Sommario: 1. Un quadro d’insieme. – 2. I tratti salienti della vicenda ed il fondamento della responsabilità del RLS. – 3. La posizione del RLS in bilico tra diritti e doveri. – 4. Il garante inteso come “gestore del rischio”. – 4.1. Concorso di persone e rapporto causale in contesti organizzativi. – 4.2 Le ricadute nell’ambito della responsabilità del RLS. – 4.3. Il criterio della “competenza per il rischio”. – 5. Una nuova soluzione: il nesso di strumentalità come criterio di selezione dei contributi rilevanti. – 6. Considerazioni conclusive.
1. Un quadro d’insieme
È ipotizzabile la responsabilità penale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?
L’interrogativo, in sé lineare, si rivela particolarmente complesso agli occhi del penalista. La risposta, come spesso accade, è: “dipende”. Dipende dal grado di flessibilizzazione che si è disposti ad accettare per adattare classici istituti di parte generale alla moderna conformazione dell’agire economico: quasi sempre sviluppato in forma organizzata; dipende dalla natura – di diritti o di doveri – che si intende assegnare alle “attribuzioni” del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) delineate dall’art. 50 del d. lgs. 81/2008[1].
Alla luce delle posizioni assunte dal diritto vivente degli ultimi lustri con riguardo alla materia del diritto penale economico[2] – e, per ciò che ora interessa, all’ambito della sicurezza del lavoro – non pare così sorprendente, a modesto parere di chi scrive, che la Suprema Corte, con la sentenza n. 38914 del 2023[3], abbia confermato la condanna per omicidio colposo di un soggetto che, per un verso, non figura tra i “garanti” legislativamente tipizzati (art. 299 d. lgs. 81/2008)[4] e, per altro verso, risulta sprovvisto di reati propri[5].
L’esito si deve, piuttosto, al lento e progressivo mutamento che i caratteri della posizione di garanzia, del nesso causale e della cooperazione colposa hanno assunto nelle pronunce che si sono trovate a decidere della responsabilità penale di soggetti esercitanti un’attività d’impresa in forma organizzata[6].
Non è questa la sede per scandagliare con dovizia di particolari i predetti percorsi ermeneutici e per valutarne la compatibilità con i principi di legalità e di personalità della responsabilità penale, cui verrà riservato solamente qualche cenno. Ciò che non si può fare a meno di notare, purtuttavia, è che siffatto orientamento, lungi dall’essere rivisto o ridimensionato dal diritto vivente, è possibile che continui ad espandere i propri approdi: il caso in esame, d’altro canto, ne rappresenta la plastica dimostrazione. Certo, con specifico riguardo alla responsabilità del RLS il problema potrebbe non ripresentarsi: va infatti segnalato che la sentenza non vanta precedenti e che non è stata massimata al CED. Ciò nonostante, pare eccessivamente ottimistico escludere che in futuro non si potrà assistere, anche in diversi settori del diritto, alla responsabilizzazione, ad opera di una parte di giurisprudenza assai poco rigorosa, di figure a analoghe a quella in esame.
Esigenze di realismo e di giustizia sostanziale fondano allora prese di posizione tanto autorevoli quanto innovative, che depongono, da un lato, per una visione ‘disincantata’ dell’organizzazione imprenditoriale e, dall’altro lato, per una precisa individuazione dei soggetti responsabili[7].
A partire da tali assunti, verrà brevemente ripercorsa la vicenda che ha portato alla condanna per omicidio colposo di un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; si cercherà di comprendere se tale soggetto risulti effettivamente destinatario di mere prerogative ovvero se sia gravato da veri e propri obblighi; verrà ripreso il percorso ermeneutico per mezzo del quale la giurisprudenza ha rimodellato l’istituto della posizione di garanzia, appiattendolo sulla nozione di “gestore del rischio”; verrà sindacata la presunzione che oggi opera con riguardo all’accertamento del nesso causale nei casi di cooperazione diacronica tra soggetti competenti a regolare un medesimo rischio; sarà approfondita una recente (e autorevole) posizione dottrinale volta a giustificare il conio, nelle organizzazioni complesse, di una Garantenstellung condivisa e frazionata tra i diversi soggetti chiamati a gestire in varia guisa il rischio tradottosi successivamente in offesa.
2. I tratti salienti della vicenda ed il fondamento della responsabilità del RLS
La vicenda è quantomai semplice: un soggetto assunto come impiegato tecnico – segnatamente, come disegnatore – viene adibito a mansioni di magazziniere in assenza di qualsivoglia formazione. In orario lavorativo, non riuscendo a sistemare con il muletto un pesante fascio di tubolari su uno scaffale, decide di scendere per ordinarli manualmente. Arrampicatosi in corrispondenza del terzo piano, viene travolto rovinosamente da un altro fascio di tubi e decede immediatamente.
Dagli accertamenti processuali emerge che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) aveva segnalato al datore di lavoro il rischio di mancata formazione dei soggetti deputati all’utilizzo del muletto, mentre il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), pur a fronte di solleciti in tal senso da parte di lavoratori, era rimasto sostanzialmente inerte.
A rispondere della morte del lavoratore vengono chiamati il datore di lavoro, il RSPP e il RLS: nel caso di specie, altresì consigliere di amministrazione della società. Il RSPP viene assolto; condannati, invece, il datore di lavoro e il RLS.
Nel caso de quo, assai peculiare – se non incomprensibile – è la conformazione dell’imputazione rivolta a S. L.: soggetto che rivestiva la funzione di RLS. Nonostante la sua carica di componente del C.d.A., a questi viene contestato l’esclusivo inadempimento degli “obblighi” di cui risulta gravato in qualità di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (art. 50 del d. lgs. 81/2008).
Invero, nella sentenza di primo grado, quest’ultimo viene ritenuto responsabile perché, in qualità sia di consigliere di amministrazione sia di RLS, non ha sollecitato il datore di lavoro o fatto comunque in modo che gli opportuni rimedi fossero adottati[8]; in appello, parrebbe addirittura la prima delle predette qualifiche ad aver assunto un peso dirimente[9].
Nessun riferimento alla carica di consigliere di amministrazione di S. L. compare invece nella pronuncia di legittimità, che, sgombrando il campo dall’incidenza di una eventuale posizione di garanzia, giustifica la responsabilità dell’imputato sulla base e dell’efficienza causale del suo contributo, e di un generico richiamo all’art. 113 c.p. «È bene precisare – osserva la Corte – che, nel caso di specie, viene in rilievo non se l’imputato, [nella sua veste di RLS], ricoprisse o meno una posizione di garanzia – intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. cod. pen.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 cod. pen. E, sotto questo profilo la sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente i termini in cui si è realizzata la cooperazione colposa dello S. nel delitto di cui trattasi. Richiamati i compiti attribuiti dall’art. 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l’imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il […] [lavoratore] fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal […] [RSPP]»[10].
Invero, quanto al mancato richiamo alla qualità di consigliere di amministrazione rivestita da S. L., la pronuncia risulta coerente con l’impostazione accusatoria. D’altra parte, qualora avesse fondato il rimprovero su tale specifica qualità, sarebbe incorsa in un vizio di correlazione tra accusa e sentenza: difetto in cui sono invece parzialmente incappate le pronunce di merito. Altro è infatti imputare ad un soggetto di non aver adempiuto ai propri obblighi di RLS, altro è rimproverarlo per non aver adeguato la propria condotta a quella del “datore di lavoro modello”[11].
3. La posizione del RLS in bilico tra diritti e doveri
La possibilità di individuare una responsabilità penale in capo al RLS deriva, prima di tutto, dalla qualificazione delle sue funzioni alla stregua di veri e propri obblighi ovvero di “meri” diritti[12]. La questione è risolutiva: se, infatti, come sostiene larga parte di dottrina, tale soggetto gode di sole prerogative, questo non potrà mai essere chiamato a rispondere a titolo di colpa. Anche qualora venisse individuata la violazione di una regola cautelare, difetterebbe pur sempre un dovere di diligenza, prudenza o perizia[13].
Ma vi è di più. Se si considera che tale soggetto – in forza della peculiare funzione rivestita, del tutto priva di poteri decisionali – potrebbe essere chiamato a rispondere in via tipicamente omissiva, la mancata individuazione di obblighi a questi facenti capo renderebbe impossibile assegnare allo stesso una vera e propria posizione di garanzia[14]. Come si potrebbe mai sostenere che, a partire dall’attribuzione di mere facoltà, un soggetto possa essere chiamato a rispondere per non aver impedito un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire?
Il dato testuale non aiuta: se è vero che la rubrica dell’art. 50 del d. lgs. 81/2008 si riferisce alle “attribuzioni” del RLS, nel testo della disposizione quasi mai parrebbe emergere una mera possibilità di esercizio dei relativi poteri[15]. L’attenzione, in chiave penalistica, si concentra soprattutto sulle lettere h) e n) dell’art. 50. La prima prevede che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza “promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori”; la seconda precisa che questi “avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività”.
Benché la soluzione si presenti tutt’altro che certa, ulteriori elementi potrebbero chiarire il carattere sibillino della norma, orientando l’interprete verso la considerazione delle relative prerogative quali veri e propri doveri[16].
In primo luogo, depone in tal senso una visione della sicurezza tesa alla responsabilizzazione dei diversi attori e svincolata da una visione paternalistica del datore di lavoro. Emblematica, sul punto, è la scelta del legislatore di elevare anche i principali beneficiari della tutela antinfortunistica (i lavoratori) a veri e propri debitori di sicurezza, destinatari di obblighi anche sanzionati penalmente (artt. 20 e 59 del d. lgs. 81/2008).
In secondo luogo, mette conto rammentare che il RLS, rispetto agli altri lavoratori, gode di una formazione qualificata, idonea a garantirgli un esercizio consapevole e proficuo delle proprie prerogative. L’art. 37, comma 10, del d. lgs. 81/2008 dispone infatti che “il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi”.
In terzo luogo, va evidenziato che, lungi dal rappresentare una figura di rilevanza squisitamente “politica”, destinata a sovrapporsi, nell’esercizio ordinario dell’attività lavorativa, a figure di garanti normativamente considerate come tali – segnatamente, ai preposti –, la prassi potrebbe far emergere situazioni nelle quali rischi agevolmente gestibili da parte dei vertici aziendali potrebbero risultare noti ai soli rappresentanti dei lavoratori. Si pensi, ad esempio, a rischi difficilmente visibili, connessi ad abitudini di vita o al credo religioso dei lavoratori, che più facilmente – anche per evitare eventuali ritorsioni – potrebbero essere comunicati ad un proprio pari. Quid iuris nel caso in cui il RLS omettesse di comunicarli al datore di lavoro? Benché si tratti di situazioni forse peculiari, resta il fatto che infrequenza non significa irrilevanza.
In chiusura, va altresì rilevato che un siffatto approdo non parrebbe porsi in contrasto, in astratto e in assoluto, nemmeno con la natura rappresentativa della figura in esame. Si ponga mente, esemplificando, alla figura del sindaco: soggetto rivestente una carica naturalmente elettiva e, in quanto autorità territoriale di protezione civile, al contempo, pacificamente gravato da una posizione di garanzia volta ad ‘impedire’ calamità naturali[17].
Certo, il nodo ermeneutico non potrebbe dirsi risolto; ciò non di meno, tali argomentazioni potrebbero deporre per la generale responsabilizzazione di un soggetto chiamato ad assumere, nell’organizzazione dell’impresa, un ruolo cruciale.
4. Il garante inteso come “gestore del rischio”
La natura delle “attribuzioni” non è tuttavia l’unico scoglio interpretativo da superare per pervenire ad una legittima condanna del RLS. Il carattere eminentemente omissivo del rimprovero postula infatti l’individuazione di una posizione di garanzia in capo allo stesso. Di qui i dubbi di compatibilità costituzionale della torsione che tale istituto mostra nel diritto vivente[18].
È certo che nel settore del diritto penale del lavoro sia sovente dato ravvisare una confusione tra regola cautelare e norma fondativa dell’obbligo di impedimento dell’evento-reato. La responsabilità viene frequentemente basata sulla violazione di regole cautelari, che, al tempo stesso, assurgono a rango tipizzante della posizione di garanzia.
Anche il profilo del “potere impeditivo” viene assai spesso privato di reale significato dalla giurisprudenza[19]; e ciò in forza di elaborazioni concettuali – si pensi, ad es., al potere di impedimento “mediato” – che altro non sono se non modalità di trasfigurazione delle funzioni intermedie di segnalazione o attivazione in veri e propri poteri di intervento[20].
Particolarmente calzante risulta, ai fini esplicativi, il dibattito circa la responsabilizzazione per eventi lesivi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP): figura qualificata, assegnataria di doveri di valutazione dei rischi e di collaborazione con il datore di lavoro nella predisposizione di misure volte a contenerli.
Tale soggetto – pur sprovvisto sia di una posizione di garanzia, difettando il suo richiamo tra i garanti normativamente previsti, sia di reati propri – riveste una posizione centrale nell’organizzazione della sicurezza. Segnatamente, in forza delle proprie competenze specifiche, aumenta il know how del datore di lavoro in ordine all’individuazione e alla gestione dei rischi connessi all’attività lavorativa. Di qui l’annosa questione circa la possibilità di assegnare rilevanza penale alle inadempienze del RSPP – magari l’unico che, nello specifico contesto aziendale, avrebbe potuto accorgersi della situazione di rischio – alle quali faccia seguito la verificazione di eventi infortunistici[21].
L’esigenza politico-criminale di non lasciar impunite condotte senza dubbio tutt’altro che prive di disvalore, ma, al contempo, tenute da un soggetto sprovvisto, da un lato, di una posizione di garanzia e, dall’altro lato, di veri e propri poteri impeditivi, ha portato la giurisprudenza ad elaborare soluzioni interpretative che difettano dei requisiti necessari ad assicurare il rispetto dei principi di legalità e di responsabilità per fatto proprio. In particolare, a partire dalla sentenza Lovison[22], si è sviluppata nel diritto vivente la convinzione che la nozione di “garante”, nell’ambito delle organizzazioni complesse, non debba essere intesa in senso “tradizionale” – come soggetto su cui, nei reati omissivi impropri, grava una posizione di garanzia –, ben potendo essere ricondotta al soggetto chiamato, in varia guisa, a “gestire un rischio”, al di là della forma omissiva o commissiva della condotta considerata. Il “garante” inteso come “gestore del rischio”, in sintesi.
Il percorso ermeneutico – che ha incontrato l’autorevole avallo delle Sezioni Unite nel caso ThyssenKrupp – radica le proprie radici in costruzioni dogmatiche di segno diametralmente opposto rispetto a quello a cui questo, mediante successive flessibilizzazioni, perviene: l’ampliamento del novero dei garanti[23].
Sul presupposto – assai dibattuto – della fungibilità tra azione e omissione nell’esercizio di attività in forma organizzata[24], il criterio della “competenza per il rischio”, proposto in dottrina e, almeno apparentemente, in giurisprudenza, per garantire, in senso restrittivo, una corretta individuazione dei soggetti responsabili[25], viene valorizzato, in chiave estensiva, per giustificare posizioni di garanzia in difetto di una norma che specificamente le preveda[26].
D’altro canto, anche il potere impeditivo viene privato della propria portata selettiva mediante l’enucleazione di un potere “mediato” del RSPP: mediato, naturalmente, dalle scelte del datore di lavoro, autentico “garante”[27].
«Ciò che importa – osservano le Sezioni Unite nel caso Thyssenkrupp – è che i componenti del SPP siano destinatari di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, essi assumano l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste. D’altra parte, il ruolo svolto da costoro è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. La loro attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito. Si pensi al caso del SPP che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche. In situazioni del genere pare ragionevole pensare di attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge ed in particolare di una condotta colposa, la responsabilità dell’evento ai soggetti di cui parliamo. Una diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica»[28].
Il momento omissivo della colpa viene a sovrapporsi all’omissione come carattere dell’agire penalmente rilevante, con «elisione reciproca tra tipicità e colpevolezza»[29]; un asserito rilievo del contributo causale giustifica, in combinato disposto con una nozione ‘rivisitata’ di garante e con specifiche violazioni cautelari, una vera e propria posizione di garanzia; il potere impeditivo si confà ad un più agevole criterio di attivazione, aumento o mancata riduzione del rischio. Un obbligo di mezzi diviene, per questa via, un obbligo di risultato.
Non stupisce, dunque, che al RLS sia stata attribuita una responsabilità penale per il sol fatto di ricoprire peculiari funzioni in materia di sicurezza e, in forza del mancato esercizio delle proprie “attribuzioni”, di aver contribuito causalmente alla verificazione dell’evento.
4.1. Concorso di persone e rapporto causale in contesti organizzativi
L’ampliamento del novero dei soggetti chiamati a rispondere dell’evento determinato da una (travisata) nozione di “garante” come “gestore del rischio” spinge ad interrogarsi sulla reale portata euristica del rapporto di causalità al cospetto di fenomeni connotati dall’agire (o dall’omettere) sincronico o diacronico di una pluralità di persone. Alla luce di un siffatto orientamento interpretativo, parrebbe questo, infatti, l’unico criterio in grado di selezionare, sul piano oggettivo, i contributi penalmente rilevanti dei soggetti che hanno preso parte al processo culminante nella verificazione dell’offesa: il solo accertamento in grado di mantenere un qualche legame tra l’imputazione oggettiva di un evento e il principio di responsabilità per fatto proprio.
Ben note sono le criticità derivanti dalla trasposizione dell’accertamento causale inteso in senso tradizionale all’agire collettivo; criticità che, a ben guardare, vengono ad acuirsi nel settore in esame, confluendo in vere e proprie (dichiarate) presunzioni.
In ambito concorsuale, il rapporto di causalità che lega i singoli contributi in funzione dell’impedimento finale dell’offesa si allontana dal modello generalizzante di sussunzione sotto leggi scientifiche per rifarsi ad un modello, in un certo senso, più individualizzante e “contaminato” da paradigmi presuntivi. Nessuna legge scientifica è in grado di qualificare come autentiche cause di un infortunio le negligenze intervenute nella “catena” (inter-relazionale) di gestione del rischio: ad es. la mancata valutazione o segnalazione dello stesso, il difetto di formazione, etc. E ciò per il semplice motivo che, sempre in via esemplificativa, sul piano controfattuale, anche ove il rischio fosse stato ex ante correttamente valutato e la formazione adeguatamente impartita, l’impedimento dell’evento dipenderebbe pur sempre dal comportamento (compliant o meno) del lavoratore che, ex post, verrà fatalmente a contatto con quel fattore di rischio. Correlativamente, anche se il RSPP avesse tempestivamente segnalato al datore di lavoro un rischio poi concretizzatosi nell’evento, l’impedimento del risultato dannoso dipenderebbe pur sempre dalla tempestiva adozione della misura preventiva da parte del datore di lavoro reso ipoteticamente edotto. «Ogni condotta è frutto di scelte, di iniziative ‘liberamente’ intraprese, che escludono, per definizione, quella ‘ripetibilità’ del processo eziologico secondo una legge scientifica in grado di esprimere, deterministicamente (in tutti i casi, o in chiave ‘probabilistica’, non interessa) un nesso di derivazione constatabile in rerum natura»[30].
L’esigenza di rifuggire da logiche assai prossime a quelle del caso per caso[31] potrebbe dunque orientare l’interprete – similmente a quanto avviene nell’accertamento della causalità psichica – nel senso di ricondurre il fenomeno a massime di esperienza riguardanti le interazioni personali o, in altri termini, l’agire in contesti relazionali e organizzati. Di qui, nella materia in esame, il cortocircuito interpretativo. Se è vero, per un verso, che la predisposizione di presidi antinfortunistici o la mancata segnalazione di rischi al garante in senso proprio attivano, aumentano o non riducono il rischio di verificazione dell’evento lesivo, è altresì vero, per altro verso, che ciò non implica che il garante assuma gli adeguati accorgimenti o, ancor più, che i lavoratori utilizzino i rimedi previsti. Anzi, è proprio la giurisprudenza, sindacando l’affidamento che il garante – tipicamente il datore di lavoro – può riporre sull’osservanza delle prescrizioni impartite, a considerare il lavoratore come soggetto intrinsecamente imprevedibile e, in quanto tale, ‘inaffidabile’: carattere di cui deve necessariamente tenere conto il vertice aziendale nella predisposizione dell’organizzazione del lavoro[32].
La soluzione, giocoforza, non può che ridursi ad una presunzione ‘causale’.
In giurisprudenza, la questione si è posta soprattutto nei casi in cui il RSPP manchi di segnalare un rischio purtuttavia già ben noto al datore di lavoro: situazioni in cui sembrerebbe – almeno nella maggior parte dei casi – difettare quel nesso di causa-effetto che lega l’inottemperanza del primo alla (finale) realizzazione dell’offesa. In tali ipotesi, parrebbe difficile escludere la verificazione dell’evento aggiungendo mentalmente la segnalazione (ulteriore) del rischio. In altri termini, si avrebbe più di qualche ragionevole dubbio circa la permanenza dell’inottemperanza del datore pur a fronte di una nuova rappresentazione della (già ben nota) situazione di rischio. L’allontanamento dell’individuazione del responsabile dal principio di responsabilità si impone in modo autoevidente.
Proprio in queste situazioni, nondimeno, il diritto vivente cede, come anticipato, alla logica presuntiva. «Il RSPP – si legge nelle massime delle più recenti pronunce in materia – può essere ritenuto responsabile […] del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (sez. 4, n. 24822 del 10.03.2021, Solari, rv. 281433, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del RSPP per non avere segnalato nell’ultimo DVR il rischio di caduta nel vuoto per il cattivo stato di manutenzione dei parapetti di un balcone, […] ritenendo irrilevante […] la circostanza che il rischio non segnalato fosse noto al datore di lavoro)»[33].
Evidenti i contrasti con il principio di personalità della responsabilità penale[34].
Sono rare ed attinenti ad un diverso settore (quello della responsabilità medica) le pronunce che richiedono un accertamento probatorio più pregnante per ritenere verificata l’efficacia causale di violazione di obblighi di comunicazione da parte di diversi garanti succedutisi nella gestione del rischio rispetto al verificarsi dell’evento lesivo[35]. In tali situazioni, si ritiene necessario, in particolare, che il mancato intervento salvifico debba rinvenire la propria causa nell’omessa segnalazione del rischio da parte del predecessore. «In presenza di una condotta che non intervenga nella progressione del rischio verso l’evento temuto è necessario accertare che la condotta doverosa sarebbe stata in grado di impedire o ritardare tale progressione. E quando la condotta doverosa non consiste in un intervento diretto sul processo in evoluzione ma, come nel caso che occupa, nella segnalazione ad altri della situazione di rischio, le regole generali impongono di accertare che il successivo comportamento negligente del diverso attore trovi causa proprio nella mancata segnalazione»[36].
4.2 Le ricadute nell’ambito della responsabilità del RLS
Alla luce di quanto osservato, non pare del tutto avulsa da ogni appiglio giurisprudenziale – lo si era anticipato in apertura – la soluzione cui perviene la Suprema Corte nella pronuncia in commento: l’unica, per il momento, che ha dichiarato la responsabilità penale di un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza per delitti di danno alle persone.
Certo è che mentre il RSPP è una figura qualificata, che aggiunge un bagaglio tecnico ed esperienziale al sistema della sicurezza del lavoro, il RLS si connota per la propria funzione primariamente ‘politica’: di promozione e di rappresentanza dei lavoratori[37]. Ciò non di meno, gli esiti a cui giunge la giurisprudenza nelle ipotesi di mancata segnalazione del rischio – già noto al datore – da parte del RSPP ben potrebbero, almeno in astratto, giustificare una responsabilità penale del RLS. Va senz’altro ricordato che, nel caso di specie, la pronuncia non è stata nemmeno massimata e che l’imputato, ricoprendo la carica di consigliere di amministrazione, avrebbe dovuto, in tale sua qualità, essere considerato un vero e proprio garante. Purtuttavia, almeno a modesto parere di chi scrive, uno sviluppo interpretativo in tal senso, per le ragioni anzidette, non potrebbe venire aprioristicamente escluso.
Qualora il RLS ometta di avvertire il “responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività” (art. 50, comma 1, lett. n, del d. lgs. 81/2008) e successivamente quel rischio si tramuti in evento lesivo, la sua condanna per omicidio o lesioni risulterebbe in linea con il citato orientamento del diritto vivente. Invero, ciò è proprio quanto accaduto nel caso di specie: il RLS, pur avvisato di una situazione di rischio da parte di lavoratori, non l’aveva comunicata al datore, così contribuendo «causalmente alla verificazione dell’evento»[38]. A nulla rileva che il soggetto garante fosse già ben conscio dell’ipotesi di pericolo, avendo egli stesso convertito le mansioni del lavoratore da impiegato tecnico a mulettista in assenza di una adeguata formazione; e nemmeno che il rischio fosse già stato segnalato da un soggetto qualificato: il RSPP. Nella visione dell’organo giudicante, in questa specifica pronuncia, la segnalazione del rischio da parte del RLS avrebbe oltre ogni ragionevole dubbio condotto, in definitiva, all’impedimento dell’evento lesivo[39].
La soluzione si rivela evidentemente in contrasto con lo standard di giudizio richiesto dal principio, di matrice costituzionale, di responsabilità per fatto proprio.
Anche ammettendo che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia effettivamente destinatario di veri e propri doveri, a partire da una norma che tipizza un (possibile) profilo di colpa specifica viene ricavata la posizione di garanzia di un soggetto che non compare tra i garanti legislativamente previsti. Il rapporto “causale” tra la sua omissione – che certo si interseca con un complesso di interazioni pluripersonali – e il verificarsi dell’evento lesivo viene inoltre esplicitamente presunto. Assai difficile sarebbe stato immaginare di peggio.
4.3. Il criterio della “competenza per il rischio”
Autentico corollario del principio di responsabilità per fatto proprio, il criterio di competenza risulta volto a selezionare, ancor prima dell’accertamento causale, i soggetti competenti a gestire il rischio specifico che si è concretizzato nel risultato lesivo. In altri termini, tra condotta ed evento deve sussistere un nesso di rischio che non sostituisce il vaglio etiologico, bensì si aggiunge ad esso. L’offesa, per essere imputata oggettivamente ad un soggetto, deve corrispondere alla realizzazione del rischio da questi illecitamente attivato, aggravato o non ridotto[40].
È evidente la portata garantista del criterio in esame. Esso è volto ad allocare responsabilità autenticamente proprie, attribuendole ai soli soggetti sui cui grava il potere e dovere di gestire il rischio specifico che si è concretizzato nell’evento. Solamente in questo senso, potrebbe dirsi “garante” colui che “gestisce un rischio”. Siffatta impostazione, pur applicando indistintamente i propri risultati alle ipotesi di responsabilità sia commissiva sia omissiva, non mette in dubbio la necessità di individuare (anche) una posizione di garanzia intesa in senso proprio in queste seconde ipotesi, né implica il superamento del successivo giudizio causale e di colpa (o di dolo). Essa precede tutti questi momenti[41].
Confondendo tipicità oggettiva e colpa, per un verso, e la selezione dei soggetti garanti con quelli che, in varia guisa, sono chiamati a prender parte all’impedimento plurisoggettivo dell’offesa (tra i quali rientrano anche i destinatari di meri obblighi di attivarsi)[42], per altro verso, il diritto vivente elabora dunque una nozione di garante del tutto avulsa da ogni appiglio normativo, così assegnando responsabilità penali che bypassano l’assoluta vigenza dei principi di legalità e di personalità della responsabilità penale.
5. Una nuova soluzione: il nesso di strumentalità come criterio di selezione dei contributi rilevanti
Facendo i conti con la descritta impostazione giurisprudenziale e con l’attuale conformazione delle attività economiche, negli ultimi lustri si è levata un’autorevole voce dottrinale proponente un mutamento dell’angolo prospettico[43].
La posizione di garanzia intesa in senso tradizionale – implicante la convergenza in capo allo stesso soggetto del potere e del dovere di impedimento del reato – è messa in crisi dall’attuale conformazione delle attività economiche. L’evoluzione interpretativa di cui si è dato conto, d’altra parte, in quanto risposta “adattiva” della giurisprudenza, ne rappresenta la dimostrazione.
In primo luogo, l’attuale formazione della volontà della societas nasce e si sviluppa nell’ambito di complessi processi plurisoggettivi di gestione aziendale: quasi mai è riposta nelle mani di un unico organo unipersonale.
In secondo luogo, nell’agire organizzato, è assai diffusa la scissione tra obblighi – tendenzialmente di attivarsi – e poteri di intervento[44].
In terzo luogo, assai frequentemente avviene che l’adozione da parte del garante degli opportuni provvedimenti risulti in concreto condizionata dal rispetto di obblighi intermedi propositivi o informativi. Breve: solo a fronte dell’attivarsi di un soggetto (sprovvisto di una posizione di garanzia), il garante potrebbe divenire edotto della situazione di rischio e dunque assumere le conseguenti determinazioni.
In questo contesto, effettivamente, la teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale pare prestarsi a rappresentare meglio l’insieme delle condotte “frazionate”, dirette, in ultima analisi, alla prevenzione plurisoggettiva dell’offesa[45].
Per mezzo del combinato disposto di due “moltiplicatori di fattispecie”[46] – l’art. 40, comma 2, e l’art. 110 (o 113) c.p. – vengono unificate le condotte, anche di diverso segno (commissivo o omissivo), di soggetti chiamati a gestire, in varia guisa, un rischio specifico. Sull’organizzazione si individua una Garantenstellung condivisa e frazionata tra i vari attori deputati ad intervenire nel processo culminante nella verificazione dell’evento-reato; e ciò, si badi bene, indipendentemente dalla presenza in capo a ciascuno di questi di una posizione di garanzia in senso proprio. D’altro canto, si rileva, «a fronte del verificarsi di un’offesa, un conto è imputare l’evento – ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p. e della disposizione di parte speciale – al garante che non lo abbia impedito, un altro, è far rispondere un soggetto – ex artt. 40, comma 2, e 110 o 113 c.p. – di concorso nell’omesso impedimento dell’evento»[47].
Il criterio di unificazione delle condotte – e di accertamento della possibile rilevanza penale di quella tenuta dal soggetto di cui si indaga la responsabilità – non si ritiene riconducibile al giudizio causale (le cui problematiche sono già state evidenziate), ma viene ravvisato nel nesso di strumentalità, da valutarsi sia ex ante sia ex post, che intercorre fra di esse.
Ex ante, deve essere accertato se ogni condotta costituisca astrattamente un anello della catena funzionale alla prevenzione plurisoggettiva dell’offesa; se rappresenti un segmento suscettibile di attivare, aggravare o non ridurre il rischio concretizzatosi nell’evento-reato.
Ex post, il nesso di strumentalità deve essere valutato come “peso” che la condotta (rectius, nelle ipotesi colpose, che la violazione della regola cautelare) ha assunto nel processo che è sfociato nella verificazione dell’evento[48].
La teorica pare trovare un proprio parallelismo nella considerazione secondo cui «la “causalità” della partecipazione […] non rientra nello schema della “sussunzione sotto leggi”, ma neanche in quello – eccessivamente estensivo – della pura “prognosi”: è semplicemente riscontro materiale, per facta, dell’effettività del contributo del partecipe, nel senso di un suo reale inserimento nella dinamica della concreta attuazione criminosa. Si tratta, cioè, di accertare se il partecipe abbia messo “qualcosa di suo” nella realizzazione criminosa, rendendola quindi parzialmente propria»[49].
Secondo questo ragionamento, nulla vieterebbe che anche il RLS possa essere chiamato a rispondere, in presenza di tali accertamenti, di eventi lesivi a carico di lavoratori (o terzi) concretizzanti il rischio lavorativo che egli ha (da solo o con altri) mal gestito. Certo, il suo contributo dovrebbe risultare strumentale rispetto alla realizzazione del reato – elemento non riscontrabile nel caso vagliato dalla Suprema Corte[50] –, ma ciò non toglie che, quantomeno in astratto, il RLS, magari proprio nei casi in cui divenga edotto di rischi prima del garante, possa essere chiamato a rispondere per delitti di evento dannoso alla luce del mancato esercizio delle proprie funzioni[51].
6. Considerazioni conclusive
Responsabilità penale del RLS sì o no? La risposta non è scontata.
L’orientamento del diritto vivente in merito alla responsabilizzazione penale del RSPP appare tutt’altro che confortante ed i principi da esso coniati potrebbero, almeno teoricamente, giustificare anche una responsabilità penale del RLS.
Ciò non di meno, a conti fatti, l’impressione che può trarsi dalle soluzioni enucleate in giurisprudenza appare quantomai negativa per i principi di legalità e di personalità della responsabilità penale.
Superata siffatta impostazione del diritto vivente, la risoluzione del quesito riposa – come anticipato in apertura – sul grado di torsione di istituti tradizionali ovvero sul margine di allontanamento dalle scelte di criminalizzazione effettuate dal legislatore, in forza dell’utilizzo congiunto di plurimi “moltiplicatori” di fattispecie, che si è disposti ad accettare per adattare il diritto penale all’evoluzione dell’agire economico in forma organizzata.
Secondo una soluzione più marcatamente tradizionale, non rientrando il RLS tra i soggetti garanti in senso proprio, questi potrebbe – alla pari del RSPP – essere considerato responsabile esclusivamente per contegni attivi che abbiano azionato o aggravato il rischio successivamente concretizzatosi nell’evento: ipotesi di difficile immaginazione alla luce delle circoscritte prerogative che il legislatore ha assegnato a tale figura di rappresentante.
Alla luce dell’interpretazione volta ad individuare nell’organizzazione una Garantenstellung condivisa e frazionata tra i vari soggetti chiamati a gestire un determinato rischio, ben potrebbe essere individuata, invece, una responsabilità penale del RLS per contegni omissivi, seppur solamente in casi isolati. Il nesso di strumentalità che dovrebbe avvincere le condotte penalmente rilevanti orientate all’impedimento plurisoggettivo dell’evento-reato, se preso sul serio, comporterebbe infatti la riduzione delle ipotesi di responsabilità del RLS a casi peculiari ed infrequenti nella prassi, implicanti, salvo eccezioni, la conoscenza di un rischio ignoto ai vertici aziendali e, in ogni caso, non comunicato da parte di garanti a contatto con i lavoratori o comunque con il fattore di rischio, tipicamente i preposti, o da parte di altri soggetti, qualificati o meno, come ad esempio il RSPP oppure uno o più lavoratori.
Tale soluzione, peraltro, pur affondando le proprie radici sulla corretta interpretazione di dati normativi[52], nei fatti non pare discostarsi troppo da quella talvolta adottata dalla giurisprudenza per assegnare rilevanza penale a contegni omissivi del solo RSPP: il riferimento, naturalmente, è alla concezione di garante inteso come “gestore del rischio”. A mutare sarebbe il grado di incidenza da riconoscere alla condotta agevolatrice o strumentale per essere considerata – almeno in via oggettiva – penalmente rilevante: presunta nel secondo caso – salva l’adozione del diverso paradigma enucleato nel settore medico[53]–; maggiormente pregnante nel primo.
D’altro canto, almeno nell’ambito della sicurezza del lavoro, tale ultima soluzione dovrebbe riuscire a coniugarsi con l’enucleazione da parte del legislatore, all’art. 299 del d. lgs. 81/2008, di ben definite figure di garanti. Certo, lo scoglio non pare insormontabile, avendoli siffatta disposizione richiamati esclusivamente per equipararvi colui che, pur sprovvisto di una qualifica formale, in concreto rivesta una di quelle posizioni: il “garante di fatto”. Considerando la previsione non ‘completa’ di tutti i soggetti garanti, bensì solamente ricognitiva delle figure destinate ad assumere rilevanza anche in via di fatto, potrebbe infatti giustificarsi l’attribuzione di responsabilità a soggetti (es. il RSPP o, appunto, il RLS) considerati, in forza di una innovativa impostazione ermeneutica, titolari di una frazione della Garantenstellung parcellizzata, gravante sull’organizzazione. In altri termini, una siffatta lettura della disposizione non negherebbe che questi ultimi possano essere chiamati a rispondere per il mancato impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Con il dato testuale dell’art. 299, in ogni caso, si dovrà fare i conti.
In fondo, è interessante notare che, partendo dall’analisi di una tanto singolare quanto incomprensibile costruzione di un capo accusatorio (quello che ha originato la sentenza della Cassazione in analisi), è stato approfondito il percorso, faticoso e qui non condiviso, con cui la giurisprudenza sta cercando di adeguare tradizionali istituti di parte generale a, queste sì condivise, esigenze di tutela. D’altronde si sa, «anche il più classico battito delle ali di una farfalla provoca effetti a cascata in lidi apparentemente distanti»[54].
Dott. Francesco Contri
[1] La disposizione prevede, in particolare, che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
“a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità produttiva;
c) è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente;
d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;
e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed alle miscele pericolose, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali;
f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
g) riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista dall’articolo 37;
h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali è, di norma, sentito;
l) partecipa alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”.
[2] Per una ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali in merito al contenuto e alle fonti della posizione di garanzia nei vari settori del diritto penale dell’economia, per tutti, F. Consulich, Le posizioni di garanzia nel diritto penale economico, in Giur. comm., 2024, pp. 699 ss.
[3] Si esprimono in termini critici P. Brambilla, Alcune riflessioni critiche sul riconoscimento della responsabilità penale in capo al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza in caso di morte o lesioni del lavoratore, in DSL, 2023, fasc. 2, II, pp. 64 ss.; S. Celli, Se i diritti diventano doveri, in Quest. giust., 2 dicembre 2023; R. Ciavarella, Verso una responsabilità penale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?, in Labor. Il lavoro nel diritto, 2024, fasc. 1, pp. 119 ss.; B. Deidda, Una china pericolosa: rovesciare sui lavoratori la responsabilità dell’organizzazione delle misure di sicurezza sul lavoro, in DSL, 2023, fasc. 2, II, p. 8; A. Ingrao, Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Storia, funzioni e responsabilità penale, ibidem, pp. 23 ss.; M. Lai, Le responsabilità del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in Igiene & Sicurezza del Lavoro, 2023, p. 555; R. Palavera, Fiducia e deterrenza: due paradigmi compatibili? Note in margine all’affermazione di responsabilità penale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in DSL, 2023, fasc. 2, II, pp. 77 ss.; P. Pascucci, Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS, ibidem, p. 1 ss.; S. Tordini Cagli, I soggetti responsabili, in D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini, Sicurezza sul lavoro. Profili penali, Giappichelli, Torino, 2023, p. 133 s. Più caute, invece, le posizioni assunte da R. Dubini, Infortuni sul lavoro: qual è la responsabilità del RLS?, in “www.puntosicuro.it”, 12 ottobre 2023 e L. Vella, La spettacolarizzazione della sicurezza sul lavoro in un sistema che fatica a farsi comprendere, in DSL, 2023, fasc. 2, II, pp. 11 ss., che evidenziano come sull’imputato gravasse una posizione di garanzia in qualità di consigliere di amministrazione. In senso latamente positivo, seppur con diverse sfumature, invece, R. Guariniello, Il dramma del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, in Diritto & Pratica del Lavoro, 2023, pp. 2430 ss. e P. Soprani, La responsabilità del RLS nel sistema di organizzazione aziendale della prevenzione, in Igiene & Sicurezza del Lavoro, 2023, pp. 561 ss.
[4] La volontà del legislatore di assegnare ai datori di lavoro, dirigenti e preposti la qualifica di “garanti” si evince chiaramente dall’art. 299 del d. lgs. 81/2008, che, definendo la figura del “garante di fatto”, annovera solamente i predetti.
[5] Vi sono alcuni soggetti, infatti, che, pur sprovvisti della formale qualifica di “garanti”, risultano destinatari di reati propri. Tipico è l’esempio del lavoratore, sanzionato penalmente per propri inadempimenti dall’art. 55 t.u.s.l. Ciò, d’altra parte, non deve stupire: altro è una norma che fonda un dovere di impedimento dell’evento (o del reato), altro è la previsione di una sanzione per la mancata ottemperanza a propri obblighi. Le due questioni viaggiano – e devono viaggiare – su binari separati.
[6] Per vero, la pronuncia risulta assai singolare in quanto trascura integralmente la carica di consigliere di amministrazione del soggetto chiamato a rispondere, insieme al datore di lavoro e al responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), della morte del lavoratore. L’attenzione della Cassazione si rivolge esclusivamente alla qualifica di RLS di tale imputato. Sul punto, in ogni caso, si tornerà più approfonditamente nel paragrafo che segue.
[7] Il riferimento è alla posizione di A. Gargani, Impedimento Plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, Pisa University Press, Pisa, 2022.
[8] Cfr. Tribunale di Trani, 19 ottobre 2018, n. 2693, inedita.
[9] In particolare, la Corte d’Appello «ritiene del tutto condivisibili le conclusioni cui perveniva il Tribunale di primo grado in merito alla sussistenza in capo allo S. della posizione di garanzia e dunque della ipotizzabilità a suo carico di una cooperazione colposa nella condotta omissiva posta in essere dal legale rappresentante dell’azienda, rivestendo lo S. non solo il ruolo di responsabile dei lavoratori, ma anche di membro del Consiglio di Amministrazione». Cfr. Corte d’Appello di Bari, 11 marzo 2022, n. 1076, inedita.
[10] Cass. pen., sez. IV, 27 giugno 2023, n. 38914.
[11] Sulla disinvolta prassi giurisprudenziale volta a recuperare in ogni momento del giudizio la specifica regola cautelare violata per via del richiamo alla colpa generica contenuta nel capo d’imputazione, utilizzata in funzione di «jolly processuale, [funzionante] alla stregua di valvola accusatoria di futura espansione della contestazione», in particolare, D. Castronuovo, I delitti di omicidio e lesioni, in D. Castronuovo, F. Curi, S. Tordini Cagli, V. Torre, V. Valentini, Sicurezza sul lavoro. Profili penali, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 349 ss.
[12] Escludono la possibilità di configurare il RLS quale destinatario di veri e propri obblighi, tra gli altri, S. Celli, Se i diritti diventano doveri, cit.; R. Ciavarella, Verso una responsabilità penale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?, cit., pp. 124 ss.; B. Deidda, Una china pericolosa: rovesciare sui lavoratori la responsabilità dell’organizzazione delle misure di sicurezza sul lavoro, cit., p. 7 s.; M. Lai, Le responsabilità del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cit., p. 554 s.; P. Pascucci, Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS, cit., pp. 3-4; S. Tordini Cagli, I soggetti responsabili, cit., p. 132 s. e, da ultimo, F. Consulich, Manuale di diritto penale del lavoro, Giappichelli, Torino, 2024, p. 106 s., che considera la figura in esame «neutra per il diritto penale».
[13] Cfr. S. Celli, Se i diritti diventano doveri, cit.; B. Deidda, Una china pericolosa: rovesciare sui lavoratori la responsabilità dell’organizzazione delle misure di sicurezza sul lavoro, cit., p. 7; R. Palavera, Fiducia e deterrenza: due paradigmi compatibili? Note in margine all’affermazione di responsabilità penale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cit., p. 83 s.
[14] Cfr. R. Ciavarella, Verso una responsabilità penale del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?, cit., pp. 124 ss.; S. Tordini Cagli, I soggetti responsabili, cit., p. 133.
[15] L’unica eccezione parrebbe enucleata alla lettera o) dell’art. 50 del d. lgs. 81/2008, comunque interpretabile come “dovere” da attivare nelle specifiche situazioni che lo richiedono. La predetta disposizione evidenzia, in particolare, che il RLS “può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”.
[16] In senso parzialmente conforme, R. Guariniello, Il dramma del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, cit., p. 2434 s.
[17] Per un approfondimento, anche casistico, sul tema, A.F. Masiero, Inondazione, frana e valanga, in D. Castronuovo (a cura di), Reati contro l’incolumità pubblica, Giappichelli, Torino, 2024, pp. 74 ss.; M. F. Carriero, Delitti colposi di comune pericolo: uno sguardo d’insieme, ibidem, pp. 465 ss.
[18] Ormai più di vent’anni fa, A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio. La successione di garanti in attività inosservanti, in Ind. pen., 2000, p. 583 s., riprendendo T. Padovani, Il crepuscolo della legalità nel processo penale, in Ind. pen., 1999, p. 535, poneva in luce che «l’art. 40/2 c.p. assume i contorni di una vera e propria fattispecie “a formazione giurisprudenziale”, che rimette di fatto all’organo giudicante il compito di delimitare i confini della tipicità dell’omissione impropria».
[19] Riteneva necessario il convogliamento sia di obblighi sia di poteri impeditivi in capo al garante, già A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., p. 587, anche rifacendosi a I. Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Giappichelli, Torino, 1999, pp. 70 ss.
[20] Sui predetti ed altri profili di estensione ‘sconsiderata’ del criterio di competenza, F. Consulich, Il concorso di persone nel reato colposo, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 252 ss.
[21] Escludono tale possibilità, salva l’ipotesi di cooperazione colposa mediante un contributo attivo del RSPP, S. Tordini Cagli, I soggetti responsabili, cit., pp. 114 ss. e F. Consulich, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., pp. 107 ss., cui si rinvia anche per gli opportuni riferimenti bibliografici.
[22] Cass. pen., sez. IV, 23 novembre 2012, n. 49821.
[23] Cfr. infra, § 4.3.
[24] L’assimilazione viene esclusa, tra gli altri, da D. Brunelli, Riflessioni sulla condotta nel reato omissivo improprio, Pisa University Press, Pisa, 2023, p. 150, il quale osserva come «il contributo omissivo del concorrente si può configurare solo a carico di un garante. Infatti, al di fuori dell’operatività dell’art. 40, comma 2, una omissione “atipica” – vale a dire non prevista espressamente come reato – da parte del soggetto non qualificato non può rientrare nell’orbita degli artt. 110 e 113 c.p. rispetto ad un reato di evento a forma libera». Nel settore della responsabilità medica, si mostra critico rispetto agli orientamenti giurisprudenziali confondenti il momento omissivo della colpa e l’omissione “in senso stretto”, proponendo di valutare, ai fini distintivi, ora l’influenza condizionalistica della condotta (nelle ipotesi commissive), ora la coincidenza tra l’evento hic et nunc verificatosi e quello che si sarebbe dovuto impedire (nelle ipotesi omissive), A. Vallini, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, in Dir. pen. proc., 2001, p. 481 s.
[25] Sul criterio di competenza, seppur talvolta con una diversa impostazione di fondo, R. Blaiotta, Causalità giuridica, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 195 ss.; L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di principio di responsabilità penale per fatto proprio, Giappichelli, Torino, 2004, passim; M. Donini, Imputazione oggettiva dell’evento. “Nesso di rischio” e responsabilità per fatto proprio, Giappichelli, Torino, 2006, passim. Sul tema, si vedano anche, senza pretesa di esaustività, L. Cornacchia, Competenze ripartite: il contributo dei criteri normativi alla individuazione dei soggetti penalmente responsabili, in Ind. pen., 2013, fasc. 2, pp. 247 ss.; D. Micheletti, Il criterio della competenza sul fattore di rischio concretizzatosi nell’evento. L’abbrivio dell’imputazione colposa, in Discrimen, 3 settembre 2018; S. Dovere, Giurisprudenza della Corte Suprema sulla colpa, in M. Donini (a cura di), Reato colposo, in Enc. dir., I Tematici, II, Milano, Giuffrè, 2021, pp. 597 ss.; M. Donini, Nesso di rischio. Il disvalore di azione-evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, pp. 25 ss.; R. Blaiotta, Diritto penale e sicurezza del lavoro, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 206 ss.; D. Castronuovo, I delitti di omicidio e lesioni, cit., pp. 320 ss.; F. Consulich, Il concorso di persone nel reato colposo, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 244 ss. Pur non contrario alla valorizzazione del citato criterio, A. Vallini, Colpa medica, concause sopravvenute e competenza per il rischio: qualcosa di nuovo, anzi d’antico, in Dir. pen. proc., 2015, pp. 1548, approfondendo il concorso di cause indipendenti, rifiuta l’idea che l’art. 41 c.p. possa fornire un fondamento normativo al criterio di competenza, temendo l’approdo, per questa via, ad una sostituzione della «causalità naturalistica con un criterio di imputazione di carattere interamente valutativo», che segnerebbe un «regresso in termini di legalità e [di] attuazione del principio di personalità».
[26] Sulla descritta evoluzione del diritto vivente in merito alla responsabilizzazione penale del RSPP per delitti di evento dannoso alle persone, anche mediante la progressiva assegnazione allo stesso della qualifica di garante, in termini critici, A. Gargani, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa, cit., pp. 117 ss. In giurisprudenza, di recente, Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2022, n. 33547; Cass. pen., sez. IV, 22 aprile 2021, n. 33980.
[27] Cfr., tra gli altri, P. Brambilla, Alcune riflessioni critiche sul riconoscimento della responsabilità penale in capo al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza in caso di morte o lesioni del lavoratore, cit., pp. 56 ss. Una precisazione, sul punto, è d’obbligo. Per mezzo delle rilevate censure, non si intende sostenere che, nell’ambito dell’agire plurisoggettivo, il soggetto che riveste una posizione di garanzia dovrebbe essere sempre in grado di impedire l’evento finale. Il dovere impeditivo di cui all’art. 40, comma 2, va mantenuto distinto dal contenuto (assai spesso) relazionale della regola cautelare, riconducibile all’art. 113. Il soggetto su cui grava una posizione di garanzia dovrebbe almeno essere in grado di attivare un processo idoneo ad interrompere quello in corso, sfociante nell’offesa. «Insomma, la posizione di garanzia attiene al profilo del dovere, la norma cautelare a quello del potere». Così, F. Consulich, Il concorso di persone nel reato colposo, cit., p. 493. Approfondendo il discorso, d’altra parte, come ha avuto modo di rilevare la migliore giurisprudenza di legittimità, ciò non oscura, in ambito colposo, «la necessità di tener distinti dovere di diligenza/norma di dovere e diligenza doverosa/regola cautelare» (così Cass., Sez. IV, sent. 8 gennaio 2021, n. 32899, sul caso del disastro ferroviario di Viareggio), che comunque postula, nelle ipotesi omissive, l’individuazione, a monte, di una posizione di garanzia ricavabile dal 40 cpv. Il passo, peraltro, sembra tratto da D. Castronuovo, La colpa penale, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 286 ss., che già evidenziava come «diviene fondamentale […] la distinzione tra: a) “dovere” (di diligenza); b) “diligenza” (quale contenuto del dovere). […] In generale, il dovere di diligenza è posto dalle norme che, stabilendo un divieto, definiscono una situazione in cui astenersi da determinate azioni (imprudenti); ovvero, sostanziandosi in una pretesa positiva, impongono un obbligo di agire (secondo diligenza). […] la “diligenza” doverosa consiste invece, più esattamente, nelle regole di condotta a contenuto cautelare identificabili come doverosa per il soggetto in quella situazione concreta». Per una ricostruzione dei diversi profili fenomenologici della colpa nei contesti lavorativi, D. Castronuovo, Fenomenologie della colpa in ambito lavorativo. Un catalogo ragionato, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, fasc. 3, pp. 216 ss.
[28] Cass. pen., SSUU, 24 aprile 2014, n. 38343 e, precedentemente, in termini identici, Cass. pen., sez. IV, 23 novembre 2012, n. 49821.
[29] F. Consulich, Il concorso di persone nel reato colposo, cit., p. 253.
[30] G. De Francesco, Brevi riflessioni sulle posizioni di garanzia e sulla cooperazione colposa nel contesto delle organizzazioni complesse, in LP, 3 febbraio 2020, p. 4. Osservava come «per far fronte alla crisi del modello tradizionale di causalità […] e per semplificare l’ardua individuazione dell’autore del reato, si finisce per radicare la responsabilità omissiva sulla mancata eliminazione o diminuzione di elementi di rischio» già A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., p. 597.
[31] Emblematica, sul punto, l’analisi di D. Fondaroli, L’accertamento della responsabilità penale secondo il paradigma del “caso per caso” ed il “circo mediatico-giudiziario”. Il nuovo particolarismo giuridico, in Arch. pen., 2014, fasc. 1, pp. 135 ss.
[32] Quanto ai profili relazionali della colpa e alla totale irrilevanza del Vertrauensgrundsatz nel settore lavoristico, ampiamente, in senso critico, D. Castronuovo, I delitti di omicidio e lesioni, cit., pp. 353 ss.
[33] Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2023, n. 49300. In senso conforme, Cass. pen., sez. IV, 18 settembre 2023, n. 37991; Cass. pen., sez. IV, 07 giugno 2022, n. 21863; Cass. pen., sez. IV, 15 dicembre 2016, n. 2406; Cass. pen., sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2814. E, ancora, Cass. pen., sez. IV, 4 aprile 2007, n. 39567, che evidenzia come «quanto al nesso di causalità […] la mancanza di una formale segnalazione della situazione […] costituisce un antecedente causalmente ricollegabile alla verificazione dell’infortunio, della cui incidenza causale non può dubitarsi solo perché la pericolosità della situazione era comunque nota al datore di lavoro. Deve infatti ritenersi […] che la segnalazione formale della situazione avrebbe indotto il datore di lavoro, dovendosi presumere il corretto funzionamento del sistema prevenzionale, a quegli interventi di adeguamento […] che invece solo a seguito dell’incidente in questione vennero adottati».
[34] Per un recupero dell’accertamento causale anche nell’ambito della cooperazione colposa, tra gli altri, R. Palavera, Fiducia e deterrenza: due paradigmi compatibili?, cit., pp. 77 ss.
[35] Sulla distinzione tra trasferimento di obblighi di garanzia e successione nella posizione di garanzia, per tutti, A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., pp. 590 ss.
[36] Cass. pen., sez. IV, 2 ottobre 2018, n. 1175. Riconduceva ipotesi simili al paradigma causa causae est causa causati, non dubitando della possibilità di ricorrere ad un procedimento causale «analogo a quello a quello in materia di causalità “naturalistica”» qualora alle condotte del successore sia fornito un contributo necessario e insostituibile, già A. Vallini, Cooperazione e concause in ipotesi di trattamento sanitario “diacronicamente plurisoggettivo”, cit., p. 485. Pone in luce la necessità di valutare ciò che è effettivamente successo, rifiutando miopi automatismi, anche M.L. Mattheudakis, Successione di garanti e principio di affidamento nella responsabilità medica, in Cass. pen., 2010, pp. 1489 ss., il quale, tuttavia, evidenzia l’impossibilità di far ricorso a leggi scientifiche di copertura per la spiegazione del fenomeno. Anni fa, evidenziava lo scavalcamento dell’accertamento della colpa sull’indagine causale in ambito medico A. Gargani, Ubi culpa, ibi omissio, cit., p. 597, che proponeva, con riferimento ai casi di successione diacronica dei garanti, un mutamento del contenuto dell’obbligo di garanzia, non più fondato, per il “cedente”, sull’impedimento del reato, bensì sulla rimozione della situazione di rischio da egli colposamente creata (pp. 643 ss.). Per una panoramica delle diverse sfaccettature della colpa nel settore medico, per tutti, M. Caputo, voce Colpa medica, in M. Donini (a cura di), Reato colposo, in Enc. dir., I Tematici, II, Milano, Giuffrè, 2021, pp. 153 ss.
[37] La distinzione funzionale delle due figure, che si riverbera sulla possibilità di incidere sulle decisioni del datore di lavoro, è l’elemento che orienta P. Brambilla, Alcune riflessioni critiche sul riconoscimento della responsabilità penale in capo al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, cit., pp. 56 ss., verso l’esclusione della possibilità di considerare il RLS come “gestore del rischio”.
[38] Cass. pen., sez. IV, 27 giugno 2023, n. 38914.
[39] Critici rispetto alla soluzione, seppur argomentando in modo non totalmente coincidente, anche R. Palavera, Fiducia e deterrenza: due paradigmi compatibili?, cit., pp. 77 ss., 88, nt. 123 e Celli, Se i diritti diventano doveri, cit., 2 dicembre 2023.
[40] Cfr. nt. 25.
[41] Cfr., per tutti, M. Donini, Nesso di rischio. Il disvalore di azione-evento, cit., pp. 26 ss.
[42] In argomento, tra gli altri, I. Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., passim.
[43] Il riferimento è ad A. Gargani, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa, cit., passim.
[44] In altri termini, nell’attuale conformazione delle realtà economiche, non è infrequente che i soggetti – tendenzialmente più vicini alla situazione di rischio – su cui gravano obblighi intermedi di segnalazione o di sorveglianza siano sprovvisti dei relativi poteri di intervento, che rimangono nelle mani dei soli garanti.
[45] La teoria, originariamente, si deve a R. Dell’Andro, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Giuffrè, Milano, 1956; la sua compiuta contestualizzazione nel settore in esame, da ultimo, ad A. Gargani, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa, cit., passim.
[46] La qualificazione è tratta da D. Castronuovo, Clausole generali e diritto penale, in Dir. pen. cont., 2012, p. 14, il quale osserva che «l’ampiezza dell’estensione della punibilità e il grado di indeterminatezza delle fattispecie “riproducibili” mediante tali moltiplicatori si accrescono in modo esponenziale nelle ipotesi (più o meno controverse) di applicazione cumulativa (e reciproca) di due clausole di incriminazione, dando vita a una sorta di terzo livello di criminalizzazione, ancora più lontano dalla selezione operata dal legislatore sul piano della singola fattispecie-base», successivamente, e più diffusamente, in D. Castronuovo, La mappa dell’impero. Clausole generali e decifrabilità della norma penale, in Dir. & Quest. pubbl., 2018, fasc. 2, p. 62. Per una compiuta indagine sul punto, L. Risicato, Combinazione e interferenza di forme di manifestazione del reato. Contributo ad una teoria delle clausole generali di incriminazione suppletiva, Giuffrè, Milano, 2001.
[47] A. Gargani, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa, cit., p. 188.
[48] In merito alle omissioni degli obblighi di segnalazione, allerta o comunicazione – tipici, come detto, del RLS, qualora vengano considerate come tali le relative “attribuzioni” – A. Gargani, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa, cit., p. 201 osserva che «si dovrà accertare l’eventuale valenza strumentale che il deficit cognitivo-informativo ha assunto sul piano dell’impedimento pluripersonale e complesso dell’evento, ripercuotendosi sulla funzionalità degli interventi di altri soggetti coinvolti nell’esercizio dell’attività».
[49] L. Risicato, La causalità psichica tra determinazione e partecipazione, Giappichelli, Torino, 2007, p. 76 s., la cui ultima considerazione è ripresa anche da E. Basile, Consiglio tecnico e responsabilità penale. Il concorso del professionista tramite azioni “neutrali”, Giappichelli, Torino, 2018, p. 51.
[50] La conclusione discende dalla valorizzazione, nel testo della motivazione di Cass. pen., sez. IV, 27 giugno 2023, n. 38914, della consapevolezza circa la situazione di rischio da parte del datore di lavoro, da un lato, e dalla già avvenuta comunicazione della situazione di pericolo allo stesso da parte di un soggetto maggiormente qualificato (il RSPP), dall’altro.
[51] D’altro canto, proprio A. Gargani, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa, cit., p. 215, ricomprende il RLS tra le figure che, «pur non risultando titolari di obblighi impeditivi, sono chiamate in varia guisa ad integrare funzionalmente il sistema di sicurezza del lavoro in funzione della prevenzione e dell’impedimento di eventi lesivi», tra le quali annovera altresì «[il] responsabile del servizio di protezione e prevenzione, [il] medico competente, [il] rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, [i] soggetti esterni al rapporto di lavoro (progettisti, fabbricanti, fornitori, installatori, ecc.)».
[52] L’impostazione, come anticipato, affonda le proprie radici sul combinato disposto degli artt. 40 cpv. e 110 (o 113) c.p.
[53] V. supra, § 4.1.
[54] A. Viscomi, Professionalità e diligenza ai tempi della transizione digitale, in Labour & Law Issues, 2024, fasc. 10, p. 58.