Considerazioni a margine di Cass., Sez. IV, 7 maggio 2024, n. 30616 (dep. 26 luglio 2024).
1. Introduzione. I fatti. 2. Una breve scheda sui numerosi profili di interesse trattati nella sentenza. 3. Il problema teorico della descrizione dell’evento. 4. L’evoluzione della giurisprudenza. La tesi tradizionale della “situazione di danno”. 5. Segue. La tesi minoritaria dell’evento concreto. 6. Segue. La tesi della classe di evento: le sentenze Marchesini, Thyssenkrupp e Viareggio. 7. La descrizione dell’evento nella sentenza Torre Piloti. Conferme e puntualizzazioni. 8. Conclusioni: un tendenziale avvicinamento tra prassi e teoria sul reato colposo.
1. Introduzione. I fatti.
La sentenza da cui scaturiscono le seguenti considerazioni tratta della definizione del secondo filone processuale legato al crollo della torre piloti del porto di Genova che ha provocato il decesso di nove persone e lesioni personali a quattro persone. I fatti possono essere così sinteticamente riepilogati.
Il 7 maggio 2013, all’interno del Porto di Genova, in località Molo Giano la nave Jolly Nero, in fase di manovra nello specchio acqueo dell’avamporto, nel compiere l’evoluzione che le avrebbe permesso di avviarsi verso l’uscita di Levante, urtava contro la struttura denominata Nuova Torre Piloti, determinandone il crollo, con la morte e il ferimento delle persone ivi addette.
Il primo processo scaturito da tale evento ha riguardato la posizione dei membri dell’equipaggio i quali sono stati riconosciuti, con sentenza definitiva, penalmente responsabili dei fatti[1].
Il secondo, che qui più interessa, concerne la posizione dei progettisti, accusati di aver concorso alla causazione del crollo e degli omicidi in quanto non avevano tenuto conto, in sede di progetto, di dotare la Torre Piloti di protezioni in adiacenza ad un’area di manovra ed evoluzioni delle navi in violazione di specifiche circolari del Ministero dei Lavori pubblici. Erano altresì imputati per i medesimi titoli di reato il tecnico componente nella Commissione relatrice del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici che aveva approvato il predetto progetto, nonché l’ufficiale comandante della Capitaneria di Porto, perché non aveva eliminato il rischio di incidenti per la torre in caso di avarie o errori di manovra delle navi nella sua qualità di direttore marittimo e capo compartimento marittimo ai sensi dell’art. 17 del codice della navigazione, nonché di datore di lavoro dei militari della Capitaneria di Porto di Guardia Costiera di Genova vittime del disastro, e infine la medesima contestazione veniva elevata al datore di lavoro della Corporazioni Piloti in relazione ai lavoratori coinvolti nel crollo.
Nel processo di primo grado, il Tribunale di Genova affermava la responsabilità dei progettisti per una colposa sottovalutazione dei rischi per la sicurezza dell’edificio. Nello specifico, si affermava che l’evento di urti di navi contro strutture portuali era prevedibile, e altrettanto prevedibili erano gli ordinari fattori di causazione degli urti (ossia l’errore umano e la avaria delle macchine che avevano verificato il disastro nel caso concreto). Il giudizio di prevedibilità in concreto alla luce del parametro dell’agente modello veniva dunque compiuto sulla classe di evento individuata nell’urto di navi contro le strutture portuali determinato da errore umano o avaria delle navi in manovra in fase di ormeggio e in fase di evoluzione. La medesima sottovalutazione veniva ascritta, in ragione delle rispettive qualifiche anche al componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, al Comandate del Porto, nonché ai datori di lavoro, questi ultimi in quanto obbligati a garantire la solidità e stabilità dei luoghi di lavoro anche con riferimento alle “caratteristiche ambientali”, le quali ricomprenderebbero anche tutte le possibili azioni esterne che possono operare sull’edificio (come, appunto, il rischio di urti della navi in manovra).
In appello la Corte ligure riformava la sentenza negando la configurabilità del reato per mancanza dell’elemento soggettivo, difettando la prevedibilità dell’evento. In particolare, i giudici di appello hanno rilevato l’erroneità della classe di evento ricostruita in primo grado ravvisandola non nel generico urto di navi contro le strutture portuali, ma nel rischio di urto nei casi di manovre di evoluzione in bacini con quelle caratteristiche, finendo poi per escludere la prevedibilità dell’evento così descritto.
Giunto in Cassazione, su ricorso della Procura Generale e delle parti civili, la Corte di legittimità ha rigettato i ricorsi, confermando la pronuncia di assoluzione della Corte di appello.
La decisione della Suprema Corte, come ci apprestiamo a vedere, presenta plurimi profili di interesse per lo studioso, trattando numerosi aspetti cruciali nella teorica del reato colposo. Non potendo qui dedicare un’approfondita attenzione a tutti questi punti ci si soffermerà solo su uno: il tema della descrizione dell’evento nel giudizio di prevedibilità che, come già emerso dalla breve ricostruzione della vicenda giudiziaria, ha avuto un ruolo significativo nella decisione del caso concreto. Nondimeno, prima di diffondersi su tale aspetto, pare comunque utile evidenziare al lettore le altre questioni affrontate, sì da fornire una scheda che possa accompagnare la lettura della sentenza.
2. Una breve scheda sui numerosi profili di interesse trattati nella sentenza.
Vertendosi in materia di responsabilità omissiva colposa per il reato di cui all’art. 589 c.p., la Corte si è dovuta confrontare con numerosi profili teorici del reato colposo, fornendo risposte che seppur non inedite si segnalano per il rigore e per la volontà di dar seguito a recenti affermazioni giurisprudenziali che hanno rappresentato un’evoluzione nel panorama interpretativo sulla colpa.
Si indicheranno di seguito sei punti, meritevoli, a parere di scrive, di particolare attenzione.
Il primo è proprio quello della individuazione dell’evento nell’ambito del giudizio di prevedibilità, si tratta della tematica della c.d. descrizione dell’evento che sarà analizzata approfonditamente nei prossimi paragrafi.
Il secondo concerne la teoria dell’agente modello. È noto il dibattito in dottrina sull’attuale validità del ricorso a tale parametro nell’ambito dei giudizi di colpa generica[2], in particolare sulla possibilità di ricorre all’agente modello per ricavare la regola cautelare (secondo la prospettiva deontica)[3] oppure trarre quest’ultima dalla prassi esistente nel settore di riferimento (secondo la concezione c.d. prasseologica)[4]. La sentenza, tuttavia, non entra in tale dibattito limitandosi a ribadire la validità del parametro dell’agente modello nel giudizio di prevedibilità in concreto, logicamente successivo alla individuazione della regola cautelare che si assume violata[5].
Il terzo attiene alla individuazione della regola cautelare di fonte non scritta[6]. Si sottolinea che l’individuazione della regola cautelare non scritta che si assume violata non debba essere frutto di un’elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata ex post ad evento avvenuto. L’affermazione si pone in scia a diverse recenti decisioni che negli ultimi anni hanno evidenziato il rischio di creazioni giudiziali della regola cautelare viziate dalla logica del senno di poi[7].
Il quarto riguarda la tematica della prevedibilità dell’evento raro[8]. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che«in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, nel caso in cui la lavorazione comporti un numero elevato di azioni ripetitive, è obbligo del datore di lavoro, quale titolare della posizione di garanzia, prevenire il concretizzarsi di rischi riguardanti la verificazione anche di un “evento raro” la cui realizzazione non sia però ignota all’esperienza e alla conoscenza della scienza tecnica e, una volta individuato il rischio, predisporre le misure precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l’evento»[9]. Nella decisione in esame la Corte respinge il tentativo della Procura generale di estendere il principio ad ogni ambito della colpa, rimarcando che esso debba essere confinato all’ambito della prevenzione degli infortuni sul lavoro e agli obblighi del datore di lavoro relativi alla previsione, e conseguente reazione, del documento di valutazione dei rischi specifici di ogni lavorazione eseguita nell’ambito dell’impresa.
Il quinto aspetto degno di nota è l’affermazione chiara del duplice giudizio causale in tema di responsabilità omissiva[10]. Si tratta di un tema che, pur essendo non particolarmente controverso sul piano teorico, non sempre trova una attuazione sul piano pratico. La sentenza ha allora il merito di ricordare che in materia di reato omissivo improprio, il giudizio controfattuale, imponendo di verificare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento (c.d. giudizio predittivo), richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è effettivamente accaduto (c.d. giudizio esplicativo), per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta. Del resto, solo dopo aver accertato cosa è realmente avvenuto è possibile chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la condotta doverosa[11].
Il sesto profilo concerne lo specifico ambito dell’aggravante per la violazione della normativa antinfortunistica[12]. Al riguardo, si ribadisce anzitutto che l’aggravante in parola ricorre allorquando venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno di lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e che l’evento sia concretizzazione del rischio lavorativo, non essendo all’uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa. Viene poi affrontato lo specifico tema concernente le regole cautelari ricavabile dagli artt. 63 e 64 del d.lgs. 81/2008, la contestazione d’accusa infatti assumeva che da tali disposizioni si ricavava l’obbligo per il datore di lavoro di valutare (e prevenire) anche i rischi derivanti da fattori esterni, capaci di compromettere la stabilità e solidità dei luoghi di lavoro (come, appunto, un urto di una nave con la struttura adibita a luogo di lavoro). Su questo punto la Corte, confermando quanto già affermato in sede di appello, ha stabilito, che gli articoli 63 e 64, letti in combinato disposto con l’All. IV del medesimo TU consentono di escludere che le prescrizioni ivi indicate siano dirette alla protezione dei lavoratori da rischi provenienti da fattori esterni al luogo in cui si svolge l’attività lavorativo, essendo rivolte solo ai rischi derivanti da cause interne[13].
Svolta questa breve panoramica sulla sentenza[14], ci concentriamo ora sul tema oggetto di interesse nel presente lavoro: la descrizione dell’evento ai fini del giudizio di prevedibilità.
3. Il problema teorico della descrizione dell’evento.
Il primo passo per compiere un giudizio a posteriori concernente la verificazione di un evento è individuare l’evento oggetto dell’accertamento. Ciò vale anzitutto sul piano della causalità: per comprendere se una condotta sia causa di un evento è imprescindibile la previa determinazione dell’evento. Parimenti, sul piano della colpa, quando si tratta di valutare la prevedibilità dell’evento è necessario chiarire quale evento debba essere considerato prevedibile. Si tratta di un passaggio del giudizio che la dottrina ha studiato e tematizzato sotto la formula “descrizione dell’evento”.
L’argomento è stato affrontato dalla dottrina italiana principalmente nel campo della causalità[15]. Imprescindibile sul punto è l’opera di Federico Stella, La descrizione dell’evento, del 1970 in cui così si presentava il problema: «per stabilire se ad un’azione compete la qualifica di condizione dell’evento si deve prima «descrivere» con esattezza il risultato naturalistico cui ci si riferisce, ossia scegliere fra queste alternative: 1) descrizione che ricalca la raffigurazione astratta (dell’evento) racchiusa nella norma («morte», «danneggiamento», «lesioni» ecc.) 2) descrizione dell’evento in tutta la sua storica concretezza; 3) descrizione di talune concrete modalità dell’evento (c.d. modalità rilevanti)»[16].
È noto che sul piano della casualità il nodo è stato da tempo sciolto nel senso dell’evento concreto che si verifica hic et nunc[17]. Sul terreno della colpa il quadro dell’elaborazione teorica e, soprattutto, dell’applicazione pratica è meno stabile.
La questione che si pone, come già anticipato, è quella di comprendere quale sia l’evento da porre al centro del giudizio di prevedibilità: l’evento astratto, l’evento concreto in tutte le sue particolarità o l’evento concreto senza però considerare ciascuna minuta articolazione? E ancora, deve essere incluso nella fase di ri-descrizione dell’evento anche il decorso causale reale?
Il punto è assai rilevante sul piano pratico giacché, come rilevato da più parti[18], a seconda dei criteri prescelti per descrivere l’evento dipende l’esito del giudizio di responsabilità, secondo una relazione di proporzionalità inversa: minore è l’attenzione ai dettagli dell’evento e maggiore sarà lo spettro di prevedibilità dello stesso e quindi le possibilità di un rimprovero colposo; viceversa, maggiore è il grado di precisione e il richiamo alle particolarità del caso concreto hic et nunc e minore sarà l’area di prevedibilità e di responsabilità[19].
Questo problema, non risolto nel lavoro di Stella[20], è stato ripreso approfonditamente dalla letteratura italiana negli ultimi vent’anni del secolo scorso[21].
Oggi la dottrina è concorde nel ritenere che l’evento al centro del giudizio di prevedibilità debba essere l’evento concreto[22]. Peraltro, è utile ripercorre lo sviluppo della teoria in discorso.
Inizialmente, la dottrina che si era dimostrata sensibile al tema metteva in evidenza come non si potesse prescindere dagli sviluppi effettivi per affermare o negare la prevedibilità di un evento[23].
La successiva riflessione ha preso le mosse dal concetto di prevedibilità. Si è osservato che il giudizio di prevedibilità altro non è se non la previsione di eventi simili e dunque di eventi che hanno in comune con il risultato concretamente prodottosi determinate caratteristiche. Pertanto, appurare se un evento è prevedibile implica anzitutto operarne una generalizzazione, nella quale includere soltanto certe sue particolarità con esclusione di altre[24]. In questo senso, si è ravvisata una somiglianza con il giudizio probabilistico[25], il quale è formulabile solo in relazione ad eventi considerati come classi, ottenute attraverso un processo di generalizzazione[26].
In altri termini, si afferma che per svolgere il giudizio di prevedibilità non si possa prescindere da una generalizzazione; ma questo, si badi, non significa rifarsi all’evento astratto, dovendo sempre muovere dall’evento concreto che viene poi generalizzato al fine di ricondurlo ad una classe di evento.
Ciò chiarito, il problema, affatto marginale, è quello di comprendere secondo quali criteri procedere alla generalizzazione dell’evento, stabilire cioè quali particolarità inveratesi nel caso concreto debbano essere incluse nella descrizione[27].
A questi interrogativi la dottrina ha cercato di fornire risposta, anche traendo spunto dai casi emersi nella prassi.
Si è rilevato che nella descrizione dell’evento non possono non essere considerate le note essenziali del decorso causale effettivamente realizzatosi, correndo altrimenti il rischio di addebitare all’agente che in re illicita versatur tutte le conseguenze lesive causalmente ricollegabili alla sua azione, così però sconfinando nella responsabilità oggettiva[28]. Tale soluzione, si osserva, sarebbe imposta dalla funzione delle regole di diligenza, invero queste ultime non sono concepite per impedire un evento tout court, bensì determinate modalità di causazione dell’evento stesso[29]. Ciò si lega al tema della concretizzazione del rischio, ossia il principio secondo cui l’evento colposo deve costituire la realizzazione del rischio, prevedibile ex ante, che la regola di diligenza mira a prevenire. In questo senso, se occorre la realizzazione del rischio tipico della regola cautelare e se quest’ultima si costruisce sulla base della prefigurabilità di decorsi causali tipici, nella descrizione dell’evento da parte del giudice sarà necessario tenere in considerazione quegli anelli causali intermedi sussumibili in una generalizzazione causale[30]. In particolare, si tratta «di selezionare gli anelli causali (o le modalità dell’evento) di cui è necessario accertare la presenza nell’ambito dell’accadimento concretamente prodottosi, determinando altresì a quali condizioni la loro successione all’interno del decorso causale configuri effettivamente l’evento “finale” come realizzazione del rischio in considerazione del quale la condotta era stata vietata»[31]. Del resto, si osserva, che «le norme prudenziali sono immediatamente dirette alla prevenzione di un sotto-evento o evento intermedio, (specifico) che a sua volta evoca una possibile correlazione causale con l’evento finale (giocoforza generico: “morte”; “lesioni”) contenuto nella norma penale»[32].
In definitiva, ai fini della ridescrizione dell’evento non sarà necessario, come invece avviene sul piano della spiegazione causale, considerare «quegli accadimenti ed aspetti ripetibili, mancando i quali si dovrebbe dire che un evento del tipo previsto dalla norma non si sarebbe verificato hic o non si sarebbe verificato nunc»[33], «ma esclusivamente – e comunque tutti – quegli accadimenti e aspetti che sono tipici in base alla regola cautelare»[34], in modo che sia consentita la verifica di conformità ai modelli di comportamento in essa previsti[35]. Si ritiene pertanto che non ogni modalità realizzativa dell’accadimento debba essere presa in considerazione, tuttavia, si rimarca che l’oggetto del giudizio di prevedibilità debba essere desunto dalla realtà effettuale[36].
In breve: per svolgere il giudizio di prevedibilità si deve descrivere l’evento partendo dall’accadimento concreto senza però considerare tutte le sue particolarità, ma solo (e tutti) quegli aspetti che sono tipici in base alla regola di diligenza che si assume violata.
Tale prospettiva è stata ribadita anche dalla dottrina più recente la quale ha posto in evidenza che «l’evento da avere di mira è bensì quello verificatosi hic et nunc, ma esso dovrà ricomprendere, in sede di ridescrizione, soltanto gli aspetti ripetibili del decorso causale, visto che il giudizio di prevedibilità per poter funzionare deve comunque snodarsi attraverso “generalizzazioni” che consentano di formulare una prognosi (ex ante) circa la probabile riconduzione dell’evento alla condotta inosservata»[37].
La posizione compatta della dottrina nel senso dell’evento concreto per lungo tempo non ha trovato, salvo rare eccezioni, accoglimento nella giurisprudenza[38]. Tuttavia, come ci apprestiamo a vedere, la situazione è mutata nella giurisprudenza degli ultimi lustri.
4. L’evoluzione della giurisprudenza. La tesi tradizionale della “situazione di danno”.
È bene mettere subito in evidenza che si è assistito ad un’evoluzione nella interpretazione della Corte di legittimità con il passaggio da una descrizione che si allontanava molto dall’evento concreto, fino a prescinderne totalmente, ad un’impostazione, più recente, che pone l’evento concreto al centro del giudizio di prevedibilità. Ripercorriamo sinteticamente questo sviluppo.
La tesi tradizionale vuole che, ai fini del giudizio di prevedibilità, si consideri la potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione “ex ante” dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione[39].
La vicenda giudiziaria che viene considerata genetica di questo indirizzo interpretativo è quella del disastro del Vajont. Nella sentenza della Corte di Cassazione si legge che ai fini del giudizio di prevedibilità dell’evento è sufficiente la prevedibilità della situazione di danno o di pericolo, a prescindere dalla rappresentazione ex ante dell’evento hic et nunc[40].
La distanza dalla posizione dottrinale è netta: non si guarda all’evento concreto, ma a quello generico indicato come “situazione di danno o di pericolo”.
Tale impostazione ha trovato largo seguito in giurisprudenza nei decenni successivi[41]. Un altro importante caso giudiziario in cui viene riaffermato il principio secondo cui la prevedibilità deve essere indagata sul piano astratto è il disastro di Stava, nella nota sentenza Bonetti[42].
Terreno d’elezione per l’applicazione dell’orientamento in esame sono state altresì le vicende giudiziarie concernenti la responsabilità colposa nell’ambito delle attività produttive e dell’esposizioni professionali a sostanze tossiche[43].
Capofila di questa serie di pronunce è senz’altro la sentenza sul Petrolchimico di Porto Marghera[44]. Non potendo qui soffermarsi sulla storia del caso, ci si può limitare a ricordare che il procedimento aveva ad oggetto la morte di alcuni operai addetti alla lavorazione del cloruro di vinile monomero e del cloruro di polivinile. Il Tribunale di Venezia aveva assolto gli imputati per carenza di prevedibilità in concreto dell’evento, giacché le regole cautelari vigenti al momento erano volte a prevenire patologie meno gravi e non quello specifico legato alle patologie tumorali maligne (angiosarcoma epatico) nel concreto verificatosi. La Corte d’appello di Venezia, ribaltando la decisione aveva invece condannato gli imputati riconoscendo la prevedibilità dell’evento, inteso però, non quale evento concreto, ma quale generica “situazione di danno”. La Cassazione confermava la sentenza di condanna d’appello ribadendo che «ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione».
È interessante notare che nel riaffermare tale principio la Suprema Corte si è dimostrata consapevole della diversa posizione espressa dalla dottrina la quale, come visto, si era già espressa criticamente contro tale indirizzo. La questione viene così presentata in sentenza: «per ritenere esistente la colpa dell’agente è necessario che il medesimo si sia rappresentato – o fosse in grado di rappresentarsi – tutte le specifiche conseguenze della sua condotta derivanti dalla violazione delle regole cautelari o di prevenzione, o è sufficiente che fosse in grado di rappresentarsi una categoria di danni sia pure indistinta, una potenzialità lesiva del suo agire che avrebbe dovuto convincerlo ad astenersi o ad adottare più sicure regole di prevenzione?». Ebbene, la Corte risponde all’interrogativo ritenendo corretta la seconda soluzione e ciò sulla scorta di una pluralità di ragioni[45]. Non si dispone qui dello spazio per ripercorre tali argomentazioni, tuttavia, basta osservare che si tratta di motivi ancorati al merito della vicenda scrutinata, senza un reale confronto con la teorica dell’“evento concreto”.
Altro caso degno di nota in questa disamina è il disastro di Sarno, vicenda concernente la responsabilità di un sindaco e di un assessore per il delitto di omicidio colposo plurimo in relazione alla morte di 137 persone cagionata dalla caduta di devastanti colate di fango – provocate da intense precipitazioni piovose – che investirono nel maggio del 1998 il centro abitato campano[46]. In tale decisione la Corte si diffonde nella disamina dei principali profili del reato colposo, ribadendo, sul piano della prevedibilità, che l’attenzione vada rivolta alla (sola) potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno, a prescindere dalla specifica rappresentazione dell’evento concreto.
L’orientamento sin qui tratteggiato è stato criticato da più parti in dottrina. In particolare, si è messo in evidenza come esso finisca per degradare l’evento a una mera condizione obiettiva di punibilità, senza cogliere le differenze strutturali e valoriali che sussistono tra responsabilità colposa e responsabilità oggettiva[47]. Proprio per tali ragioni, altra parte della dottrina ha invocato il costituzionale principio di colpevolezza quale canone che imporrebbe al giudice di includere il decorso causale, nei limiti in cui può ricostruirlo attraverso leggi di copertura, nell’oggetto del giudizio di prevedibilità[48].
Malgrado le critiche dottrinali, l’orientamento dell’evento generico è stato confermato in numerosi arresti successivi[49], sebbene, ma questo lo vedremo tra poco, aveva iniziato ad affacciarsi, in seno alla Quarta Sezione della Corte di Cassazione, un diverso orientamento. Peraltro, prima di analizzare tale indirizzo, va segnalato che già tra gli anni ’80 e ’90 aveva trovato spazio nella giurisprudenza di merito e di legittimità, una lettura (minoritaria) che ancorava il giudizio di prevedibilità all’evento concreto.
5. Segue. La tesi minoritaria dell’evento concreto.
Si colloca in questo alveo la sentenza sul caso dell’esplosione dell’Etna[50]. La decisione aveva ad oggetto la morte di nove turisti che, dopo pochi giorni di quiete seguita ad un periodo di intensa attività eruttiva dell’Etna, erano stati accompagnati da alcune guide locali fino ai crateri centrali del vulcano per un’escursione: qui erano stati improvvisamente investiti da materiale lavico che era violentemente fuoriuscito da una voragine. In primo grado, il Tribunale di Catania condannava gli imputati[51]. In appello veniva pronunciata sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, avendo ritenuto, in applicazione della teoria della causalità umana, che l’esplosione del vulcano avesse interrotto il nesso eziologico tra le condotte e l’evento letale.
Investita del ricorso la Suprema Corte riconosceva anzitutto la sussistenza del nesso causale (disconosciuto in sede di appello). Quanto al tema della prevedibilità operava una ridescrizione dell’evento non come generico “evento letale” (come individuato nei gradi precedenti) ma, guardando al reale decorso causale, come “morte per investimento da lapilli provenienti da esplosione di vulcano attivo”, concludendo nel senso della imprevedibilità in concreto di un siffatto evento[52].
Questa decisione ha trovato eco in un’interessante pronuncia della giurisprudenza di merito, chiamata a giudicare sulla morte di dodici sciatori dovuta ad una valanga di neve caduta mentre sciavano lungo una pista sottostante al Monte Bianco[53]. Nella sentenza di primo grado veniva riconosciuta la responsabilità colposa degli imputati (soggetti responsabili della società che gestiva la pista) per aver sottovalutato i segnali di allarme rappresentanti dalle pregresse precipitazioni nevose e dalle condizioni meteorologiche (con previsto rischio di caduta di valanghe). Il tribunale, tuttavia, non si era soffermato sulle cause di produzione dell’evento, descrivendo l’evento genericamente come “evento valanghivo”. In appello la corte territoriale ha censurato un simile approccio osservando come il giudizio di prevedibilità vada compiuto facendo riferimento allo specifico decorso causale sfociato nell’evento terminale, concludendo, nel caso concreto, per la imprevedibilità dell’evento[54].
6. Segue. La tesi della classe di evento: le sentenze Marchesini, Thyssenkrupp e Viareggio.
Nel 2007 si registra un cambio di prospettiva sulla tematica della ricostruzione dell’evento in materia di responsabilità colposa[55]. Il caso che ha fornito alla Corte di legittimità l’occasione di tornare sul tema della descrizione dell’evento riguardava un infortunio sul lavoro verificatosi nel corso della realizzazione di un edificio con destinazione commerciale[56]. In questa pronuncia (sentenza Marchesini) la Corte si distacca dal concetto di situazione di danno, affermando che «la descrizione dell’evento non può discendere oltre un determinato livello di dettaglio e deve mantenere un certo grado di categorialità giacché un fatto descritto in tutti i suoi accidentali ragguagli diviene sempre, inevitabilmente, unico ed in quanto tale irripetibile ed imprevedibile. Occorre dunque fare riferimento alla classe di eventi in cui quello oggetto del processo si colloca»[57]. Dunque, si afferma che la descrizione dell’evento non deve avvenire sulla base dell’evento generico, ma neanche dell’evento concreto considerato in tutte le sue particolarità, dovendo aversi riguardo ad una classe di evento entro la quale è iscrivibile l’evento concreto.
Il tema viene in seguito ripreso e approfondito nella nota sentenza Thyssenkrupp che tra i tanti argomenti trattati dedica autonomo spazio anche alla problematica della descrizione dell’evento. In tale decisione le sezioni unite fanno propria la tesi della classe di evento, calandola nel caso concreto dei fatti accaduti nello stabilimento torinese. In quell’occasione sei lavoratori trovarono la morte a causa del propagarsi di un incendio; il quale però si caratterizzò specificamente per essere scaturito dal fenomeno noto come flash fire. Orbene, la Suprema Corte partendo da questo elemento significativo della sequenza causale ha concluso che il giudizio di prevedibilità andava svolto non su un generico evento di incendio, ma su un incendio determinato da flash fire.
Sebbene nelle sentenze appena viste non ci si pone in confronto con la posizione precedentemente (e talvolta anche sincronicamente) espressa dalla Corte di legittimità, il mutamento di prospettiva è innegabile. Prima si prescindeva dell’evento concreto, focalizzando la prevedibilità su un generico evento di danno. Ora, recependo le riflessioni della dottrina[58], si chiede di partire dall’evento concreto, per poi procedere ad una generalizzazione che tenga conto, non di tutte le minute articolazione della vicenda concreta, ma dei fattori ripetibili, suscettibili, dunque di essere sussumibili in una classe, al fine di scongiurare che il giudizio di prevedibilità si presenti con un esito scontato in un senso (riconoscimento della prevedibilità se guardato il mero evento astratto ) o nell’altro (disconoscimento della prevedibilità se osservata con riguardo all’evento concreto in tutte le sue particolarità).
In seguito, un ulteriore tassello nella ricostruzione è stato posto dalla sentenza di legittimità relativa al disastro ferroviario di Viareggio. La Quarta sezione nel collocarsi nel solco già tracciato nei precedenti appena esaminati ribadisce che il giudizio di prevedibilità non possa svolgersi né sull’evento astratto né su quello concreto considerato in tutti i suoi aspetti, dovendosi guardare alla classe di evento entro cui può essere iscritto lo specifico accadimento.
In quell’occasione, partendo dall’osservazione dell’evento concreto[59], si è quindi ritenuto che non venisse in considerazione un generico disastro ferroviario o delle morti genericamente definite ma l’uno e le altre fossero specificamente caratterizzati per l’essere stati causati dal deragliamento di un carro determinato dalla frattura di un assile, verificatasi perché il componente non era stato manutenuto correttamente, e dalla mancata esecuzione di controlli sulle vicende manutentive del carro e del suo componente.
In sintesi, il concetto di classe di evento permea oggi i giudizi di prevedibilità in materia colposa[60], nondimeno i suoi contorni non sono ancora pienamente definiti e la sentenza in esame soccorre in ausilio per tracciare meglio tale confine.
7. La descrizione dell’evento nella sentenza Torre Piloti. Conferme e puntualizzazioni.
In primo grado il Tribunale descriveva l’evento oggetto del giudizio di prevedibilità come “rischio di urti da parte delle navi contro le strutture portuali”. Si tratta di una descrizione che parte dall’evento concreto (morti e lesioni dovute al crollo di una struttura portuale cagionato dall’urto di una nave) e non si accontenta di verificare la prevedibilità di una generica situazione di danno. Parrebbe, a prima vista, porsi nel solco della giurisprudenza della classe di evento sopra illustrata. Senonché, lo si è anticipato in apertura, la decisione è stata riformata proprio su questo punto. Esporre le ragioni di merito a fondamento della decisione di appello, condivise e ribadite dalla Corte di Cassazione, consente di cogliere l’elemento di novità e di valore sistematico che si può trarre dalla sentenza in esame.
In appello la Corte ha rilevato che il Tribunale non avesse correttamente individuato l’evento, giacché esso non poteva essere ravvisato nel pericolo, astratto, di “urto navi-strutture portuali”, ma nel pericolo, concreto, di “urti tra navi in evoluzione nelle acque del porto di Genova e la Torre piloti collocata in testa al molo Giano”. In sostanza, si è rilevato che se non si descrive l’evento prendendo in considerazione anche il luogo in cui è avvenuto l’incidente si compie un giudizio di prevedibilità su un evento troppo generico.
Tale conclusione non condivisa dalla Procura Generale è stata sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, con la critica che la classe di evento, così individuata, peccherebbe in eccesso, venendo in rilievo una classe troppo concreta, che finisce per identificarsi proprio con l’evento realmente accaduto.
La Suprema Corte, investita del ricorso, analizza, in via preliminare, la giurisprudenza sul tema della descrizione dell’evento, richiamando e ribadendo l’orientamento della “classe di evento” sopra illustrato. Proprio sulla scorta di tali principi la S. C. ritiene di respingere la doglianza del ricorrente mettendo in evidenza come la corte territoriale abbia correttamente inserito nella descrizione dell’evento la tipologia di manovra eseguita la sera del tragico incidente (ossia la manovra di evoluzione nel bacino acqueo ove l’evoluzione poteva svolgersi) ed escluso, altrettanto correttamente, le altre differenti tipologie di manovra, tutte, in astratto, potenzialmente foriere di urti, come tutte potenzialmente foriere di potenziali rischi dovuti ad avaria o errore umano (come prospettato dal primo giudice). Si rimarca, inoltre, «che l’incidente concretamente avvenuto nel corso di una manovra di evoluzione, e nello spazio acqueo a ciò destinato, ha un proprio decorso causale diverso da quello che può innescarsi nel corso della esecuzione di un altro tipo di manovra e può richiedere l’adozione di cautele differenti, caratterizzandosi per un grado di pericolosità e di rischio differente». La Corte pone altresì l’accento sulla rilevanza del luogo dell’accadimento: «non può non assumere rilievo l’individuazione del luogo ove l’evento è accaduto, non potendosi prescindere, nel giudizio di prevedibilità, dal considerare la realtà morfologica, geografica e spaziale del luogo di verificazione del sinistro».
I passaggi qui riportati meritano particolare attenzione perché dimostrano come la Corte abbia ben colto l’inscindibile legame sussistente tra evento concreto e regola cautelare da tempo denunciato dalla dottrina come elemento ineludibile, ma spesso trascurato, nella fase di ridescrizione dell’evento.
Tali affermazioni, benché calibrate sul caso concreto, presentano una valenza di principio che ben si presta ad essere astratta dal contesto di riferimento per trarne un generale insegnamento per i giudici di merito chiamati a svolgere il giudizio di prevedibilità. In particolare, l’indicazione che si ricava è quella secondo cui, ai fini della descrizione dell’evento, occorre partire dell’osservazione dell’evento concreto hic et nunc, previa ricostruzione del decorso causale reale; inserire i fattori eziologici distintivi (o le modalità di verificazione dell’accadimento effettivo) suscettibili di generalizzazione, che siano però rilevanti alla luce della regola cautelare che si assume violata. In questo modo il giudizio sulla colpa sarà in grado di intercettare non tanto (e non solo) la prevedibilità in concreto dell’evento finale (che corrisponde all’evento tipico – ad esempio, la morte), ma soprattutto la prevedibilità dell’evento intermedio cui si ricollega la regola di diligenza, così da assicurare un giudizio soggettivo (e non solo astratto) di prevedibilità.
8. Conclusioni: un tendenziale avvicinamento tra prassi e teoria sul reato colposo.
Con questa pronuncia si consolida, quindi, una posizione della giurisprudenza che sembra ormai aver superato la tesi della prevedibilità calibrata sull’evento astratto[61], abbracciando la teoria dell’evento concreto, così avvicinandosi alla posizione della dottrina.
La questione qui analizzata sembra allora collocarsi in quei recenti sviluppi della giurisprudenza, non solo di legittimità, che hanno visto ridurre il divario esistente tra teoria e prassi in materia di reato colposo.
Si può infatti notare un progressivo avvicinamento della giurisprudenza alla struttura del reato colposo configurata, pur con differenze di vedute, dalla dottrina. Non solo il tema della prevedibilità e della descrizione dell’evento che la sentenza qui annotata ha rafforzato. Esemplificativo di tale tendenza è anche il tema della concretizzazione del rischio ormai entrato stabilmente nel patrimonio concettuale della giurisprudenza nei giudizi sulla responsabilità colposa[62]. Interessanti convergenze, inoltre, si colgono anche sul versante puramente soggettivo della colpa, a lungo rimasto in ombra nella prassi applicativa. Sul punto la giurisprudenza, ponendosi in ascolto della dottrina che più si è occupata del tema[63], ha disvelato l’autonomo valore dell’inesigibilità (o colpevolezza colposa) raffinando il giudizio di colpa con una lente più precisa, capace di dare rilievo a fattori soggettivi e psicologici, ad ipotesi di incapacità situazionali, non standardizzabili, ma accertabili nel singolo caso concreto, sì da consentire di giungere ad un rimprovero che sia effettivamente personale[64].
Dott. Luca Turchetti – Magistrato ordinario in tirocinio
[1] Cfr. Cass., Sez. IV, 26 novembre 2020, n. 6490.
[2] Per una efficace ricostruzione del dibattito si v., D. Castronuovo, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1639; C. Piergallini, voce Colpa, in Enc. dir., Annali, X, Milano, 2017, pag. 232 ss.; R. Bartoli, voce Fonti della colpa, in Enc. dir.. I tematici. II. Reato colposo, Milano, 2021 pag. 535 S. Dovere, voce Giurisprudenza della Corte suprema sulla colpa, ivi, pag. 581.
[3] Seguita dalla dottrina largamente prevalente la cui validità è stata di recente ribadita da G. De Francesco, In tema di colpa. Un breve giro d’orizzonte, in Leg. pen., 5 febbraio 2020, pag. 3 ss.; D. Castronuovo, voce Colpa penale, in Enc. dir.. I tematici. II. Reato colposo, Milano, 2021 pag. 222.
[4] La tesi è patrocinata soprattutto da F. Giunta, La normatività della colpa penale lineamenti di una teorica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, pag. 97 ss.; e da D. Micheletti, La colpa del medico. Prima lettura di una recente ricerca “sul campo”, in Criminalia, 2008, pag. 195 ss.
[5] Si v. il § 2.9. del “considerato in diritto”.
[6] Si v. il § 2.5. e 4.8. del “considerato in diritto”.
[7] Cass., Sez. IV, 13 dicembre 2016 (dep. 2017), n. 9390, Di Pietro, Rv. 269254; Cfr. Cass., Sez. IV, 29 marzo 2018, n. 40050, Lenarduzzi, Rv. 273871; Cass., Sez. IV, 26 novembre 2020 (dep. 2021), n.6490; Cass., Sez. IV, 8 gennaio 2021, n. 32899, Castaldo.
[8] Si v. il § 2.13 e 2.14 del “considerato in diritto”.
[9] Cfr., Cass., Sez. IV, del 10 gennaio 2019, n. 27186, D’Ottavio, Rv. 276703.
[10] Si v. il § 4.9. del “considerato in diritto”.
[11] Analogo principio era stato espresso da Cass., Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 25233, Lucarelli, Rv. 232013; Cass., Sez. IV, 9 febbraio 2006, n. 12894 (non mass.), in Riv. Pen., 2006, pag. 801; Cass., Sez. IV, 4 ottobre 2012, n. 43459, Albiero e altri, Rv. 255008; Cass., Sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 23339, Giusti, Rv. 256941; Cass., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343, Espenhahn e altri; nonché, più di recente, Cass., Sez. IV, 12 novembre 2021, n. 416, Castriotta, Rv. 282559. In dottrina sul punto si veda, tra altri, G. Marinucci, Causalità reale e causalità ipotetica nell’omissione impropria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, pag. 523 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, Cedam, 2017, pag. 114; Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale, Giuffrè, 2020, pag. 278; R. Blaiotta, La sentenza Franzese: ascendenze e proiezioni nel futuro, in Riv. it. med. leg., 4/2022, pag. 1001 ss.
[12] Si v. il § 6.3 – 6.5. del “considerato in diritto”.
[13] Così escludendo, nel caso concreto, che il rischio urto di navi con la struttura Torre Piloti fosse un rischio collocabile, ai sensi dei menzionati artt. 63 e 64 d.lgs. 81/08, sotto il governo del datore di lavoro delle persone che lavoravano nella Torre.
[14] Vi è peraltro un ulteriore profilo, di natura processuale, che merita di essere segnalato, affrontato al § 5.3. del “considerato in diritto”. Si tratta della questione dell’interesse della parte civile a ricorrere per Cassazione contro una pronuncia di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato” attorno alla quale si registra un contrasto vedute nelle decisioni della Suprema Corte. Un orientamento sostiene l’inammissibilità del ricorso contro una simile sentenza per carenza di interesse in ragione della disposizione di cui all’art. 652 c.p.p. che esclude l’efficacia di giudicato di tale pronuncia nel giudizio civile (cfr., ex multis, Cass. Sez. IV, del 12 marzo 2019, n. 18781, Comellini C/ Montaguti, Rv. 275761). Un diverso indirizzo, ribadito nella sentenza annotata, afferma l’ammissibilità del ricorso di parte civile, sul rilievo che le limitazioni all’efficacia del giudicato, previste dall’art. 652 c.p.p., non incidano sull’estensione del diritto all’impugnazione della parte civile, imponendosi, altrimenti, alla stessa di rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto in sede penale e di riavviare “ab initio” tale accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali.
[15] Cfr., P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, pag. 32 ss.; F. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1960, pag. 260.
[16] F. Stella, La “descrizione” dell’evento, I, L’offesa – Il nesso causale, Milano, 1970, pag. 4 cui si rimanda anche per i puntuali riferimenti alla letteratura straniera, soprattutto di lingua inglese e tedesca. Si v., inoltre, F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, 1990 (ristampa), pag. 245 ss., in cui l’A. riaffronta il tema della descrizione in rapporto alla spiegazione causale secondo leggi.
[17] Questa era la conclusione del lavoro di F. Stella, La “descrizione” dell’evento, cit., pag. 174 s. e 185 s.; ed è la prospettiva dominante nella manualistica, cfr. tra gli altri, G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, pt. gen., Bologna, 2009, pag. 232; Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale, Milano, 2020, pag. 241.
[18] P. Trimarchi, Causalità e danno, cit., pag. 42; F. Stella, La “descrizione” dell’evento, cit., pag. 31 ss.; G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’ nei delitti colposi: un problema insolubile?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, pag. 1560; C. Piergallini, Colpa, cit., pag. 242; G. Civello, Prevedibilità e reato colposo, Enc. dir.. I tematici. II. Reato colposo, Milano, 2021 pag. 1017; R. Blaiotta, Diritto penale e sicurezza del lavoro, Torino, 2023, pag. 293.
[19] Cfr. G. Civello, Prevedibilità e reato colposo, cit., pag. 1017.
[20] L’A. dopo aver costatato l’insufficienza delle proposte avanzate dalla dottrina straniera, esprime il dubbio «che la sola via d’uscita sia rappresentata da una descrizione dell’evento, compiuta secondo la «generalizzazione» offerta dalla norma; e che molti dei problemi, che si ritiene possano essere risolti dal concetto di prevedibilità, debbano trovare altrove la loro soluzione», così in F. Stella, La “descrizione” dell’evento, cit., pag. 37.
[21] G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’ nei delitti colposi: un problema insolubile?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1559 ss.; G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990, passim; C. Piergallini, Attività produttive e imputazione per colpa: prove tecniche di “diritto penale del rischio”, in Riv. it. dir. pen. proc., 1997, pag. 1447 ss.; L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità del decorso causale: “passi avanti” della giurisprudenza sul terreno dell’imputazione colposa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, pag. 719 ss.; in precedenza si era già espresso sul punto anche Cfr. G. Marinucci, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1965, pag. 213 ss.
[22] Cfr., G. Marinucci, op. cit., pag. 213 ss.; G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’, cit., pag. 1559 ss.; L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità, cit., pag. 719 ss; più di recente, C. Piergallini, Colpa, cit., pag. 242.
[23] Cfr. G. Marinucci, La colpa per inosservanza di leggi, cit., pag. 213: «a quale evento bisogna far capo per costruire la regola di condotta la cui inosservanza dà vita a colpa? A un evento identificato per la sua appartenenza a genus o poco più ovvero all’evento storico, individuato ne suo modo di essere concreto, con le sue modalità irripetibili? In particolare: basterà che l’agente reale (rectius: il suo «agente-modello») si possa rappresentare, come effetto della condotta, uno sbocco lesivo «del tipo» di quello che si è realizzato in concreto, ovvero, scantando le eventualità non realizzate, bisognerà misurare la probabilità – dal punto di vista dell’agente – di ciò che è effettivamente seguito alla sua condotta?». A questo interrogativo l’A. così risponde: «di fronte a un risultato concreto, il pronostico puro – che asserisce una possibilità ipotetica – non ha senso: ha senso quanto si prescinda dagli sviluppi reali, e si indaghi la mera pericolosità dell’azione, la sua attitudine a provocare sviluppi di un certo genere: come in sede di tentativo. Quando invece si vuole affermare o negare la prevedibilità degli sviluppi effettivi, occorre accertare la cronaca di quegli sviluppi, e il loro effettivo punto di arrivo: il giudizio ex ante deve, cioè, desumerla dalla realtà effettuale la trama delle sue previsioni, bandendo ogni riferimento a ipotesi immaginarie».
[24] Cfr. G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’ nei delitti colposi: un problema insolubile?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1559.
[25] P. Trimarchi, Causalità e danno, cit., pag. 32 s.
[26] F. Stella, La “descrizione” dell’evento, cit., pag. 11; Cfr. G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’, cit., 1560.
[27] Cfr. G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’, cit., 1560.
[28] L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità, cit., pag. 726.
[29] G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, cit., pag. 440 (ma anche pag. 495), il quale fa proprie le parole di Gimbernat Ordeig, Gedanken zum Täterbegriff und zur Teilnahmelehre, in ZStW, 1968, pag. 923.
[30] L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità, cit., pag. 726.
[31] G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, cit., pag. 439.
[32] C. Piergallini, Attività produttive e imputazione per colpa, cit., pag. 1447 ss.
[33] F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale, cit., pag. 264 s.; richiama invece tale insegnamento anche sul terreno della prevedibilità quale soluzione mediana al problema della descrizione dell’evento A. Massaro, “Concretizzazione del rischio” e prevedibilità dell’evento nella prospettiva della doppia funzione della colpa, in Cass. pen., 2009, pag. 4699 ss.
[34] G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, cit., pag. 508.
[35] Cfr., L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità, cit., pag. 728.
[36] Cfr., L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità, cit., pag. 729.
[37] Così, C. Piergallini, Colpa, cit., pag. 242; già in precedenza in C. Piergallini, Attività produttive e imputazione per colpa, cit., pag. 1447 ss.
[38] La divaricazione tra la posizione prevalente della giurisprudenza nel senso dell’evento generico, contro l’evento specifico richiesto dalla dottrina, è segnalata quale uno dei punti di distanza tra teoria e prassi da D. Castronuovo, L’evoluzione teorica della colpa penale, cit., pag. 1639.
[39] Cfr. Cass., Sez. IV, 15 marzo 1971, n. 810, Biadene; Cass., Sez. IV, 23 maggio 1986, n. 1465, Von Zwehl; Cass., Sez. IV, del 31 ottobre 1991, n. 5919, Rezza, Rv. 191809; Cass., Sez. IV, 6 dicembre 1991, n. 4793, Bonetti; Cass., Sez. IV, del 17 maggio 2006, n. 4675, Bartalini, Rv. 235660; Cass., Sez. IV, 19giugno 2008, n. 40785, Cattaneo Rv. 241470; Cass., Sez. IV, 11 marzo 2010, n. 16761.
[40] Cass., Sez. IV, 15 marzo 1971, n. 810, Biadene.
[41] Cfr., le sentenze citate supra in nota 38.
[42] Cass., Sez. IV, 6 dicembre 1990, (dep. 1991), n. 4793, Bonetti.
[43] Cfr., ad esempio, Cass., Sez. IV, 24 maggio 2010, n. 33311; Cass., Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 35309.
[44] Cass., Sez. IV, 17 maggio 2006 (dep. 2007), n. 4675, Bartalini; si tratta di decisione oggetto di numerose annotazioni, si segnalano qui sul tema della descrizione dell’evento i commenti di D. Castronuovo, Principio di precauzione e diritto penale, Roma, 2012, pag. 132 ss. e di C. Piergallini, Attività produttive, decisioni in stato di incertezza e diritto penale, in M. Donini, M. Pavarini (a cura di), Sicurezza e diritto penale, Bologna, 2011, pag. 345 ss.; per rilievi di più ampio respiro sulla sentenza si veda D. Pulitanò, Colpa ed evoluzione del sapere scientifico, in Dir. pen. proc., 2008, pag. 647 ss.
[45] Cfr. pag. 285 ss. della sentenza.
[46] Cass., Sez. IV, 11 marzo 2010, n. 16761, Catalano, pubblicata in Cass. Pen., 2011, pag. 82 ss., con nota di A. Verrico, Le insidie al rispetto di legalità e colpevolezza nella causalità e nella colpa: incertezze dogmatiche, deviazioni applicative, possibili confusioni e sovrapposizioni; sull’approccio precauzionale accolto in questa sentenza si vedano le considerazioni di D. Castronuovo, Principio di precauzione e diritto penale, cit., pag. 140 ss.
[47] L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità, cit., pag. 726; C. Piergallini, Attività produttive, decisioni in stato di incertezza e diritto penale, cit., pag. 353.
[48] E. Dolcini, Principio di colpevolezza e responsabilità oggettiva, Riv. it. dir. pen. proc., 2000, pag. 881 s.
[49] Cass., Sez. IV, 24 maggio 2010 (dep. 2013), n. 33311; Cass., Sez. IV, 12ottobre 2011, n. 46819; Cass., Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 35309; Cass., Sez. IV, 15 novembre 2018, n. 53455; Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2019, n. 160295.
[50] Cass., Sez. 4, del 24 giugno 1986, n. 13690, Ponte, Rv. 174511.
[51] Trib. Catania, 26 febbraio 1985, in Foro it., 1986, II, pag. 310 ss.
[52] Modificando di conseguenza la formula assolutoria: non più “perché il fatto non sussiste”, ma “perché il fatto non costituisce reato”.
[53] App. Torino, 18 ottobre 1996, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, pag. 711, con nota di Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità del decorso causale, cit., pag. 719 ss.
[54] Nello specifico, si è ritenuto che fosse sì prevedibile il generico evento di “valanga”, ma non lo era quello concretamente avvenuto di “valanga innescata dalla caduta di gran parte del ghiacciaio sovrastante”, riconoscendo quindi un ruolo cruciale del decorso causale nella descrizione dell’evento.
[55] Parte della dottrina legge l’indirizzo qui di seguito esaminato in linea di continuità con la giurisprudenza della “situazione di danno”: G. Civello, Prevedibilità e reato colposo, cit., pag. 1018 s.
[56] Cass. Sez. 4, 28 giugno 2007, n. 39606, Marchesini, Rv. 237880.
[57] Nel caso di specie l’evento veniva individuato in quello “della caduta accidentale in un foro non protetto”.
[58] Il riferimento in particolare è alla ricostruzione di G. Forti, La descrizione dell’‘evento prevedibile’ nei delitti colposi, cit., 1559 ss.; G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, cit., passim; accolta da L. Fornari, Descrizione dell’evento e prevedibilità del decorso causale, cit., pag. 725 ss.; e da C. Piergallini, Attività produttive e imputazione per colpa, cit., pag. 1447 ss.
[59] Ricavato da quanto appurato nei processi di merito ossia che «il sinistro occorso a Viareggio è stato ritenuto causato dalla rottura di un assile dovuta alla presenza di crateri di corrosione che avrebbero dovuto essere rilevati in occasione della manutenzione eseguita presso l’officina J. ma anche presso la C. R.; deficit di manutenzione ritenuti non occasionali bensì sistemici, sicché anche il mancato controllo sulla adeguatezza della gestione delle manutenzioni, operato attraverso l’acquisizione della documentazione ad essa relativa, ha assunto rilievo causale».
[60] Si veda, ad esempio, Cass., Sez. IV, 25 gennaio 2023, n. 13278, in cui si evoca il concetto di classe di evento nel giudizio di prevedibilità nell’ambito di un omicidio colposo stradale; il principio è stato ripreso anche dalla recente giurisprudenza di merito nella vicenda di Rigopiano, cfr. App. L’Aquilia, 14.2.2024, n. 294, pubblicata in www.giurisprudenzapenale.com.
[61] Tesi che ancora di recente veniva riaffermata, con richiami alla sentenza Bonetti, senza un confronto con il nuovo orientamento espresso dalla quarta sezione e poi accolto anche dalle sezioni unite a partire dal 2014, cfr. Cass., Sez. IV, 28 febbraio 2019, n. 16029 (sul caso dell’alluvione di Messina), e Cass., Sez. IV, 15 novembre 2018, n. 53455.
[62] Cfr., ad esempio, Cass., Sez. IV, 27 gennaio 2021, n. 6513, Rv. 280933; Cass., Sez. IV, 16 aprile 2019, n. 32507, Romano; Cass., Sez. IV, 6 maggio 2015 n. 24462, Ruocco.
[63] Cfr., D. Castronuovo, Misura soggettiva, esigibilità e colpevolezza colposa: passi in avanti della giurisprudenza di legittimità in tema di individualizzazione del giudizio di colpa, in Giur. It., 2021, pag. 2218 ss.; nonché D. Castronuovo, Colpa penale, cit., pag. 226 ss.
[64] Di recente, hanno rimarcato la necessità di un’indagine anche sul profilo della esigibilità in concreto del comportamento dovuto: Cass. Sez. IV, 4 aprile 2023, n. 17208, Carminati; Cass., Sez. IV, del 8 ottobre 2020 (dep. 2021), n. 1096, Verondini.