esaminato venivano in rilievo la valutazione dei rischi e l’adozione delle opportune misure per prevenirli, così come la formazione dei lavoratori, “funzioni che restano entrambe appannaggio esclusivo del datore di lavoro”. “Né questi precisi obblighi potrebbero essere, neppure in astratto, oggetto di delega al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza perché, altrimenti, si verificherebbe una commistione di funzioni tra di loro inconciliabili”.

[21] Cfr. Lazzari, Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, in Zoppoli L., Pascucci, Natullo (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori, cit., p. 356 ss.

[22] Cfr. ancora Lazzari, op. cit., p. 358.

[23] Cfr. Antonucci, Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in Problemi della sicurezza nei luoghi di lavoro, in Quaderni Arg. dir. lav., 2003, p. 163. In giurisprudenza cfr., fra le tante, Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2018, n. 4941 e Cass. pen., sez. IV, 25 giugno 2021, n. 24822.

[24] Cfr. Tampieri, Sicurezza sul lavoro e modelli di rappresentanza, cit., p. 115 ss.; Buoso, op. cit., p. 54; Gragnoli, La responsabilità penale dei lavoratori per la sicurezza, in Dir. rel. ind., 2024, p. 488 s.

[25] Sottolinea che “i suoi interventi sono … strumentali al miglioramento delle strategie di prevenzione, seppure con la rappresentazione del punto di vista dei dipendenti” Gragnoli, op. cit., p. 489. A sua volta Buoso, op. cit., p. 57 rileva che “la parola prevenzione è utilizzata ben sette volte, a significare la compartecipazione al disegno prevenzionale in tutti i suoi passaggi più significativi; si tratta, d’altra parte, di una funzione sindacale che potrebbe costituire un <<incentivo per le organizzazioni dei lavortori a impegnarsi fattivamente e non solo teoricamente>>”, citando nell’ultimo passaggio Ales, L’articolo 9 dello Statuto dei lavoratori alla luce della legislazione più recente in materia di salute e sicurezza: partecipazione o controllo?, in Riv. it. dir. lav., 2011, I, p. 70.

[26] Ed in effetti, come anticipato al § 1, Cass. pen.,, sez. IV, 25 settembre 2023, n. 38914, cit. non lo fa.

[27] E’ la conclusione cui ero già pervenuto in Zoli, Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cit., p. 519.

[28] Così Gragnoli, op. cit., p. 489.

[29] Cfr. analogamente Gragnoli, op. cit., p. 486; contra.cfr. gli aa. citt. alla nota 3.